Se la transizione green fa ritornare le brioche di Maria Antonietta

 

"Oggi, a una folla che rischia di non avere il pane domani per mancanza di diesel, si consigliano pale eoliche, pannelli solari e macchine elettriche che, forse, saranno una soluzione tra vent’anni."

 

L'articolo del giorno. Rassegna stampa per i resistenti sui crinali a cura di Alberto Cuppini.

 

In questi giorni sul Sussidiario c'è un Paolo Annoni scatenato. La realtà sta confermando le sue (e le nostre) fosche previsioni sugli esiti della politica di questi anni tesa ad incentivare acriticamente le "rinnovabili" non programmabili. Riportiamo senza commento alcuni brani (i grassetti sono nostri) dei suoi ultimi articoli, che forniscono importanti argomenti ai resistenti sui crinali contro l'assurda invasione delle pale eoliche, invitando a leggerli integralmente sul sito de Il Sussidiario.net.

Dall'articolo del 4 maggio "Tassa sugli extraprofitti/ Aumenta il consenso del Governo, ma non l’energia agli italiani”:

"Le società energetiche si confrontano già con Governi che decidono di spegnere o accendere quella o questa fonte tradizionale sulla base di presupposti politici e che oggi subiscono incrementi dei prezzi dei componenti e in alcuni casi difficoltà nel loro reperimento. L’incertezza regolamentare è forse il principale ostacolo, persino più di una tassazione elevata, agli investimenti privati.

Nei fatti l’economia “green” dell’Occidente mette a repentaglio la sicurezza alimentare dei Paesi in via di sviluppo. Tutto sotto l’insegna degli investimenti “socialmente responsabili”.

Le rinnovabili nell’orizzonte temporale di breve medio periodo, quello che assicura la sopravvivenza del sistema industriale, possono influire minimamente, se non in misura impercettibile, sull’equazione.

Siamo abituati a pensare a queste misure dando per scontato, com’è successo finora, che ci siano risorse abbondanti e a basso prezzo per tutti, ma questo non è lo scenario che si prospetta. I prezzi di mercato delle risorse energetiche in uno scenario di offerta strutturalmente più bassa della domanda sono destinati a salire se non si risolve la questione della produzione. Gli aiuti o la compressione dei prezzi a queste condizioni portano inevitabilmente a uno scenario da “tessera annonaria” magari marchiata con un’accattivante dicitura “green”.

Le società private sono incentivate a rimanere tra gli spettatori per non farsi mettere il mirino addosso. I paragoni con alcune esperienze politiche fallimentari si sprecano."

 

Dall'articolo dell'undici maggio "Biden vs inflazione/ La vittoria di Pirro che il Presidente Usa può ottenere":

"Gli incrementi del prezzo del gas, del petrolio, dei fertilizzanti e di tante altre materie prime sono cominciati all’inizio dell’estate del 2021 ben prima del conflitto in Ucraina.

“L’Occidente” paga almeno un decennio di bassi investimenti in materie prime e fabbriche.

Le rinnovabili costano molto di più delle fonti tradizionali. Nel settore energetico questo è un dato noto. Pensiamo, per esempio, ai costi enormi che si impongono sulla rete a causa della volatilità della produzione rinnovabile. Tralasciamo il lato ambientale oscuro di alcune rinnovabili. La Germania, che è forse il Paese al mondo che ha speso di più in rinnovabili facendo leva sul più grande surplus commerciale globale, non solo non si è svincolata dagli idrocarburi, ma oggi deve affrontare possibili blackout. Puntare l’indice contro le società energetiche invece è miope e controproducente. Le società energetiche non investono, nonostante prezzi degli idrocarburi record, perché i Governi da anni dicono chiaramente di non volere più gas e petrolio. Oggi con i prezzi delle componenti esplosi e i timori sulla crescita globale le società energetiche tutto vorrebbero fare tranne che investire in un settore che i Governi dicono in tutte le salse di voler chiudere nel medio periodo e che ostacolano in ogni modo. L’Unione europea, per esempio, ha approvato norme che pongono paletti stringenti agli investitori e alle banche che vogliono investire in energia tradizionale."

 

Dall'articolo del 12 maggio "Inflazione USA/ Perché per abbassarla si vuole provocare una recessione?":

"Il costo dell’energia, che non viene risolto con le rinnovabili, quello degli alimentari e quello importato con la rottura delle catene di fornitura sono, come ha notato anche Biden, esterni e fuori dal controllo americano.

La questione politica è come mai sia preferibile far scendere l’inflazione con una recessione in un contesto geopolitico esplosivo piuttosto che, per esempio, ricorrere a fonti energetiche meno costose e affidabili oppure perché si continui a spingere sul bioetanolo a discapito di produzioni per uso alimentare. Oppure, ancora, perché, è il caso europeo, si puniscano i consumatori imponendo certificati verdi su imprese che non possono far altro che passarli sui prezzi finali. È una domanda a cui non sembra esserci una risposta immediata."

 

Dall'articolo di sabato scorso "Se la transizione green fa ritornare le brioche di Maria Antonietta":

"Nella costa orientale degli Stati Uniti si teme un razionamento del diesel, che avrebbe effetto importanti su agricoltura e trasporti... Negli ultimi dieci anni il numero di raffinerie che producono il distillato sulla costa orientale si è dimezzato... la crisi del 2008 non ha aiutato, la transizione “green” e un approccio generalmente ostile della “politica” ha fatto pendere le decisioni delle società di raffinazione verso la chiusura; da ultimo il percorso per autorizzarne di nuove è particolarmente complicato... Il prezzo del diesel è già aumentato molto negli ultimi mesi e oggi si rischia lo spettro dei razionamenti. Se i camion non girano, non arrivano i prodotti nei supermercati e l’agricoltura soffre in una fase in cui le riserve di grano e di alimentari sono ai minimi; è persino inutile specificare cosa possa comportare questa situazione dal punto di vista economico e sociale.

In una situazione di questo tipo... la politica spinge – si veda il discorso sull'economia di Biden di martedì – sulla “transizione energetica”. Su questa transizione ci sono due certezze: la prima è che è costosissima, la seconda è che per i prossimi dieci anni almeno, nella migliore delle ipotesi, serviranno ancora gli idrocarburi. È costosissima come ci dicono tutti i giorni i principali organi di informazione globali, dal Financial Times e Bloomberg in giù, perché bisogna costruire ex-novo un’alternativa a quello che c’è già e perché nessuno ha ancora risolto la questione, anche questa irrisolvibile nei prossimi dieci anni, dell’immagazzinamento di fonti che nascono e muoiono, non programmabili e volatili. L’obiezione quindi è che costruire una nuova raffineria sarebbe una scusa per rimandare la transizione; nessuno si chiede quale sia l’investitore privato che costruisca in due anni un impianto che dovrebbe chiudere tra dieci. Nel frattempo, a brevissimo, si rischia, per mancanza di diesel, di non trovare pasta e prosciutto al supermercato. Tutto questo ricorda un’altra fase storica. Pare che la regina Maria Antonietta abbia consigliato di risolvere la mancanza di pane che affliggeva una folla in ebollizione consegnando brioches. Oggi, a una folla che rischia di non avere il pane domani per mancanza di diesel, si consigliano pale eoliche, pannelli solari e macchine elettriche che, forse, saranno una soluzione per 7 miliardi di persone, o anche solo per il “primo mondo”, tra vent’anni. Magari questa volta l’esito sarà diverso. Oppure no."

 

E infine, oggi stesso Annoni ha pubblicato "Inflazione e crisi alimentare mettono le Banche centrali all’angolo", che così si conclude:

"Oggi la discussione è tutta tesa a un aumento del ruolo dello Stato e all’imposizione di regole, in primis sulla transizione energetica, che vengono calate dall’alto al basso senza alcun riguardo per la realtà economica e produttiva e per il buon senso. Bisognerebbe invece creare le condizioni perché le imprese trovino la soluzione senza l’imposizione di ricette che un gruppo di autoproclamati ottimati ha deciso di imporre senza alcun riguardo per i costi subiti dalle famiglie. Sono ricette per un disastro economico e politico perché non c’è niente di peggio per la libertà di uno Stato o di organismi parastatali ipertrofici in una situazione di crisi strutturale."

 

Alberto Cuppini