Qualche nota in occasione del convegno "Appennino da rivivere" (Ortona dei Marsi dal 2 al 5 Giugno 2011)

 Mi fa piacere potere intervenire, seppure non di persona come avrei voluto, a questa vostra manifestazione "Appennino da rivivere".

 

Io sono il portavoce del coordinamento dei comitati dell'alto Appennino contro l'eolico industriale selvaggio (la Rete della Resistenza sui Crinali), ma in questa mia breve testimonianza non voglio parlare del problema specifico che pure accomuna migliaia di persone nella sola Emilia Romagna e nelle zone di crinale appenninico delle regioni limitrofe, ma piuttosto inquadrarlo in un fenomeno più vasto e più preoccupante di degrado di tutto il "sistema Appennino".

Fenomeno certamente non nuovo e che si è manifestato in tutta la sua drammaticità già dal secondo dopoguerra, ma che ora rischia di superare il punto di non ritorno.

Ne parlo tuttavia con spirito ottimista perchè, contro tutte le apparenze, ci sono oggi le condizioni per poterlo alleviare e forse addirittura risolvere, permettendo di trasformare una crisi in un'opportunità.

 

Il problema è ormai di esclusivo carattere culturale: non si tratta neppure, per usare una frase fatta, di "volontà politica". O di mera mancanza di finanziamenti.

La montagna, escluse le località sciistiche, continua ad essere vista come figlia di un dio minore, dove risiede solo chi non può permettersi una residenza più confortevole ed agiata, a contatto con la città e le sue molteplici attrazioni.

Si tratta di una degenerazione culturale che ha accompagnato il periodo del "miracolo economico" e che permane, nonostante il miracolo economico sia finito ormai da almeno una generazione, distorcendo valori secolari (e quindi ben precedenti la stessa unità politica) comuni a tutto il nostro Paese.

Vorrei citare anch'io, come avete fatto voi per introdurre la vostra manifestazione, quel Pasolini che nei primi anni Sessanta aveva tutto pre-visto, primo tra tutti in Italia e da tutti incompreso:

 

Vengo dai ruderi, dalle chiese,

dalle pale d'altare, dai borghi

abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,

dove sono vissuti i fratelli.

 

Fratelli che non sono più, concludeva allora il Vate.

Da allora la montagna è rimasta terra da cui fuggire, tranne che per il discutibile fenomeno delle seconde case, e perciò bene spendibile per ogni altro uso. Ma forse neppure un "bene", ma una sostanza priva di valore e quindi alienabile senza ripensamenti.

Ed ecco, allora, non più solo cave, discariche, strade e gallerie inutili ma anche (improvvisamente, per approfittare di una legge inizialmente più utopistica che in mala fede e per questo molto più nociva) impianti eolici con migliaia di torri alte oltre cento metri sui crinali di tutta Italia e in mezzo ai boschi, sterminate distese di specchi fotovoltaici sui suoli agricoli, sequestro di tutte le acque torrentizie per incanalarle in condotte forzate e centrali elettriche a "bio-massa" per bruciare la legna dei boschi per alimentare le industrie della pianura.

A peggiorare ulteriormente tutto, esse saranno accompagnate da centrali "tampone" a turbogas nelle stesse valli dove ci sono gli impianti per poterne supportare costantemente l'attività intermittente, da nuove dighe per accumulare l'energia (che altrimenti andrebbe perduta) prodotta a caso da pale e pannelli, tramite il pompaggio dell'acqua verso l'alto e (ultimo colpo mortale) da nuovi elettrodotti con tralicci alti 85 metri per permettere di veicolare attraverso cavi ad enorme voltaggio la produzione delle "energie rinnovabili" quando vengono prodotte (quasi mai) con la massima potenza teorica.

Questo accadrà ovunque, sulle montagne.

Le "energie pulite"! Sembra un brutto scherzo. Ci dicono che non dobbiamo opporci perchè sono ecologiche e non inquinanti. Ma è una colossale truffa: non hanno nessun senso neppure da un punto di vista energetico. O economico per la collettività. Saranno abbandonate quando non basteranno più i soldi dei consumatori che le devono finanziare.

Ma intanto non si salverà niente. Il sistema è previsto ubiquo. E pervasivo. Non rimarranno aree intatte. Già ora, in pochissimi anni, è stato commesso l'impensabile e sono stati violati tabù millenari. Difficile non richiamare alla mente angoscianti atmosfere orwelliane.

Beffardamente, esse vanno a colpire in primo luogo proprio quei pochi (pochi ma in costante aumento) che avevano fatto delle scelte di vita in controtendenza, rinunciando alle comodità urbane per trasferirsi nelle zone di montagna meno accessibili, accettandone i tanti sacrifici.

Si tratta del colpo di grazia a un moribondo. Lo spopolamento viene accelerato.

Eppure questi esiti non sono ineluttabili.

Non basta però attendere l'inevitabile esplosione della bolla speculativa o una grave crisi economica da costi eccessivi dell'energia per bloccare questo mostruoso fenomeno di proliferazione di aree industriali in Appennino.

Bisogna attivarsi. Non solo per contrastare (come fa la nostra Rete della Resistenza sui Crinali per l'eolico), ma anche per proporre soluzioni concrete. Questo è il senso di manifestazioni come la vostra.

 

Mi permetto di proporre alcune sollecitazioni, a caso e senza metodo, che mi piacerebbe che fossero da voi sviluppate in questi giorni di confronto di diverse esperienze.

-L'implementazione di tecnologie informatiche e telematiche (già perfettamente in grado di funzionare) per il lavoro (e altre attività e servizi) a distanza, rendendo inutile il pendolarismo giornaliero di milioni (davvero milioni!) di persone con la città (causa prima di sprechi energetici ed inquinamenti) e trasformando una vita più a contatto con la natura in un privilegio anzichè in una penalizzazione. Ne trarrebbe beneficio per prima la città stessa.

-Porre le condizioni, trattenendo parte del gettito fiscale sul territorio, di creare un "welfare" dove i cittadini sono i protagonisti, organizzando i servizi pubblici, almeno parzialmente, in base delle antiche consuetudini locali, e dove l'attore principale non è più "lo Stato", come viceversa deriva dall'adozione di modelli estranei alla nostra cultura. Che non ha mai avuto bisogno per secoli (o millenni) di invidiare niente a nessuno.

-La scelta, in Italia, di privilegiare con i finanziamenti, al posto di queste tecnologie di importazione estera, le potenzialità economiche nazionali, come il settore meccanico, metalmeccanico e termo-idraulico, il mini geotermico e l'edilizia, onde migliorare il sistema energetico e renderlo più efficiente, permettendo inoltre più risparmi.

-Puntare sulla ricerca di soluzioni energetiche veramente alternative (che ancora non esistono) ai combustibili fossili e al nucleare, affidandosi alla ricerca dei giovani scienziati italiani, ai quali basterebbe, per i finanziamenti, una piccola parte dei soldi destinati inevitabilmente agli speculatori dell'eolico e del fotovoltaico.

 

Potrei proseguire, ma mi fermo qui.

Non sono velleitarismi. E' la scelta del "piccolo", del "compatibile" e dell"'umano". In una parola: dell'"italiano". Molte volte, nel corso dei secoli, l'Italia è stata un modello per tutto il mondo: ora può tornare ad esserlo. Basta volerlo. Noi, i "fratelli" di cui parlava Pasolini, siamo quelle stesse persone che vivevano in Italia nelle Età dell'Oro.

Provate, vi prego, ad accennare a qualcuna di queste questioni durante i vostri convegni.

 

Intanto vi auguro buon lavoro. E buon divertimento.

 

Alberto Cuppini

Portavoce per l'Emilia Romagna della Rete della Resistenza sui Crinali.