CNP in audizione alla Camera contro la speculazione eolica

Guasti paesaggistici, eccezione Italia per l'eolico, no garanzie pubbliche per i PPA, basta incentivi occultati in bolletta, bond europei per la transizione energetica, ImEA, recupero dell'enorme potenziale dell'idroelettrico a bacino esistente. Questi i principali argomenti sollevati da Oreste Rutigliano e Alberto Cuppini nel corso dell'audizione del Comitato Nazionale per il Paesaggio di lunedì 25 novembre presso la X Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati sulla SEN e il PNIEC per il 2030.

 

A seguire l'abstract del documento - fortemente critico verso le politiche di contrasto al cambiamento climatico fin qui seguite - trasmesso dal CNP alla X Commissione:

Il Comitato Nazionale per il Paesaggio, assieme alle associazioni ambientaliste fautrici delle fonti rinnovabili (di seguito FER) ma consce dei limiti di quelle elettriche intermittenti - e delle conseguenze della colossale speculazione finanziaria e territoriale che caratterizza il loro sviluppo – ha sempre partecipato con le proprie osservazioni critiche e con le proprie proposte al dibattito pubblico sulle politiche energetiche e ambientali, intervenendo alle consultazioni indette dale istituzioni competenti. Lo ha fatto anche sulla "Strategia Energetica Nazionale" (di seguito SEN), allo scopo di richiamare una più rigorosa valutazione, delle gravi conseguenze derivanti dal perdurare di una politica disinvolta in materia di insediamento di centrali eoliche.

Oggi, commentando il "Piano Nazionale integrato Energia e Clima" (di seguito PNIEC) confermiamo la richiesta di fermare il non necessario disastro urbanistico, territoriale, ambientale, paesaggistico in atto con la corsa all'eolico (e ad alcune altre tecnologie impattanti), e di dirottare più utilmente le risorse finanziarie verso serie politiche di contrasto e mitigazione del cambiamento climatico. Lo scorso anno la produzione dell'intero settore eolico in Italia, con tutti i danni ambientali e paesaggistici che gli oltre 7.000 aerogeneratori esistenti hanno già arrecato, ha corrisposto a circa il 5% dei consumi elettrici nazionali, pari a, si badi bene, 1,5% del fabbisogno energetico complessivo!

Purtroppo, nonostante tutte le evidenze, i limiti principali della SEN sono stati riproposti nel PNIEC. L'obiettivo di produzione di energia da FER è stato ulteriormente elevato al 30%. La produzione del fotovoltaico, che dovrà passare da poco più dei 20 TWh del 2018 ai 74,5 del 2030, è destinata a quasi quadruplicare e la produzione da eolico, che dovrà passare dai 17 TWh del 2018 ai 40,1 del 2030, dovrà più che raddoppiare.

Nel PNIEC vengono tradotti in cifre gli obiettivi italiani al 2030 illustrati nella Strategia Energetica ed in particolare quelli della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che ci appaiono, per l'entità sproporzionata dei costi sottesi, il vero traguardo a cui si punta nel documento: ci dobbiamo attendere, in prospettiva 2030, l'installazione di una quantità stragrande di pale eoliche. Il PNIEC, se approvato (come sarà approvato) dalla CE, diventerebbe infatti vincolante per l'Italia e renderebbe tale installazione (cha la nuova SEN faceva vagheggiare pressoché a costo zero), di fatto, obbligatoria. Si dovranno quindi costruire a tutti i costi impianti eolici dovunque. "A tutti i costi" si deve intendere sia in senso stretto (come esborso finanziario per la collettività) sia in senso metaforico. E cioè, crediamo di potere anticipare, con l'allentamento dei già flebili vincoli ambientali e paesaggistici ed il superamento di ultra decennali tutele amministrative, da considerarsi a quel punto alla stregua di puri e semplici impacci.

Va da sé che siamo assolutamente contrari alla riduzione delle tutele per l'installazione di nuovi o più potenti impianti eolici, che anzi meriterebbero ben altre modifiche. Già adesso le linee guida nazionali in materia di eolico offrono tutele risibili mentre Piani paesistici e norme urbanistiche regionali in materia sono "ostaggio" di plateali condizionamenti. Parlare di "mitigazione" (si veda anche la pag. 55 della SEN) risulta offensivo non tanto per noi ma per il buon senso di chi usa questo termine per impianti colossali posti il più delle volte in cima alle montagne e nelle aree più preservate del Paese. Una virtuale passeggiata tra le colline martoriate dell'Italia Centro meridionale varrebbe più di mille descrizioni.

Per ciò che riguarda lo sforzo finanziario, quello sin qui compiuto per gli obiettivi 2020, ha impegnato circa 230 MLD, una cifra, cioè, equivalente al 13% del PIL italiano corrente o, se si preferisce, a circa il 10% dell'immane debito pubblico del Paese. Esso ha contribuito alla deindustrializzazione e all'impoverimento del Paese, già colpito dalla crisi economica nell'ultimo decennio. Questi incentivi, figli del conformismo del pensiero unico ambientalista e che si protraggono ormai da quasi vent'anni, hanno distorto il mercato elettrico, la concorrenza e soprattutto la capacità innovativa verso soluzioni energetiche veramente alternative agli idrocarburi fossili ed al nucleare a fissione.

Non solo: privilegiando, tramite la priorità di dispacciamento, le fonti non programmabili come eolico e fotovoltaico, si è pure destabilizzato tutto il sistema elettrico italiano. Ne leggiamo la gravissima ammissione a pag. 115 e 116 della stessa SEN. Nel 2016 non abbiamo solo sperperato 14,4 miliardi di incentivi per sussidiare appena 65,5 TWh su un consumo interno lordo di 321,8 TWh (una spesa, cioè, equivalente a oltre l'uno per cento del PIL annuale, considerando tutti i costi ancillari dovuti alla natura erratica della produzione eolica e fotovoltaica, per incentivare la produzione di appena il 20% dell'energia elettrica consumata in Italia), ma abbiamo anche più volte corso "rischi per la sicurezza", ovvero blackout dalla durata e dagli esiti imprevedibili.

La Strategia Energetica Nazionale si è ridotta così ad una strategia solo elettrica dove appare ormai evidente che ci troviamo ad affrontare le spinte di alcune lobby che stanno cercando di imporre "una" soluzione come "la" soluzione del futuro, evitando che il dibattito e le analisi prendano in considerazione tutte le soluzioni possibili, scegliendo la migliore, la più conveniente e sostenibile per il Paese. La decarbonizzazione non passa infatti solo dall'elettrico, né tanto meno dall'eolico industriale, meno che mai in Italia.

Sia la SEN che il PNIEC non ci dicono neppure se i costi per i cittadini continueranno ad essere occultati in bolletta o se verranno addossati alla fiscalità generale oppure se verranno finanziati in deficit spending. Intanto persiste un gap tra i prezzi pagati per l'elettricità dalle imprese italiane, in particolare le piccole, rispetto ai concorrenti europei ed a maggior ragione a quelli extra europei. Il divario di prezzo è determinato pressochè interamente dagli oneri fiscali e parafiscali. Con gli oneri aggiuntivi insiti negli obiettivi PNIEC al 2030, sta dunque per piovere sul bagnato. Ciò comporterà, prima o poi, la totale delocalizzazione delle nostre industrie in altri Paesi dove l'ideologia mainstream della transizione energetica basata sulle rinnovabili ed il mantra della "decarbonizzazione integrale" non saranno state neppure prese in considerazione.

Tutti i numeri del PNIEC afferenti ai costi vengono dati a braccio e con la massima superficialità. Con il PNIEC aumenteranno le voci "Reti" e "Accumuli" e quelle relative al dispacciamento e al bilanciamento del sistema. La stessa Terna ammette che non è neppure scontato che, chiudendo il grosso della generazione termoelettrica, il sistema elettrico tenga. Tutte le obiezioni tecniche sono però risolvibili, ma con costi che sommati diventerebbero schiaccianti ed insostenibili per qualsiasi economia, ed in particolare per l'arrancante economia italiana dell'ultimo ventennio.

Il PNIEC prevede 184 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi. È però facile prevedere che la spesa totale potrebbe essere, a regime, addirittura il doppio dei previsti 184 miliardi (determinando, tra l'altro, un'ulteriore pesante riduzione di competitività delle imprese italiane, in particolare quelle manifatturiere esposte alla concorrenza internazionale), da aggiungere ai circa 230 già stanziati solo per gli incentivi alle FER elettriche.

Si deve inoltre dedurre, in assenza di breakthrough tecnologici e di significativi segnali di riduzione dei prezzi degli aerogeneratori, che si intende ritornare ad un sistema di incentivazione più prodigo e privo sia di contingentamenti che di tetti di spesa, analogo a quello dei certificati verdi adottato fino al 2012. Lo strumento individuato per realizzare questa immensa operazione speculativa è il PPA (Power Purchase Agreement). Lanciamo qui l'allarme per evitare che i PPA siano incentivati "attraverso una garanzia pubblica", come molti prospettano. Se proprio sarà necessario continuare ad incentivare (o, come sarebbe meglio dire, sussidiare) l'eolico, è di gran lunga preferibile mantenere l'attuale sistema delle aste competitive.

Tutto questo controproducente zelo ultra-ortodosso per la tutela del clima globale condurrà inevitabilmente tutti i Paesi europei alla creazione di un installato con caratteristiche di alta flessibilità pari all'installato delle fonti rinnovabili non programmabili. Un raddoppio del sistema elettrico, in definitiva, ed una moltiplicazione dei suoi costi. Si dimostra vieppiù che per l’energia non esistono soluzioni semplici e che non aiuta la demagogia delle piazze.

In particolare riteniamo compito precipuo del Parlamento evitare che tali enormi costi continuino ad essere celati nelle bollette elettriche di tutti gli italiani, anzichè essere palesati e portati a carico della fiscalità generale.

Siamo perciò convinti che si debba rinunciare a sussidiare ulteriormente le FER elettriche non programmabili non solo per l'impatto paesaggistico, ma anche per i costi derivanti delle criticità ancora presenti sul fronte accumuli. In attesa di sviluppi - che riteniamo improbabili - in questo campo, siamo disposti a tollerare quote di fotovoltaico destinate all'autoproduzione e collocate in aree non di pregio.

Ad inoppugnabile testimonianza della inconsistenza dei costosissimi sforzi di queste politiche europee (in Italia in particolare), va qui ricordato che dal 1992, anno del primo Summit della Terra a Rio de Janeiro, ad oggi le emissioni globali di CO2 da energia sono aumentate del 60%.
La politica europea avrebbe potuto essere più efficace se si fosse basata su un solo semplice target di riduzione delle emissioni. Il dover rispettare obiettivi di secondo ordine, come la percentuale di energia da rinnovabili sui consumi, renderà meno efficace, più costoso (l'Italia già nel 2016 è stata prima tra i Paesi del G20 nei prezzi finali dell’elettricità all’industria) e meno tempestivo lo sforzo verso l’obiettivo primario. Interesse nazionale, benessere della popolazione, profitti delle imprese non possono essere ignorati in nessun caso, pena l'auto-mutilazione energetica della Nazione e la rivolta degli italiani.

Il problema della decarbonizzazione è arduo, costoso e ultra complesso; in corrispondenza, l'orizzonte tecnologico, al pari di quello politico, è in continua e tumultuosa evoluzione. Dobbiamo perciò evitare di ipotecare il futuro dell'economia nazionale, già altamente regolamentata e compressa, con ulteriori vincoli, visto che il debito residuo acquisito in incentivi alle FER elettriche ammonta a quasi 120 miliardi fin oltre il 2031. Ulteriori errori dettati dalla fretta o dall'ideologia alla moda sarebbero esiziali per il Paese e niente affatto risolutivi per i cambiamenti climatici.

Proponiamo quindi di abbandonare, d'accordo con l'Unione Europea, il sotto-obiettivo della produzione di energia da FER sui consumi finali di energia e di intraprendere piuttosto un piano di investimenti finalizzati sotto il controllo dell'Unione Europea, cogliendo l'occasione di combinare una classica politica keynesiana con il conseguimento di obiettivi climatici globali, sia in materia di contrasto che di mitigazione. A tutti i Paesi europei dovrebbe essere consentito fino al 2030 uno sforamento ampio dei deficit pubblici (che reputiamo dover essere non inferiore al 2% annuo del PIL per essere minimamente credibile), meglio se finanziato con bond europei ad hoc, così da poter destinare risorse aggiuntive ad un piano di investimenti pubblici ad alto moltiplicatore.

Per l'Italia si tratterebbe di re-indirizzare la sua politica sulla base delle nostre peculiarità storiche, privilegiando, al posto di queste tecnologie di importazione estera come le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici, le potenzialità economiche nazionali, come il settore meccanico, metalmeccanico e termo-idraulico, il mini geotermico e l'edilizia. Non vogliamo essere "i primi della classe" nelle rinnovabili elettriche, come si vanta la SEN; primi della classe lo siamo già nell'efficienza energetica, come risulta da vari rapporti internazionali. Oltre all'adozione in tutti i settori delle best practice di efficienza energetica, agli investimenti nel trasporto pubblico, alla messa in sicurezza del territorio e, soprattutto, ad un impegno senza precedenti su ricerca e sviluppo, indichiamo come prioritari per l'Italia:
- l'adozione dell'Imposta sulle Emissioni Aggiunte (IMEA) proposta dalla Professoressa Gerbeti - la cui elaborazione teorica deve essere ancora affinata - o di un'altra imposta pigouviana per valorizzare sull’IVA le reali emissioni di CO2 incorporate in tutti i beni e servizi consumati (non prodotti) in Europa;
- la manutenzione straordinaria delle dighe esistenti e l'abolizione degli usi concorrenti alla produzione elettrica (allegato B), a parte il deflusso minimo vitale, che dovrebbero essere a carico di altri invasi, in gran parte da realizzare, riservando l’acqua dei bacini con impianti idroelettrici alla sola produzione di elettricità;
- la moltiplicazione delle risorse europee destinate allo sviluppo delle tecnologie del nucleare a fusione;
- la realizzazione delle "autostrade digitali".

 

Qui il testo integrale del documento : Testo integrale del documento CNP