Scope 1: emissioni dalle attività dirette di una società mineraria, come le emissioni del carburante diesel utilizzato nei camion da trasporto o le emissioni di metano dalle miniere di carbone.

Scope 2: emissioni rilasciate dall'energia utilizzata da una società mineraria per le sue operazioni. Ciò potrebbe includere l'elettricità prodotta dalla combustione del carbone o l'elettricità alimentata a gas acquistata dalla rete e utilizzata in loco.

Scope 3: emissioni dei clienti che utilizzano prodotti venduti dalla società mineraria, come la trasformazione del ferro in acciaio, o emissioni dalla catena di approvvigionamento e dai trasporti. Pertanto in questo ambito vanno considerate tutte le emissioni lungo la catena del valore di metalli come il rame, bauxite e allumina o biossido di titanio. Per definire correttamente questo parametro, però, è necessario che tutte le realtà della filiera sviluppino e pubblichino il loro inventario delle emissioni di Scope 1 e 2.

 

Lo sversamento di oltre 20.000 tonnellate di gasolio in un fiume nell’Artico russo a seguito del cedimento dei supporti di un serbatoio di stoccaggio di una centrale elettrica ha attirato l’attenzione sui pericoli dello scongelamento del permafrost dovuto ai cambiamenti climatici. Si è da subito paventata la catastrofe globale e lo scongelamento di virus presenti nel ghiaccio e naturalmente in questo momento la parola virus incute terrore.

Cerchiamo di capire meglio cosa sia successo, dove ed in che modo tutto questo sia legato all’altra faccia della medaglia delle tecnologie verdi: l’estrattivismo.

A partire dal 1935, migliaia di prigionieri dei gulag morirono costruendo Norilsk, una delle città più fredde del mondo, sorta vicino ai depositi di minerali di nichel, rame e palladio  in un’ area della tundra artica a circa 200 chilometri a nord del circolo polare artico nella Russia siberiana settentrionale più precisamente nel Territorio di Krasnojarsk. Nel febbraio del 1942, i prigionieri accesero per la prima volta la fornace della fabbrica di nichel con temperature di -47°C, per produrre il metallo per le armature dei carri armati T34 dell’Armata Rossa.

L'industria mineraria la ha resa nota per il suo forte inquinamento, che è considerato il peggiore in Russia, nel 2007, il Blacksmith Institute ha dichiarato Norilsk uno dei 10 luoghi più inquinati del mondo dove le concentrazioni di biossido di zolfo misurate sono state trovate anche 40 volte superiori al limite.

La causa dell’inquinamento è la compagnia metallurgica MMC Norilsk Nickel, nota come Nornickel, una società russa di estrazione e fusione di nichel, palladio e rame, leader dell'industria mineraria e dei metalli in Russia è probabilmente il maggior produttore mondiale di nickel, con circa il 20% della produzione globale, e di palladio, con il 40%. Oltre che in Russia possiede impianti estrattivi in Australia, Botswana, Finlandia e Sudafrica. Nel 2016, i proventi della società su rapporti ufficiali ammontavano a 8,25 miliardi di dollari, con un utile netto di 2,53 miliardi di dollari.

 

 

Un minerale della transizione verde

I produttori di batterie e le case automobilistiche elettriche, tra cui Tesla, sono preoccupati per le forniture a lungo termine di nichel, un materiale chiave nella loro catena di approvvigionamento che secondo le previsioni cadrà in deficit entro il 2025. Secondo BloombergNEF, la necessità del materiale di elevata purezza utilizzato nelle batterie, noto come nichel di “classe 1”, supererà l'offerta entro cinque anni, alimentata principalmente dall'aumento dei consumi nel settore dei veicoli elettrici. Sempre secondo Bloomberg, le vendite di veicoli elettrici dovrebbero aumentare di 10 volte entro il 2025, di 27 volte entro il 2030 e di 50 volte entro il 2040.

Il nichel sta diventando sempre più importante come metallo per batterie grazie al suo uso in quelle agli ioni di litio nickel-cobalto-alluminio (NCA) e nickel-cobalto-manganese (NCM). Le celle della batteria NMC 811 (8 parti di nichel, 1 parte per litio e cobalto) vengono prodotte su una scala sempre maggiore, e come il CEO di Nornickel, Vladimir Potanin, ha riferito a Reuters, la sua compagnia punta ad aumentare la produzione per sfruttare il boom delle auto elettriche.

Per comprendere le preoccupazioni di Tesla sull'approvvigionamento del nichel di “Classe 1”, necessario per le batterie dei veicoli elettrici, dobbiamo fare un distinguo sulla genesi geologica dei due tipi di depositi di nichel conosciuti: solfuro e laterite. Circa il 60% delle risorse di nichel conosciute al mondo sono lateriti, il restante 40% è costituito da depositi di solfuri. Il principale vantaggio dei minerali solforati è che, nella maggior parte dei casi, possono essere concentrati mediante attraverso un processo di flottazione seguito da estrazione pirometallurgica. Al contrario, non esiste una semplice tecnica di separazione per le lateriti di nichel. La roccia deve essere completamente fusa o sciolta per consentire l'estrazione del nichel. Di conseguenza, gli impianti per il trattamento della laterite richiedono grandi economie di scala e grandi investimenti per essere praticabili.

Quello di Norilsk è un deposito, tra i più grandi al mondo di solfuro di nichel e tuttavia, le miniere di solfuro esistenti si stanno esaurendo. La produzione mondiale annua di nichel di circa 2,3 milioni di tonnellate sarà sufficiente per soddisfare la domanda per l'acciaio inossidabile e le batterie? Meno della metà della produzione totale di nichel è di Classe 1, adatta per la conversione in solfato di nichel utilizzato nella produzione di batterie. Nel 2018 solo il 6% del nichel è finito in batterie per EV mentre il 70% della fornitura è stato destinato alla produzione di acciaio inossidabile. Utilizzato anche nella costruzione di turbine eoliche, ricordiamo, per chi ha letto L’impronta dell’acqua che l’intensità del nichel è di 5.500 t/GW.    

Qualche tempo fa il CEO di Tesla Elon Musk, di fronte alle contestazioni che gli venivano fatte da più parti circa le pratiche illegali e le devastazioni ambientali legate  all'approvvigionamento del cobalto e del litio sostenne che le batterie utilizzate dai suoi veicoli sono principalmente in nichel e grafite, ed i due minerali contestati sono semplicemente "il sale sull'insalata". Ma l'estrazione del nichel - principalmente in Australia, Canada, Indonesia, Russia e le Filippine - ha un costo ambientale e sanitario: l'anidride solforosa soffoca i cieli, i suoli vengono ricoperti di polveri cancerogene, le acque di fiumi e laghi si colorano di rosso sangue a causa degli ossidi contenuti dei fanghi tossici della raffinazione del minarale.

Questo è il risultato delle miniere e fonderie di nichel che alimentano l'industria dei veicoli elettrici. Anche in questo caso Tesla afferma che il nichel nei suoi veicoli è riutilizzabile al 100%, ma ha rifiutato rivelare da dove proviene quello contenuto nelle batterie delle sue auto e come nel caso del cobalto un portavoce di Tesla ha affermato, pilatescamente, che ".. è ovviamente abbastanza difficile avere una conoscenza perfetta di tutto ciò succede così lontano nella catena di approvvigionamento, ma abbiamo lavorato molto duramente per raccogliere quante più informazioni possibili e per garantire il rispetto dei nostri standard. ".

Salvare l'ambiente è un affare

Emblematico il caso di BHP Billiton che nel 2014 ha sospeso la vendita della sua unità di nichel, Nickel West, nell'Australia occidentale, decisa per razionalizzare il suo core business poiché, malgrado alcuni analisti avessero stimato di poter ottenere per le attività di estrazione, fusione e raffineria a fino a 1 miliardo di dollari, ritenne che non gli era stato offerto un prezzo accettabile.

Mark Taylor sul Finacial Times spiegava che “Il tempo di vendere queste attività minerarie è stato durante il boom. È difficile ottenere un buon prezzo quando i prezzi delle materie prime  stanno rallentando".  E quindi BHP, forte delle sue enormi risorse finanziarie, decise di attendere tempi migliori, per quanto anche Glencore, il gigante globale delle materie prime, avesse manifestato il suo interesse per Nickel West. D’altra parte i costi del recupero ambientale legati alla miniera, stimati in oltre un miliardo di dollari, erano considerati una delle cause che complicavano le trattative di vendita: 40 anni di scorie tossiche devono essere smaltite con cura, seppellendole in qualche modo o coprendole con l'argilla.

Ma ecco che la strategia attendista di Andrew Mackenzie, CEO di BHP, nel 2017 veniva premiata e Reuters titolava: “BHP guarda alle batterie delle auto elettriche per ricaricare le sue attività nel nichel”. Infatti Eduard Haegel, capo divisione della BHP Nickel West, ha dichiarato che si aspettava che la domanda di batterie usate per alimentare le auto elettriche rappresentasse circa il 90 percento della produzione di Nickel West entro cinque o sei anni, in sostituzione dei mercati tradizionali, come i produttori di acciaio inossidabile. Aggiungendo che questa crescita è trainata dalla ricerca dei consumatori in tutto il mondo di tecnologie meno inquinanti e più efficienti dal punto di vista energetico e, dalla riduzione dei prezzi delle batterie e pertanto Nickel West doveva orientare il suo focus verso questa nuova industria.

La maggior parte dei veicoli elettrici si basa su batterie agli ioni di litio, con il componente principale costituito principalmente da nichel ed il nuovo impianto convertirà il minerale in una preziosa forma di solfato. Il solfato di nichel è una sostanza particolarmente adatta per l'uso nelle batterie, che ottiene costantemente prezzi maggiori rispetto al nichel negoziato sul London Metal Exchange.

Poco più di due anni prima ai 2.000 lavoratori di Nickel West era stato detto di aspettarsi che la miniera chiudesse entro il 2019.

Minerali come il nichel saranno anche il motore del Green Deal come afferamno la World Bank, l'International Resource Panel o la stessa ONU ma sono anche il motore degli enormi interessi finanziari dei più grandi inquinatori del Pianeta: le compagnie minerarie.

Il disgelo del permafrost

Il termine permafrost è in qualche modo un termine improprio: mentre il terreno più profondo si trova in uno stato perennemente ghiacciato, lo strato attivo del suolo, che si estende per diversi metri sotto la superficie, si scioglie ogni estate mutando così le sue caratteristiche di resistenza meccanica e di permeabilità. Questo scongelamento genera delle tensioni che possono  deformare gli edifici: per evitarlo, negli anni '60, durante la costruzione delle fondamenta dei condomini venivano praticati dei fori fino a 30 metri di profondità in cui veniva versato il cemento armato realizzando così dei pali che si incastrarono nel terreno permanentemente ghiacciato sottostante. In questo modo veniva anche sollevato ogni edificio da terra, permettendo alla circolazione dell'aria di raffreddare il terreno impedendo un ulteriore scongelamento.

Tuttavia il terreno sta progressivamente riscaldandosi: i dati di una stazione di monitoraggio di Norilsk hanno mostrato che lo spessore  dello strato attivo è aumentato di oltre un metro, inoltre, i cambiamenti climatici hanno aumentato le precipitazioni, aggiungendo più umidità al suolo che si congela e si espande, danneggiando le pile di cemento.

I danni agli edifici di Norilsk  Fotografia di Alec Luhn

Uno studio[1] presentato nel 2015 ha analizzato i risultati di monitoraggio dello spessore del permafrost tra il 1963 e il 2013 utilizzando i dati giornalieri sulla temperatura del suolo disponibili dalle stazioni del servizio idro-meteorologico russo. L'analisi è stata utilizzata per valutare il ruolo delle mutevoli condizioni climatiche sul regime termico del suolo. Un aumento generale della temperatura suolo è stata osservata negli ultimi cinquant'anni, con i tassi di cambiamento più alti nelle regioni centrali e meridionali della Siberia.

Il programma di monitoraggio ha espanso la densità delle osservazioni dello spessore del permafrost nel periodo 1999-2013 per identificare i "punti caldi" della temperatura al suolo. L'analisi geostatistica ha rivelato che le città di Norilsk e Susuman sono punti in cui la degradazione del permafrost è stata più rilevante.

L'Artico russo ha subito cambiamenti sostanziali nel regime termico del suolo con aumenti della durata del periodo di scongelamento ed uno spessore maggiore di disgelo, questa dipendenza dalle condizioni climatiche si è riscontrata negli ultimi quindici anni nell’intervallo di 50 anni di rilevamenti. Questo è maggiormente significativo nella Russia occidentale dove i risultati indicano che il regime termico del permafrost superficiale è fortemente associato alla temperatura dell'aria, mentre questa relazione è molto più debole nella Russia centrale e orientale.

Tuttavia nell’area di Norilsk, dove la temperatura del suolo è aumentata di quasi 1°C tra il 1999 e il 2013, lo studio di un’associazione ambientalista[2] rileva che questo territorio è caratterizzato da anomalie nello spessore del permafrost come conseguenza del riscaldamento dovuto agli effetti della produzione dell’impianto di raffinazione ed all’inquinamento, ormai cronico, delle acque sotterranee sulla base dei dati prelevati dai campioni. A conferma di ciò ingegneri e geologi russi fanno notare che "fattori tecnogenici" come gli impianti minerari e l’inquinamento chimico stanno riscaldando il permafrost in luoghi come Norilsk, la città più inquinata della Russia e tra le 10 al mondo.

Lo scongelamento sta distruggendo le fondamenta di numerosi edifici a Norilsk: già nel marzo 2015, le autorità avevano evacuato alcuni edifici alti anche cinque piani che stavano affondando mentre il permafrost sottostante si scioglieva e le fondazioni si disintegravano lentamente, sono oltre 100 gli edifici residenziali, circa un decimo del totale, che sono stati abbandonati a causa di danni alle fondazioni. Solo con il monitoraggio della temperatura e delle deformazioni visibili è possibile, agendo tempestivamente, salvare gli edifici installando dispositivi per raffreddare il terreno sotto i condomini.

Un problema globale

Ma il problema minaccia anche l'Alaska, il Canada e altri territori del nord, ma solo la Russia ha città finora così a nord. Anche a Dudinka, il porto sul fiume Yenisei attraverso il quale Norilsk Nickel spedisce i suoi prodotti, stanno riscontrando analoghi problemi alle costruzioni. Più di 100.000 persone vivono in edifici in "condizioni critiche" nell'estremo nord della Russia ed una ricerca[3] ha rivelato che quasi quattro milioni di persone e il 70% delle infrastrutture attuali si trovano in aree ad alto potenziale di disgelo del permafrost in porssimità della superficie entro il 2050. I risultati dimostrano che un terzo dell'infrastruttura pan-artica e il 45% dei campi di estrazione di idrocarburi nell'Artico russo si trovano in regioni in cui l'instabilità del terreno legata al disgelo può causare gravi danni alle strutture esistenti. Esiste un’area soggetta a maggior rischio che entro il 2050 conterrà una popolazione di quasi un milione e il 33% dell'infrastruttura pan-artica esistente, questa zona comprende, ad esempio, oltre 36.000 edifici, 13.000 km di strade oltre a campi di produzione di petrolio e gas naturale di importanza globale.

Considerando diversi scenari di stabilizzazione del riscaldamento climatico, l’analisi rivela che tagli sostanziali alle emissioni di gas a effetto serra ora non farebbero una grande differenza per i rischi infrastrutturali nella zona a più alto rischio entro il 2050. Questo perché quasi lo stesso numero di edifici, strade ed altre  infrastrutture sarebbero messe a repentaglio in uno scenario con un clima in moderato riscaldamento rispetto ad uno scenario business as usual. Solo nei decenni successivi al 2050, tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi del riscaldamento climatico dell'accordo di Parigi farebbe una chiara differenza in termini di potenziale danno alle infrastrutture.

Tuttavia lo scetticismo sui cambiamenti climatici è molto diffuso in Russia, in passato lo stesso presidente Vladimir Putin ha espresso dubbi sul fatto che l'attività umana sia alla base dei cambiamenti climatici. D’altra parte già nel settembre del 2016 quando le acque del fiume Daldykan si sono misteriosamente colorate di rosso intenso, colorazione solitamente associata agli ossidi di ferro, la responsabilità era ricaduta su Nornickel ed anche allora la stampa aveva acceso i suoi riflettori su una delle aree più inquinate del Pianeta che da 74 anni emetteva 350.000 tonnellate di anidride solforosa ogni anno ed era responsabile dell'inquinamento dei territori confinanti di Norvegia e Finlandia che sono regolarmente sottoposti all’impatto delle attività industriali situate sulla Penisola di Kola.

In quest’area sono state emesse, solo nel 2015, 1.883.000 tonnellate di inquinamento atmosferico, prevalentemente anidride solforosa, che danneggia il sistema respiratorio umano ed uccide piante ed alberi. Le concentrazioni nell’aria di nichel e benzopirene, entrambe cancerogene, hanno superato ogni anno i limiti di soglia a Norilsk così come il rame.

Ma l’aspetto più preoccupante è che chi vive qui capisce perfettamente che l’economia che sostiene i loro redditi è vincolata alle sorti degli impianti industriali e pertanto la modernizzazione ecologica, che potrebbe risolvere i molti problemi di salute ed ambientali dei cittadini è una questione di rilevanza marginale per il governo in conseguenza anche del conformismo ambientale della popolazione a causa della corruzione nella società, della povertà e dei problemi socio-economici. In un elenco dei 25 problemi più importanti dell’età moderna, l'opinione pubblica russa ha messo la problematiche ambientali al 18° posto. La mancanza di informazioni affidabili e facilmente accessibili riguardanti lo stato dell'ambiente porta ad una popolazione involontariamente ecologicamente ignorante il cui contributo è passivo e scarsamente informato su questioni urgenti.

In realtà come già evidenziato il nickel ha un futuro radioso nella green economy e quindi, al di là dei proclami dello stesso presidente Putin di questi giorni probabilmente nulla cambierà perché gli interessi economici e geopolitici in ballo sono enormi.

D’altra parte, restando nell’ambito del nickel, questo è solo l’ultimo incidente di una lunga serie: dalla Talvivaara Mining Company Plc. nell’impianto estrattivo nell'area di Sotkamo nella Finlandia orientale, dove ci sono state molteplici perdite di sostanze inquinanti come nichel, uranio e altri metalli tossici nei fiumi e nei laghi vicini e polveri ed odori nocivi si erano dispersi su una vasta area, viaggiando fino a 100 chilometri di distanza. Ai mari indonesiani resi anch’essi rossi dall'estrazione mineraria dove le auto più ecologiche potrebbero annunciare una nuova marea tossica, perché nell’isola di Sulawesi ci sono depositi di nichel tra i più ricchi del mondo e negli ultimi 15 anni sono stata aperte diverse miniere per alimentare il mercato globale dell'acciaio inossidabile, reso duttile e resistente dal nichel: ma ora l'energia pulita esigerà nuovi costi ambientale per le foreste e la pesca in una delle regioni più biodiversità del mondo.

O come in Papua Nuova Guinea dove nell’agosto del 2019 un impianto di lavorazione della miniera di Ramu di proprietà della Metallurgical Corporation of China (MCC) ha versato circa 23 tonnellate di rifiuti tossici nella baia di Basamuk. L'inquinamento ha colorato le acque di rosso e ha lasciato un residuo fangoso sulla costa. I residenti costieri dipendono dal mare di Bismarck per fare il bagno, cibo e medicine e circa 30.000 pescatori guadagnano da vivere nella baia di Basamuk. Nonostante la feroce opposizione locale e una battaglia legale che ha sospeso le operazioni per 19 mesi, la miniera è attualmente operativa, scaricando ogni giorno circa 14.000 tonnellate di sterili nella baia di Basamuk. Gli sterili contengono roccia frantumata, sostanze chimiche di processo ed elementi naturali che diventano tossici se esposti all'aria o all'acqua. Questo cocktail tossico si deposita sul fondo del mare, uccidendo tutto ciò che vive lì, e diffondendosi contamina altre aree e distruggendo le barriere coralline e altri habitat.

Questi pochi casi, infinitesimo esempio di quanto sta avvenendo nel Pianeta, nell’assordante silenzio degli ecologisti delle rinnovabili, rendono ancora più evidente come il Green Deal Europeo sia totalmente affidato al mercato e conseguentemente agli interessi speculativi delle lobby che sostengono questa soluzione ai cambiamenti climatici.

 

Giovanni Brussato

 

Riferimenti :

1. Changes in the 1963–2013 shallow ground thermal regime in Russian permafrost regions

DmitryAStreletskiy[1,2,3], Artem B Sherstiukov[4], OliverWFrauenfeld[5] and Frederick Nelson[6,7]

1 Department of Geography, The George Washington University, Washington,DC20052, USA

2 State Hydrological Institute, St. Petersburg, Russia

3 Earth Cryosphere Institute SB RAS, Tyumen, Russia

4 All-Russian Research Institute of Hydrometeorological Information—World Data Center, Obninsk, Russia

5 Department of Geography, Texas A&M University, College Station, USA

6 Department of Earth, Environmental, and Geographical Sciences, Northern Michigan University, Marquette, USA

7 Department of Geography, Michigan State University, East Lansing, USA

2. Environmental Challenges in the Arctic Norilsk Nickel: The Soviet Legacy of Industrial Pollution - Bellona 2010

3. Degrading permafrost puts Arctic infrastructure at risk by mid-century

Jan Hjort[1], Olli Karjalainen[1], Juha Aalto[2,3], Sebastian Westermann[4], Vladimir E. Romanovsky[5,6], Frederick E. Nelson[7,8], Bernd Etzelmüller[4], Miska Luoto[2]

1 Geography Research Unit, University of Oulu, Finland.

2 Department of Geosciences and Geography, University of Helsinki Finland.

3 Finnish Meteorological Institute, Weather and Climate Change Impact Research, Helsinki, Finland.

4 Department of Geosciences, University of Oslo, Norway.

5 Geophysical Institute, University of Alaska Fairbanks, USA.

6 Earth Cryosphere Institute, Tyumen Science Centre, Siberian Branch of the Russian Academy of Science, Russian Federation.

7 Department of Geography, Environment, and Spatial Sciences, Michigan State University, USA.

8 Department of Earth, Environmental, and Geographical Sciences, Northern Michigan University, Marquette, USA.

 

 

 

 

Il concetto di Water Footprint ( WF) è stato introdotto nel 2002 dal professore olandese A.Y.Hoekstra  e definisce l’impronta idrica come un indicatore della quantità di acqua dolce utilizzata per produrre beni o servizi. Può riguardare un singolo processo produttivo, un prodotto, o anche la quantità totale di risorse idriche usate in un’azienda durante tutte le fasi della produzione. In base al processo o prodotto a cui si riferisce, l’impronta idrica è generalmente espressa in litri o metri cubi e, oltre ad aiutarci a comprendere per quali scopi le risorse d’acqua dolce vengono consumate, è un valido strumento per valutare gli impatti ambientali causati da queste attività. Viene preso in considerazione sia l’uso diretto di acqua, ma anche quello indiretto: la quantità di risorse idriche complessivamente utilizzate lungo tutta la catena produttiva. A quest’ultima componente si dà il nome di “acqua virtuale”.

Secondo il metodo di analisi sviluppato dal Water Footprint Network (WFN) l’impronta idrica si articola in tre componenti qualitative: acqua blu, verde e grigia. Queste tre “Qualità dell'acqua” sono: l’acqua blu dei bacini idrografici, l’acqua verde dovuta all’effetto delle precipitazioni e della relativa umidità del suolo, le acque grigie dovute alla presenza di elementi chimici in quantità superiori alla capacità massima di accettazione degli acquiferi e dei corpi idrici così come li conosciamo noi oggi, tali quindi da consentire la vita biologica.

L’acqua blu raccolta dai corpi idrici superficiali e sotterranei è un bene unico, con bassi livelli di resilienza, cioè con scarse possibilità di rinnovare la qualità dei propri acquiferi, grandi volumi di utilizzo, si pensi agli acquedotti, ed una discreta affidabilità nel breve e medio termine sulla base del concetto, ora espresso, di rinnovabilità. L’acqua piovana, immediatamente raccolta in un bacino è acqua blu, come  le precipitazioni che alimentano un bacino artificiale o un fiume.  Analiticamente:

WF blu= Acqua blu evaporata + Acqua blu incorporata + Acqua che non viene riutilizzata in quanto non disponibile

Le acque verdi sono le precipitazioni che cadono al suolo e che risalgono in atmosfera per effetto dell’evapotraspirazione, sono una risorsa rinnovabile estremamente inaffidabile essendo legata agli eventi meteorologici e quindi non dimensionabile e limitatamente discretizzabile. La costanza delle precipitazioni, quindi il ciclo delle acque verdi che partecipa direttamente al nutrimento del sistema vegetale della terra, assicura tutte le funzioni ecosistemiche necessarie al sostentamento. Nel calcolo della WF si considera  che una quota parte di questi flussi venga persa per effetto della evapotraspirazione e dell’assorbimento della parte umida dei terreni sottratta al ciclo dell’acqua dal sistema vegetativo. Analiticamente:

WF verde= Acqua verde evaporata + Acqua verde incorporata;

Le acque grigie comprendono le quantità di acqua blu necessarie per rendere ammissibili i valori chimici che vengono alterati negli usi antropici dell’acqua. Le acque grigie non sono le acque inquinate, ma sono il totale dei flussi d’acqua necessari a diluire gli inquinanti, introdotti nel flusso contaminato, al punto tale che la loro concentrazione sia compatibile con gli standard di qualità ambientale presenti per il corpo idrico ricevente. Quindi non sono le quantità di reflui urbani o industriali prodotti perché questi sono, di fatto, rifiuti da trattare. Il concetto è che le acque inquinate vanno restituite all’ambiente naturale dopo averle riportate nelle condizioni qualitative idonee come ad esempio i reflui che hanno subito trattamenti. Analiticamente:

WF grigia= L / (Cmax + Cnat)

Cioè dividendo il carico inquinante L (espresso in massa/tempo) per la differenza tra lo standard di qualità ambientale delle acque di un tale inquinante concentrazione massima accettabile Cmax ( espressa in massa/volume) e la sua concentrazione naturale nel corpo idrico ricevente Cnat ( espressa in massa/volume).

Per la stima dei carichi inquinanti che entrano in un corpo idrico viene usualmente adottato un approccio a tre livelli introdotto dal Water Footprint Network (WFN) nel 2010 ed analogo all’approccio proposto dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, IPCC, per la stima delle emissioni di gas serra. I tre livelli procedono verso complessità crescenti che partono dalla semplice analisi di una frazione del deflusso di lisciviazione, per ricavarne dati sulla quantità di sostanza chimica applicata al suolo, per una stima della quantità di sostanza che entra nelle acque sotterranee o di superficie a complessi modelli matematici sviluppati in laboratorio. Pertanto il calcolo del WF non è un computo dell’acqua consumata, quanto piuttosto l’analisi dei legami tra l’acqua e le attività antropiche, inoltre nella sua ciclicità, l’acqua consumata in un certo periodo non viene restituita all’ecosistema da cui proviene e sono quindi volumi persi. L’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico, ad esempio il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo di acqua blu. La water footprint offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come il consumatore o produttore influisce sull’utilizzo di acqua dolce: è una misura volumetrica del consumo e dell’inquinamento dell’acqua.

Non misura quindi la gravità dell’impatto a livello locale, ma fornisce un’indicazione sulla sostenibilità spazio-temporale dalla risorsa acqua utilizzata per fini antropici.

 

Water Neutrality

 

Rendere water neutral un’attività significa ridurne la WF compensando economicamente le esternalità negative attraverso investimenti in progetti che promuovano l’uso equo e sostenibile dell’acqua presso l’ambiente e le comunità coinvolte. Il concetto di water neutrality può essere declinato per un prodotto, per un’impresa (con riferimento alla riduzione della WF e della compensazione economica della WF rimanente dell’intera catena di fornitura) o per un individuo o collettività.

Sebbene ci siano problemi con la quantificazione il significato pratico della neutralità dell'acqua diventa un concetto intuitivamente attraente: fornisce una direzione generale o un obiettivo aspirazionale per le industrie minerarie e di trasformazione dei minerali su cui puntare, il raggiungimento della neutralità dell'acqua per l'industria estrattiva non è del tutto possibile perché sarà sempre necessaria acqua aggiuntiva per compensare le perdite dai processi e pertanto potrà essere raggiunta solo attraverso utilizzo di sistemi che si traducano in un uso più sostenibile dell'acqua in altri settori. Questi sistemi dovranno dimostrare una certa capacità di compensare gli effetti negativi ambientali, sociali ed economici.

 

 

 

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