2050: Rotta verso l’ignoto.

Mentre il vicepremier cinese Han Zheng ha ordinato alle compagnie energetiche del paese di garantire forniture sufficienti prima dell'inverno “whatever it takes”, perché non sarebbero stati tollerati (nuovi) blackout, il governatore della California Gavin Newsom ha emesso ordini di emergenza per procurarsi più capacità elettrica alimentata a gas naturale per assicurare l’energia ai cittadini californiani. In Europa ci ha pensato Eolo a seminare il panico in vista dell’inverno tra gli operatori di rete che si sono affrettati a comprare combustibili fossili e ad accendere vecchi impianti a gas e carbone. La Germania è entrata in competizione con la Cina nella corsa agli approvvigionamenti di carbone per le centrali elettriche ottenendo il risultato di far raddoppiare i prezzi.

 

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Ora, per dirlo in termini informatici, tutti si domandano se l’attuale crisi sia una “feature” della transizione energetica o sia un “bug” temporaneo come ci viene suggerito da più parti. Infatti il “fix” (correzione) del “bug”, a sentire gli esperti delle tecnologie green, sarebbe semplice: aumentare (a dismisura) la percentuale di energia eolica e fotovoltaica nel nostro mix energetico ignorando il problema dei costi (esorbitanti) in modo da ridurre drasticamente le tempistiche per ottenere la neutralità carbonica entro il 2035.

La chiave per superare l’impasse dell’intermittenza delle fonti rinnovabili, dicono, è nello storage cioè nella realizzazione di gigantesche batterie in grado di supplire ai capricci di Eolo o di Apollo.

Il ruolo del “canarino nella gabbietta” lo fa la California con la sua batteria di Moss Landing che ha una dimensione circa 10 volte superiore di quella costruita da Tesla a Hornsdale in Australia che ha una capacità di 194 MWh.

Ma i vincoli che impediscono il decollo di questa tecnologia nei tempi auspicati dai sostenitori delle tecnologie green sono molteplici. Innanzi tutto i problemi di sviluppo tecnologico che rendono queste soluzioni ancora inaffidabili: oggi il 75% della capacità totale di Moss Landing rimane offline senza tempi certi per il ritorno alla piena operatività a causa di problemi legati ai dispositivi antincendio che, com’è noto, è uno dei principali problemi che affliggono le batterie agli ioni di litio. Naturalmente si tratta di sfide ingegneristiche che senza dubbio potranno essere risolte ma questo processo potrebbe non avvenire nei tempi auspicati e prima di costruire centinaia e persino migliaia di altre installazioni di questo tipo è intuibile che le utility di tutto il mondo vorranno avere delle certezze tecnologiche.

Inoltre c’è il problema della incredibile quantità di batterie necessarie: perché fornire strutturalmente elettricità per decenni e decenni è diverso che soddisfare picchi episodici della domanda. Disporre di centinaia di gigawatt di generazione "in eccesso" a tempo indeterminato, da utilizzarsi quando è necessario, pone dei problemi quando si devono quantificare queste grandezze per una rete in cui le fonti primarie di energia sono il sole e il vento.

In questo calcolo subentrano variabili stagionali insieme alla natura episodica di eventi meteorologici lunghi, anche di più giorni ed è impossibile prevedere con precisione quando si verificheranno tali episodi, per quanto sia assolutamente prevedibile che accadranno.

Esistono poi analisi che sostengono che una rete, basata su energia eolica e solare, delle dimensioni di quella statunitense, potrebbe mantenere le luci accese per il 99,97% del tempo con solo 12 ore di stoccaggio di energia. Questo significa, a livello statistico, accettare di stare al buio alcune ore ogni anno e non gestire gli episodi imprevedibili ma inevitabili, con la frequenza di qualche anno l’uno dall’altro, di blackout della rete dovuti a prolungate assenze di sole e vento e la cui durata non è definibile.

La stessa analisi spiega, inoltre, che sarebbe necessaria una rete con almeno il doppio della capacità di generazione odierna per soddisfare la domanda di picco e per generare l’elettricità necessaria a ricaricare le batterie.

Moss Landing è una batteria di 1.600 MWh con un costo di 400 milioni di dollari cioè di 250 dollari per kWh. Per convertire i circa 60 GW di potenza degli impianti termoelettrici italiani per la durata di 12 ore dovremmo investire 180 miliardi di dollari senza contare, naturalmente, la potenza rinnovabile installata… Il tutto naturalmente per una durata stimata ottimisticamente dai 15 a 20 anni trascorsi i quali va rimessa mano al portafoglio per riportare la capacità della batteria allo stato iniziale. E' vero che in questo periodo i miliardi sembrano, apparentemente, inesauribili ma restano comunque cifre lontane dalla sostenibilità economica.

Con buona pace della sbandierata “grid parity” delle rinnovabili infatti risulta evidente che questa soluzione - raddoppio della capacità più batterie - necessita del triplo del costo di capitale dell'energia. Il risultato è che a fronte di un investimento, di oltre 10 volte quello di una rete convenzionale, si otterrebbe il risultato di rischiare di rimanere episodicamente al buio per un tempo non chiaramente prevedibile.

L’altra affermazione ciclica è il calo dei costi delle batterie e la quasi quotidiana scoperta di tecnologie rivoluzionarie. Certamente in un futuro prossimo è lecito attendersi che ci saranno dei sostanziali miglioramenti nella chimica delle batterie ma per arrivare dove siamo oggi ci sono voluti decenni e comunque perché lo storage su scala di rete sia accessibile dobbiamo vedere riduzioni dei costi di quasi 100 volte, esattamente il contrario di quello che, oggi, ci insegna il mercato rappresentato nel grafico sotto.

 

Prezzi dei materiali chiave per la costruzione di batterie indicizzati al 2019.
Le materie prime costituiscono tra il 50% ed il 70% del costo delle batterie.

 

Una soluzione alterntiva l’abbiamo in Europa: infatti la Germania tiene a disposizione una rete “ombra” di dimensioni approssimativamente uguali di generazione convenzionale come backup. Le spese di una tale soluzione non vengono sostenute dai produttori dell’energia verde, ma dai contribuenti. Questa soluzione è la ragione principale per cui il cliente residenziale tedesco medio paga una bolletta dell'elettricità tra le più alte al mondo. Naturalmente questa scelta, come stiamo vedendo in questi mesi, lascia comunque i contribuenti esposti ai venti, freddi, del mercato energetico.

Ultimo ma di fatto principale problema, direttamente derivato dai problemi di scala, è il reperimento delle colossali quantità di materie prime sufficienti a costruire tutte le batterie necessarie oltre alle tecnologie eoliche e fotovoltaiche oltre alle reti per il trasporto dell’energia e naturalmente alle infrastrutture necessarie a tutti i paesi in via di sviluppo affinché abbandonino i combustibili fossili, per la loro crescita economica, ed adottino un percorso a basse emissioni di carbonio.

Il problema dell’approvvigionamento di queste colossali quantità di materie prime è stato riscontrato dalla stessa IEA nel suo report “The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions” che faceva intuire le difficoltà della sfida energetica in un mondo che né sta estraendo né sta pianificando di estrarre una simile quantità di minerali.

Ammesso, e non concesso, che il Pianeta disponga delle quantità necessarie a tutti i suoi abitanti.

Il successivo report, “Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector”, acquisiva poi aspetti surreali dove ipotizzava una discesa a due cifre nei consumi per il mondo occidentale, ossia tornare ai livelli del 1950, ma soprattutto un calo della domanda per i paesi non OECD, dimenticando come il PIL di un paese emergente ha una soglia fisiologica in $ 2.500 superata la quale, la storia ci insegna, la domanda di materie prime guida in maniera impetuosa la crescita.

Ma soprattutto il report ha posto le basi della crisi petrolifera che stiamo per affrontare affermando che non saranno più necessari petrolio e gas.

 

"The contraction of oil and natural gas production will have far-reaching implications for all the countries and companies that produce these fuels. No new oil and natural gas fields are needed in the net zero pathway, and supplies become increasingly concen­trated in a small number of low-cost producers. OPEC’s share of a much-reduced global oil supply grows from around 37% in recent years to 52% in 2050, a level higher than at any point in the history of oil markets.”

Fatih Birol, Executive Director, International Energy Agency, May 17, 2021

 

Se consideriamo che l'IEA è stata istituita dalle nazioni industrializzate per monitorare e garantire la sicurezza delle forniture di petrolio dopo la crisi petrolifera del 1973-1974 l'ironia di questa affermazione è sbalorditiva e le conseguenze, di cui stiamo sentendo i primi effetti, lo saranno altrettanto. E’ ironico che un'Agenzia, originariamente istituita per la sicurezza dell'approvvigionamento di petrolio, stia ora adottando in modo aggressivo politiche che ostacoleranno gravemente la sicurezza di tali forniture.

Nel frattempo le economie di tutto il mondo si stanno riprendendo e la domanda mondiale di petrolio è in forte ripresa ed entro l'inizio del 2022 dovrebbe raggiungere nuovi massimi.

L'offerta di petrolio non-OPEC è diminuita di oltre 2 milioni di barili al giorno rispetto al picco del 2019 ed entrerà in territorio negativo man mano che avanziamo in questo decennio. Presto emergerà un divario strutturale tra domanda e offerta e nel quarto trimestre del 2022, la domanda si avvicinerà alla capacità di pompaggio mondiale del petrolio, per la prima volta in 160 anni di storia del petrolio.

Secondo la IEA la quota dell'OPEC, in una fornitura globale di petrolio molto ridotta, cresce da circa il 37% negli ultimi anni al 52% nel 2050, un livello più alto che in qualsiasi momento nella storia del mercato petrolifero. Ma se guardiamo indietro la storia ci insegna che un significativo rallentamento nella crescita dell'offerta di petrolio non-OPEC, ha consentito all'OPEC di guadagnare quote di mercato e potere nella determinazione dei prezzi.

Infatti il più grande concorrente del petrolio OPEC è il petrolio non-OPEC e quando la crescita dei paesi non-OPEC rallenta, l'OPEC aumenta il suo controllo sul mercato.

Le politiche dell'IEA favoriranno il rallentamento che stiamo per sperimentare dell'offerta di petrolio non-OPEC e, proprio come è successo tra il 2003 e il 2008, l'OPEC guadagnerà quote di mercato e forza contrattuale, una situazione verso la quale sembra che l'IEA non stia prendendo alcun provvedimento.

Gli analisti energetici sono convinti che la domanda globale di petrolio, per ragioni ambientali e legate all’avvento dei veicoli elettrici, crollerà più rapidamente dell'offerta non-OPEC, mettendo sotto pressione l'OPEC, costringendola a incessanti guerre per le quote di mercato. Ma la domanda globale di petrolio continua a suggerire che ci sarà un'ulteriore crescita in questo decennio sconfessando per l’ennesima volta gli strateghi di Parigi.

L’inverno, ormai alle porte, potrebbe definire nuovi limiti delle catene di approvvigionamento energetico e soprattutto potrebbe dimostrare che è più probabile che finisca la pazienza dei consumatori, messa a dura prova dai rincari o da qualche blackout, prima delle riserve di metalli critici.

 

Giovanni Brussato

 

Riferimenti:

M.Mills - Transition to Nowhere – City Journal
L. Goehring - A.Rozencwajg - The IEA’s Role in the Coming Oil Crisis