Il morbo infuria, il gas ci manca, la lobby eolica non è mai stanca

L'esplosione dei prezzi energetici è diventata una scusa invocata dagli speculatori delle rinnovabili per montare sempre più impianti con sempre meno regolamentazioni, senza che nessuno faccia osservare che proprio quegli impianti, presentati falsamente come alternativi, sono stati la causa del disastro, avendo dato l'illusione di potersela cavare senza avere più bisogno nè di gas nè di altri combustibili fossili e quindi cessando di investire in quelle filiere.

 

Questa volta il vittimismo dei lobbysti è stato troppo anche per la Staffetta Quotidiana, da sempre schierata a fianco delle rinnovabili elettriche nella "transizione energetica" (sebbene non in modo acritico e facilone come fanno invece i "giornaloni" italiani). Il 2 febbraio la Staffetta è così sbottata: "WindEurope sbaglia i conti. Un attacco sguaiato, fuori tempo e fuori mira".

Che cosa ha suscitato l'ira della Staffetta? Leggiamo l'incipit dell'articolo:

"Sparare contro la burocrazia in Italia è sport fin troppo praticato. L'attacco sferrato ieri da WindEurope all'esito della settima asta Gse per gli incentivi alle rinnovabili è però, oltre che scomposto, anche fuori mira e fuori tempo. Evidentemente l'associazione europea che tutela gli interessi dell'industria eolica ha fonti di informazione piuttosto superficiali sull'Italia, se è vero che raccoglie sostanzialmente le lamentazioni sui progetti bloccati, che hanno facile accesso sulla stampa generalista, ma non tiene conto dei segnali piuttosto consistenti di inversione di tendenza registrati negli ultimi mesi – che si possono rilevare anche leggendo con un po' di attenzione i risultati della stessa asta Gse."

Gli esiti delle ultime aste, in realtà, sono stati trionfali: aggiudicatari sono stati 18 impianti eolici per 392 MW e 52 FV per 583. Il rapporto di potenza eolico/FV è stato dunque di circa 2 a 3. Nei registri (impianti con potenze inferiori al MW) il rapporto dei progetti presentati è stato molto superiore: di oltre 12 a 1 per il FV. Il potenziale rinnovabile assegnato in questa sessione, se le aste future fossero tre all'anno,come spiega la Staffetta, sarebbe in grado, in una prospettiva decennale, di raggiungere i (pazzeschi) obiettivi Fer previsti dal Pniec per il 2030.

Il successo di partecipazione dell'ultima asta è dovuto essenzialmente al livello mostruoso raggiunto dal prezzo dell'elettricità sul mercato all'ingrosso (e non dalle "semplificazioni" come viene gabellato da tutta la stampa), prezzo che rende, di fatto, l'incentivo statale garantito non più un premio come è stato finora, ma piuttosto una assicurazione (gratuita) sulla caduta di tale prezzo oltre un certo limite (tecnicamente, nel trading, si parlerebbe di opzione put "paracadute"). La differenza, rispetto al trading, è che in questo caso l'opzione put, che lo speculatore che va lungo su un mercato (cioè acquista una attività - in questo caso l'energia elettrica da Fer - per rivenderla a un prezzo più alto) compera per garantirsi da possibili ribassi, è offerta graziosamente dallo Stato, che limita le perdite dello speculatore al prezzo fissato dallo speculatore stesso in asta.

Ma, a questo punto, appare improbabile (anche se non impossibile, soprattutto in caso di recessione ed a maggior ragione nel caso di una depressione globale, di cui sulla stampa internazionale si scorgono molteplici sintomi) che il prezzo dell'elettricità torni ai livelli da noi conosciuti in questi anni felici del dopoguerra di energia facile ed a buon mercato. Ciò, naturalmente, in costanza di queste scellerate politiche a favore delle dannose rinnovabili non programmabili, ormai finalizzate non già alla lotta ai cambiamenti climatici, ma alla "decarbonizzazione integrale" al 2050, che è tutt'altra cosa.

A questo proposito si segnalano le forti parole del professor Alberto Clò, intervistato da Carlo Valentini di Italia Oggi nell'articolo "Se dovrà essere razionato il gas":

"...il metano potrebbe essere sostituito dalle rinnovabili. Argomento falso e fazioso cui comunque la politica sembra piegarsi, poco attenta agli interessi generali del paese che rischia di rimanere senza energia".

Forse persino più compromettente e fuori dal coro l'affermazione del professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, intervistato da Mariarosa Marchesano del Foglio nell'articolo "Così il climaticamente neutro può mettere l'Ue in blackout", che ammette per la prima volta in termini così espliciti: "io credo che una sostituzione completa tra fonti fossili e rinnovabili non sia realizzabile neanche nel lungo periodo".

Che i prezzi energetici non torneranno ad essere quelli convenienti che abbiamo conosciuto lo ha ammesso - con incredibile candore e superficialità - lo stesso commissario UE per l'Energia Kadri Simson in audizione al Parlamento europeo: “i prezzi dell'energia rimarranno alti e volatili per un periodo più lungo di quanto previsto, e dovrebbero stabilizzarsi successivamente su livelli più elevati rispetto alle medie storiche... dobbiamo essere pronti a qualsiasi scenario”.

Ecco allora che si è ricreata, più grossa che mai, la bolla speculativa delle Fer elettriche, che si era sgonfiata nel 2012, all'improvviso, con la modifica di quei sistemi incentivanti, generosi fino alla follia, per i quali erano stati già allora stanziati 220 miliardi e che dovremo continuare a pagare ancora per altri dieci anni. Ci fa conoscere le enormi dimensioni della nuova bolla eolica, in crescita giorno dopo giorno, un lavoro di sintesi, su dati GSE e Terna, della Staffetta Quotidiana dell'undici febbraio, "Eolico: nel 2021 progetti per 5,5 GW, autorizzati 584 MW".

Aggiungiamo al già interessante articolo qualche considerazione che la Staffetta evita di fare.

Nel solo 2021 sono stati presentati 5,5 GW di progetti eolici a terra e 11,2 GW in mare. Secondo il Pniec al 2030 il potenziale aggiuntivo TOTALE da installare dovrebbe essere di circa 8 GW (19,3 GW previsti al 2030 meno gli oltre 11 già installati) di cui 0,9 GW offshore. C'è dunque qualcosa che stride: in un solo anno sono stati presentati progetti eolici pari al doppio dell'obiettivo residuo previsto per il 2030. Peggio ancora, apprendiamo che la Terna l'anno scorso ha ricevuto richieste di allacciamento alla rete per 150 GW ( ! ) di rinnovabili. Ricordiamo che il potenziale massimo di energia elettrica richiesto finora in Italia è stato di 61 GW.

Qui siamo all'assurdo, eppure nessuno, ma proprio nessuno, solleva obiezioni su questi numeri. Parlare semplicemente di bolla speculativa è persino inadeguato. Tutta questa robaccia, con la quale si sfigureranno tutte (tutte) le località più amene d'Italia, bisognerà obbligatoriamente pagarla ed i costi si aggiungeranno a quelli della filiera del gas e a tutti gli altri investimenti energetici tradizionali (a cominciare dall'idroelettrico a bacino) che negli ultimi anni sono stati trascurati ma che rimangono indispensabili ad evitare blackout, per quante pale (o pannelli) vengano montate.

Ma c'è dell'altro. L'improntitudine degli eolici non ha infatti più limiti. Fa da cassa di risonanza a queste pretese senza fine e senza vergogna, a testimonianza della degenerazione in atto in Italia sul fronte del senso comune, persino un quotidiano che finora aveva mantenuto un certo equilibrio di giudizio. Così si legge sul Messaggero del 2 febbraio, nell'articolo siglato R.Amo. "Rinnovabili, già sbloccati oltre settanta impianti. Ma c'è il nodo fidejussioni":

"Oltre a vigilare contro i rigurgiti di burocrazia anti-transizione, l'esecutivo dovrebbe sostenere temporaneamente le imprese facendo da garante per le fideiussioni necessarie all'avvio della realizzazione delle opere."

Adesso agli eolici non basta più che tutta la loro produzione elettrica venga acquistata, con la garanzia della priorità di dispacciamento, ad un prezzo minimo stabilito dallo Stato, ma pretendono anche una garanzia pubblica per ottenere i finanziamenti bancari per realizzare i nuovi impianti. Vogliono le fideiussioni dal governo per procurarsi le galline dalle uova d'oro senza spendere nemmeno un euro di tasca propria!

Il vero problema per gli speculatori, ormai, non dovrebbe più riguardare il livello dei profitti quanto piuttosto che salti il banco, quando la politica si renderà conto che, mentre questi guadagni speculativi aumentano a dismisura, l'economia affonda. L'energia elettrica, in tal caso, tornerebbe ad essere nazionalizzata, con indennizzo per i proprietari degli impianti, come nel 1962, oppure, nel caso di una crisi esplosiva, senza indennizzo, come in Russia nel 1917. L'articolo 16 del decreto Sostegni, che è intervenuto con il garbo di un'autentica mannaia sugli extra profitti dei produttori elettrici per limare le bollette a carico dei consumatori, dovrebbe essere un campanello d'allarme per il futuro. Tutti i lobbysti si sono inalberati contro la fissazione di questi tetti di prezzo per le rinnovabili e sono allo studio ricorsi di ogni tipo. Qualcuno, più malizioso, è giunto persino ad ipotizzare che l'articolo 16 sia stato volontariamente concepito così male proprio per essere cassato, come già avvenuto per un analogo tentativo in Spagna.

Specularmente, il problema per gli utenti non saranno più, come negli ultimi anni, i mega incentivi in bolletta ed i costi dei servizi ancillari alle rinnovabili, quanto piuttosto il costo dell'energia da idrocarburi (che rimarrà sempre essenziale) per la legge della domanda (in aumento in tutto il mondo) e dell'offerta, già insufficiente e da qualche anno in diminuzione per il crollo degli investimenti, ristretti in Occidente, se non addirittura messi fuori legge, dall'isteria green.

A riguardo di tale costo, così titolava il Sole 24 Ore il 6 febbraio in prima pagina: "Caro energia, industria in caduta".

In realtà si trattava di un titolo gridato, stante la diminuzione di poco superiore all'uno per cento. Che non ci fosse stato il temuto crollo dell'attività economica dopo l'aumento monstre dei costi energetici alla vigilia di Natale era peraltro prevedibile anche dagli ottimi volumi di energia elettrica (pur a prezzi d'amatore) negoziati in gennaio sul Mercato del giorno prima.

Che si tratti di puro vittimismo (per ottenere qualche sussidio statale attraverso ulteriori, malaugurati scostamenti di bilancio) e che non ci sia stata ancora, nonostante l'estrema gravità della situazione, nessuna caduta si ricava dal grafico qui sotto, elaborato dal Centro Studi Confindustria.

Dal grafico CSC si noterà la differenza tra una vera caduta (e che caduta, senza precedenti nella storia dell'Italia unita) della produzione industriale realizzatasi nella primavera 2020 per decisione politica emotiva e suicida del governo "giallo-rosso", senza pari nel resto d'Europa (dove pure in fatto di emotività non hanno scherzato), che ha chiuso in casa tutti gli italiani (compresi i lavoratori dell'industria) per un paio di mesi.

Questo grafico sta anche a significare che nessuno (o quasi) ha cessato la produzione per eccesso di costi energetici dopo gli shock di ottobre e poi quello - spaventoso - della vigilia di Natale. Dai dati statistici correnti risulta anzi che i volumi dei portafogli ordini dell'industria sono ancora in crescita, anche se tale crescita è decelerata. Nessun industriale è quindi disposto a perdere quote di un mercato globale meraviglioso rinunciando a produrre, sia pure in presenza di costi energetici insostenibili. Ovviamente tutti considerano (o sperano) che la crisi sia transitoria e che si possa risolvere a breve, accettando di conseguenza le perdite per qualche mese, perdite compensate dai ricavi conseguiti (dagli esportatori) negli ultimi anni e soprattutto in vista di super profitti futuri.

Completamente diversa la prospettiva nel medio-lungo periodo. Riportiamo quanto dichiarato, senza ambiguità e mezzi termini, dal vice presidente della Confindustria Maurizio Marchesini: “Lo shock energetico è un problema per tutte le filiere. Il rischio che corriamo, oltre al blocco della produzione che sta già avvenendo in alcuni settori, è che le aziende spostino altrove la produzione. Questa è una tempesta perfetta per il mondo delle imprese ed è solo una anticipazione di quello che avverrà con la transizione ecologica”.

Bisogna anche riconoscere che, al momento, il prezzo dell'energia elettrica e del gas è già dimezzato (!) rispetto ai picchi toccati prima di Natale e che è lecito attendersi ulteriori diminuzioni di tali prezzi quanto più si avvicina la fine dell'inverno, confidando che nel frattempo non scoppi la guerra in Ucraina. Ciò non toglie che la situazione, seppure molto migliorata, permanga gravissima e insostenibile. Ricordo che il PUN a inizio febbraio rimane ben superiore ai 200 euro al MWh e che in tempi non sospetti avevamo affermato che, con prezzi dell'elettricità superiori ai 200 euro, in Italia saremmo finiti sott'acqua senza bisogno di attendere lo scioglimento dei ghiacci polari. La differenza rispetto a quanto sarebbe accaduto con il PUN a 400 euro (e oltre) come poche settimane fa è che l'annegamento dell'economia italiana avverrà più lentamente e non all'improvviso, a meno di una crisi epocale, tutt'altro che da escludere, dell'economia globalizzata per eccesso di debito, caduta del saggio tendenziale del profitto, esplosione della bolla speculativa delle Borse, accentuata carenza di materie prime, rialzi dei tassi di sconto per combattere l'inflazione, eccetera.

Chi non sembra di essersi accorto di quanto sta accadendo è il ministro della Transizione ecologica Cingolani, che ha appena dichiarato che “l’aumento dei costi rischia di superare il costo dell’intero pacchetto PNRR”.

In realtà questo sarebbe vero, lira più lira meno, con i prezzi di elettricità e gas della vigilia di Natale. Quello che però importa è che ci sia, nel governo, almeno una prima consapevolezza dell'ordine di grandezza del problema creato dalla "decarbonizzazione integrale". Non sarebbe stato male se Cingolani avesse aggiunto che, finora, solo per "incentivi" alle Fer elettriche è GIA' stata impegnata una somma SUPERIORE a quella prevista dal PNRR.

L'uscita fuori misura di Cingolani ha scatenato l'ironia di Tabarelli sulla Stampa, nell'articolo del 9 febbraio "Energia, se i mercati aprono uno spiraglio":

"Dal disinteresse dello scorso agosto quando è partita la spirale rialzista, all’iperbole di molte affermazioni di questi giorni, è un cambiamento della politica che indica il suo distacco dalla realtà delle cose. La stima del ministro della Transizione di un costo della crisi energetica pari alle risorse del Pnrr è esagerata, perché, nel peggiore dei casi, anche con prezzi fermi sugli attuali alti livelli, il deficit energetico del Paese, la migliore misura di quello che ci costa, non arriverà a 90 miliardi di euro, quasi 50 in più del 2021."

Cingolani, poi, insiste con la sua filastrocca del "non esiste un piano B". In realtà esiste anche un piano C, uno D e uno per tutte le lettere dell'alfabeto. L'unico piano che non esiste è quello A, cioè quello per il quale è stato nominato ministro: la "decarbonizzazione integrale" al 2050. Non è un piano. E' una sciocchezza e basta. La prima mossa da fare per evitare questi aumenti insostenibili per l'energia (che non sono, al contrario del PNRR, una tantum) è abolire il ministero della "Transizione ecologica" e quindi licenziare lui. E soprattutto licenziare l'improponibile Von der Leyen, per ripensare al problema del cambiamento climatico partendo da altre ben più solide basi e prevedendo ben altri tempi di soluzione.

Persino più severo di noi in questo giudizio è Carlo Lottieri, che si dimostra il pubblicista più acuto nell'analisi della degenerazione in corso della politica energetica italiana, nell'articolo sul Giornale dell'altro ieri "Ministro travestito da passante":

"Ogni tanto sembra che il ministro Roberto Cingolani si trovi al governo un po' per caso. Certo, di mestiere fa il ministro della Transizione ecologica (sic), ma poi prende la parola in pubblici dibattiti con il tono di chi si trova di passaggio ed esprime la sua opinione come potrebbe fare ognuno di noi... è evidente che proprio la transizione verde (che pare giustificare la sua presenza al governo) sia tra i maggiori fattori dei rincari dei prezzi che stanno patendo famiglie e imprese. Il sistema delle quote di CO2 da emettere, ad esempio, ha fatto sì che chi deve lavorare sia costretto ad acquistare certificati di emissione a prezzi crescenti. Per non parlare degli effetti della de-carbonizzazione e del fatto che moltissime imprese energetiche si stanno buttando sulle fonti rinnovabili non per ragioni di efficienza, ma soltanto per rincorrere i flussi della spesa pubblica. Di conseguenza, il Pnrr non è soltanto spesa pubblica e debito. Si tratta pure di un qualcosa che sta distorcendo i prezzi in vari campi, sta intrecciando ancor più i rapporti i rapporti tra Stato e grandi imprese, sta suscitando illusioni che difficilmente saranno mantenute... A questo punto, però, farebbe bene a farsi carico delle proprie responsabilità, anche e soprattutto dinanzi a quei rincari che ci stanno colpendo tutti."

Fa poi piacere che, finalmente, anche qualche politico cominci a giudicare, come sostenuto da molti anni dalla Rete della Resistenza sui Crinali, che il green deal contribuisca ad alimentare le pressioni inflazionistiche:

"che il green deal contribuisca ad alimentare le pressioni inflazionistiche non sembra più essere una tesi minoritaria. Le politiche climatiche non sembrano essere insomma un vero e proprio “pasto gratis”, in quanto comportano una serie di tensioni strutturali sia sul lato dell’offerta (riduzione degli investimenti in carbone, gas e petrolio e conseguente aumento della bolletta energetica che a sua volta si traduce in tagli produttivi nei settori energivori), sia su quella della domanda (aumento dei consumi dei metalli come rame, nichel, litio e cobalto in ragione dello sviluppo delle auto elettriche)."

Così scriveva Guido Crosetto, assistito da Gianclaudio Torlizzi, sul Sole (di cui Crosetto è ormai ospite abituale) del 20 gennaio nell'articolo "Energia e materie prime, è ora di ridurre la dipendenza dall’estero".

Integra il ragionamento Paolo Annoni sul Sussidiario del 9 febbraio nell'articolo "Energia più cara del PNRR. È solo colpa di Putin e del gas alle stelle?":

"... la politica economica dovrebbe costruire un sistema in cui le imprese hanno energia abbondante, economica e affidabile... La complessità politica deriva dal dover ammettere che molto di quello che è stato detto sulle rinnovabili semplicemente non è vero... La crisi energetica non è una grandinata. Si può risolvere a patto di cambiare politica e di resistere alla mala informazione che è stata propagandata da un paio di decenni."

Ancor più brusco sulla "mala informazione", che ha minato in questi anni tutto il processo democratico delle decisioni politiche per l'energia, e dopo avere riconosciuto l'esistenza di una fortissima resistenza popolare all'eolico

("Quando sono piccole, le fonti di energia non sollevano problemi, ma crescendo per dimensione unitaria, numerosità, diffusione territoriale, incontrano un’opposizione sociale sempre più forte e organizzata. Si rallenta di conseguenza la realizzazione di nuova potenza... L’eolico onshore, come recentemente analizzato da Domenique Finon in Europa è sostanzialmente bloccato. Sparare futuri grandi tassi di crescita dandoli per certi è poco significativo."),

Alberto Clò spara questo grosso calibro alla fine dell'articolo sul blog della Rivista Energia "Tre lenti per leggere il futuro delle rinnovabili":

"La crisi energetica appare sempre più come frutto avariato della narrazione dominante sulla transizione energetica, che non sta portando quegli esiti propagandati – riduzione dei prezzi, riduzione dei consumi di energia, riduzione delle emissioni – ma sta avendo disastrosi impatti economici e sociali che si dicono ‘inattesi’ pur essendo perfettamente prevedibili."

 

Alberto Cuppini