Bloccato il 90% delle rinnovabili.

 

Francesco Buzzella (Confindustria Lombardia): "Ad essere a rischio, oggi, è il futuro industriale dell’Europa. Senza un’inversione di rotta tra qualche mese le aziende inizieranno a chiudere. La crisi energetica potrebbe portare a qualche ripensamento Ue anche negli obiettivi di lungo termine, dando più tempo all’industria europea per affrontare la transizione."

 

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

L'articolo di oggi non è un articolo ma una prima pagina: quella del Sole 24 Ore. Di ieri.

Ci è parsa particolarmente significativa perchè evidenzia la totale schizofrenia esistente in seno alla Confindustria.

Il titolone in prima pagina del Sole di ieri era: "Bloccato il 90% delle rinnovabili", che annunciava il solito articolo pro rinnovabili del solito Jacopo Giliberto, con i soliti argomenti triti e ritriti, questa volta supportati, pensate un po', dal "nuovo rapporto Regions del centro studi Elemens". Citare il "centro studi Elemens" per valutare le rinnovabili in Italia è come citare il canale televisivo pubblico Rossija 1 per analizzare la guerra pardon l'operazione speciale in Ucraina. Il vittimismo di Elemens (acriticamente accettato da Giliberto, che attacca more solito ministero della Cultura e Regioni per il loro presunto ostruzionismo agli impianti Fer salvifici) viene peraltro smentito oggi sul Corriere della Sera dal ministro della "Transizione ecologica" Cingolani.

Cingolani, intervistato da Daniele Manca (un altro immarcescibile rinnovabilista), ha testualmente risposto alla domanda: 

 

"Non mi sembra si stiano facendo grandi passi in avanti sul fronte delle rinnovabili.
«Sbaglia. Abbiamo appena concluso un’asta da 1,8 gigawatt di rinnovabili e, grazie al decreto Semplificazioni, in Consiglio dei ministri abbiamo sbloccato molti impianti fermi per problemi autorizzativi arrivando in tre mesi a un totale di quasi 3 gigawatt, più di quanto fatto nei due anni precedenti."

 

Ma queste sono piccole meschinità. Quello che invece più ci interessa, perchè più vicina alla realtà "reale" e non a quella immaginata dai giornaloni italiani, è l'intervista, anch'essa annunciata in prima pagina del Sole ("Futuro aziende, forti incognite senza tetti al gas o misure straordinarie"), a Francesco Buzzella, presidente della Confindustria Lombardia, realizzata da Luca Orlando:

 

«Si può pensare ad un tetto europeo ai prezzi. O in alternativa ad uno scostamento di bilancio straordinario per l’Italia. Ma l’emergenza del gas va risolta subito, altrimenti le aziende chiudono». Questo, in sintesi, è il messaggio che Francesco Buzzella ha trasferito agli europarlamentari lombardi (assenti i rappresentanti M5S) e alle istituzioni Ue, grido di allarme lanciato in occasione di una trasferta a Bruxelles che il presidente di Confindustria Lombardia ha realizzato con l’intera squadra delle territoriali lombarde degli imprenditori.

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«Ho trovato consapevolezza del problema – spiega Buzzella – ma solo fino ad un certo punto. Forse la gravità della situazione non era percepita fino in fondo: ad essere a rischio, oggi, è il futuro industriale dell’Europa. E i numeri, del resto, parlano chiaro: negli Usa il gas oggi costa 13 dollari al MWh, in Asia 30-40, da noi in Europa anche 120. Reggere in queste condizioni, per un sistema economico che punta sulla trasformazione, è impossibile: come si può continuare a produrre?». Qualcuno, in effetti, non lo fa già più in modo costante. Acciaio, metallurgia, carta e piastrelle hanno già adottato in più casi una politica di “stop and go”: si guarda il prezzo del gas e si decide se lavorare oppure no.

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«Io stesso – spiega – nella mia azienda guardo il prezzo del gas almeno quattro volte al giorno: la sensazione è che senza un’inversione di rotta tra qualche mese le aziende inizieranno a chiudere.

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Alle rinnovabili vanno affiancate fonti diverse e quindi occorre avere più gas italiano, più rigassificatori, contratti aggiuntivi con altri paesi. L’idrogeno può essere una prospettiva di medio termine ma prima di allora servono altre azioni». Crisi energetica che potrebbe portare a qualche ripensamento Ue anche negli obiettivi di lungo termine (-55% delle emissioni rispetto al 1990 è il target per il 2030), dando più tempo all’industria europea per affrontare la transizione. «Oggi nessuno naturalmente si vuole esporre, è ancora presto per prendere iniziative. La mia sensazione però è che nei prossimi mesi vedremo qualche cambiamento di rotta: la Commissione deve confrontarsi con la realtà dei fatti, ora decisamente diversa rispetto a quella di pochi mesi fa».

 

Amici del Sole 24 Ore ed amici della Confindustria: mettetevi d'accordo. Quello che è vitale sono i target europei dell'European green deal imposti dalla commissione Von der Leyen (che hanno innescato la crisi del prezzo del gas e permesso a Putin di godere delle enormi rendite sufficienti a fare la guerra in Ucraina) oppure "il futuro industriale dell’Europa"?

Non si può continuare a tenere il piede in due scarpe.

Gli industriali italiani non possono rimanere sulla stessa barca di cui le "utilities" reggono il timone, in virtù dei maggiori contributi versati grazie ai megagalattici extra profitti garantiti dalla costosissima "transizione energetica". Se non altro perchè si sta dirigendo a tutta velocità verso gli scogli.

Ormai è diventato inevitabile abbandonare rapidamente la nave e fondare una nuova associazione, questa volta davvero di industriali, lasciando andare la barca dei redditieri dell'energia al suo destino (che sarà forzatamente quello della nazionalizzazione).