Da Sharm e da Bruxelles una conferma: l'Europa intende suicidarsi

Mentre con la mano destra la commissione Ue e gli Stati europei cercano disperatamente l'energia in grado di sostituire il gas russo, con la mano sinistra vietano con sempre maggiore determinazione e severità che si facciano investimenti in idrocarburi fossili. Una rassegna stampa di quello che i giornaloni e i media non dicono.

 

Approfittando della sarabanda mediatica che tradizionalmente accompagna le COP dell'ONU, i lobbysti delle rinnovabili che spadroneggiano a Bruxelles e a Strasburgo hanno messo a segno un altro colpo di mano, "alzando l'asticella" degli "obiettivi climatici" europei per l'ennesima volta.

Così Beda Romano sul Sole 24 Ore del10 novembre nell'articolo "Più tagli alle emissioni, intesa Ue":

 

"Parlamento e Consiglio si sono accordati nella notte di martedì su una proposta di legge della Commissione europea che prevede nuovi obiettivi più stringenti (dal 29 al 40%) di riduzione delle emissioni nocive da qui al 2030... sempre ieri la Commissione ha presentato un progetto di regolamento con il quale facilitare l'iter di autorizzazione degli impianti energetici basati sulle fonti rinnovabili... Nella proposta, si presume che gli impianti di energia rinnovabile siano di "interesse pubblico prevalente". L'obiettivo è di consentire alle procedure di autorizzazione di beneficiare, con effetto immediato, di una valutazione semplificata delle deroghe specifiche previste dalla legislazione ambientale europea."

 

Mentre con la mano destra la commissione Ue e gli Stati europei cercano disperatamente l'energia in grado di sostituire il gas russo, con l'altra vietano con sempre maggiore determinazione e severità che si facciano investimenti in idrocarburi fossili. Questo nella puerile illusione che il gesto scaramantico di piantare pale eoliche e pannelli fotovoltaici da tutte le parti li possa salvare dall'incombente disastro socio-economico da essi stessi perseguito e realizzato con il massimo zelo, essendosi deliberatamente privati di fonti di energia affidabili e a basso costo.

Niente di cui meravigliarsi, dunque: dalla commissione Ue e dalle COP ONU ne avevamo già viste di tutti i colori. Peccato però che, come recita il titolo dell'articolo di Chicco Testa su Il Foglio dell'8 novembre, "La Cop27 parta da un assunto: finora abbiamo fallito su tutto":

 

"L'ennesimo incontro, siamo arrivati alla Cop27, questa volta in Egitto, dovrà prendere atto di un fallimento. Non solo rispetto agli obiettivi, i vari target di riduzione che ci si era prefissati, ma anche rispetto all'andamento reale delle emissioni totali che continuano a crescere nel mondo. Questo è l'unico dato che interessa, il resto sono chiacchiere e distintivi. L'effetto serra è un fenomeno che ha senso analizzare solo a livello globale. Poco importa, per capirci,se un paese riduce le sue emissioni se poi un altro le aumenta in misura maggiore... Coloro che cianciano di uguaglianza e di lotta al sottosviluppo, compresa l'Onu, pensano che la crescita energetica di questi paesi (quelli attualmente "fuori dall'area dei paesi sviluppati". NdR) possa avvenire con la diffusione dei pannelli fotovoltaici, delle auto elettriche e dell'idrogeno? Tutte cose che per altro esigono a loro volta alti consumi di energia, capacità tecnologica e investimenti colossali... La quantità totale di carbone utilizzato nel mondo è triplicata negli ultimi 40 anni, è raddoppiata dal 2000 a oggi e continua ad aumentare."

 

Lo stesso giorno, alla vigilia della COP di Sharm el-Sheikh, leggevamo le pessimistiche considerazioni nell'intervista al professor Alberto Clò di Nando Santonastaso su Il Mattino nell'articolo intitolato "Gas e petrolio, a lungo resteremo dipendenti":

 

"Almeno dalle prime dichiarazioni mi pare che non vi sia ancora piena contezza degli stravolgimenti avvenuti da circa un anno... Ricordate gli impegni assunti nella Cop 26? Non per fare polemiche, ma i governi si erano detti d'accordo nel ridurre la dipendenza dal carbone... Ebbene, a distanza di un anno, a causa dello tsunami tra crisi energetica e guerra, la fonte che è aumentata di più come consumi è proprio il carbone... oggi bisogna ricostruire la capacità produttiva di gas e petrolio perché, altrimenti, la crisi non rientrerà. Ci vorranno anni perché le compagnie petrolifere, schiacciate da un lato dagli azionisti e dall'altro dalla pressione degli organismi internazionali secondo cui non bisognava più investire negli idrocarburi, hanno adesso meno capacità produttiva."

 

Sempre l'8 novembre lo stesso Alberto Clò - politicamente scorrettissimo - scriveva su Il Foglio "Alla Cop27 la sfida è superare ipocrisie e silenzi su clima ed energia":

 

"Sui contenuti sembra contare di più il "non detto" rispetto all'usuale retorica delle buone intenzioni e delle immani difficoltà da superare. Forse è per questa ragione che dei 197 paesi partecipanti solo 26 hanno presentato aggiornamenti dei loro piani nazionali... Come si possa guardare al futuro senza tener conto dell'esigenza, se si vuole eliminare la dipendenza dall'energia russa, di accrescere la capacità produttiva degli idrocarburi, è ascrivibile alla generale ipocrisia... è nei paesi poveri che si possono conseguire i maggiori risultati nella riduzione delle emissioni, anche se non è il caso di farsi illusioni."

 

Ma se alla vigilia Clò appariva scettico sugli esiti del vertice, i primi giorni di lavori lo hanno convinto che si stia solo perdendo tempo. Così nel suo pezzo sul Foglio dell'11 novembre "Il solito inutile vertice", che sottotitolava "Tra profezie terrificanti e accuse all'occidente, c'è ben poco da salvare nella Cop27":

 

"Al centro di queste proteste vi è l'intera Africa scarsamente disponibile per altro ad allentare la sua crescita rinunciando alle fonti fossili di cui è gran produttrice. "Gli africani non devono pagare per crimini che non hanno commesso", ha detto il presidente Touadèra della Repubblica Centrafricana... Se la ragione prima delle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite doveva essere quella di costituire uno spazio di dialogo, in Egitto sta avvenendo esattamente il contrario... Il gruppo più impressionante è costituito tuttavia dalle personalità che vanno disegnando le più terrificanti profezie sul futuro del mondo: dal "suicidio collettivo" paventato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all'"estinzione dell'umanità" prospettato dal presidente del Congo, all'ammonimento di Ursula von der Leyen di non imboccare l'"autostrada per l'inferno". Su quel che si dovrebbe fare non dicono molto, se non quel che sarebbe auspicabile avvenisse ma non è realisticamente fattibile".

 

Ancora più franco sulle priorità da perseguire il professor Bruno Villois, economista della Bocconi, su Il Tempo del 7 novembre nell'articolo "La svolta green può attendere/ Risolvere subito il problema dell'inflazione":

 

"La complessa situazione geo-politica resta al centro delle preoccupazioni e interferisce in maniera rilevante sull'insieme delle problematiche che hanno fatto insorgere l'inflazione... A complicare le cose si è messo l'obbligo di trasformare il mondo in un'isola verde, ottimo e fondamentale se non fosse che siamo nel pieno di una crisi economico-finanziaria che sta strapazzando gli equilibri sociali, già segnati da accelerati rischi di impoverimento diffuso... Rinviare le accelerazioni dell'era green può anche essere una scelta dolorosa, ma indubbiamente necessaria... Superata la fase acuta, rimettere l'ambiente al centro della comunità mondiale sarà necessario anzi indispensabile, ma prima è improrogabile ridurre il peso del carrello della spesa."

 

Sulla stessa lunghezza d'onda Paolo Annoni sul Sussidiario dell'8 novembre nell'articolo "L’allarme sul “collasso sociale globale” spiazza governi e banche centrali":

 

"Qualsiasi paragone con altri fasi storiche di inflazione a doppia cifra è fuorviante e porta fuori strada. Negli anni 70, per esempio, non c’era la guerra, non c’erano politiche che imponevano di spegnere risorse energetiche economiche e abbondanti per abbracciarne di scarse e costose, non c’era una rottura che toglieva dai mercati dell’Occidente forniture a basso costo che per due decenni hanno “mascherato” incrementi salariali deboli o nulli."

 

Ritroviamo Annoni, perfino più esplicito, sul Sussidiario dell'11 novembre nel pezzo "Decreto Aiuti-quater/ Una toppa “obbligata” che non risolve la crisi energetica"

 

"il prossimo inverno sarà più complicato di quello in corso perché per almeno la metà del 2022 le forniture russe sono continuate. Questo significa che senza una soluzione “fisica” che passi o dall’aumento delle forniture o da una riduzione forzata dei consumi il costo degli interventi di calmierazione è destinato ad aumentare. Più il deficit fisico si aggrava, più salgono i prezzi, maggiori sono le risorse necessarie per coprire la differenza; oppure, in alternativa, maggiore è il prezzo che le industrie devono pagare, in termini di razionamenti, per quadrare le forniture di gas con i consumi... Gli interventi di ieri sono una tappa obbligata; nessun Governo si sarebbe potuto esimere. La partita vera però è un’altra e la sfida è quella di garantire al sistema forniture affidabili ed economiche con cui salvare le imprese che da decenni danno la possibilità a decine di milioni di italiani, nonostante una spesa pubblica fuori controllo, di avere uno stile di vita da “primo mondo”. Se questo obiettivo non viene raggiunto alla fine diventerà impossibile mettere “toppe” per quanto necessarie."

 

E così, mentre in Italia e negli altri Paesi europei i cittadini cominciano a porsi il problema del se e come sarà possibile mantenere lo "stile di vita" faticosamente raggiunto con il lavoro di tre generazioni dopo la seconda guerra mondiale, a Bruxelles e nelle COP ONU i loro rappresentanti (loro rappresentanti?) lavorano per garantire il sicuro autoaffondamento delle proprie economie. Questo stravagante e peculiare comportamento del decadente Occidente - d'intonazione spengleriana - viene evidenziato, tra gli altri, da Giovanni Brussato nell'articolo del 24 ottobre (integralmente disponibile sul sito web di Panorama) "La transizione «verde» della Cina è nera come il carbone":

 

"quest'idea bizzarra, tutta occidentale, di cambiare le fondamenta energetiche di un'economia mondiale da 90 trilioni di dollari in un quarto di secolo con la pervicace convinzione che questo possa realizzarsi linearmente è in antitesi con la visione di Xi. La Cina, secondo il suo leader, deve "consolidare il nuovo prima di demolire il vecchio" con ciò intendendo che prima di buttare alle ortiche un sistema energetico funzionante è necessario che il nuovo sistema abbia dimostrato di essere affidabile (e superiore) all'esistente."

 

Il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, di fronte a tanta pervicace follia, ha ormai rotto ogni argine. Leggiamolo dal suo articolo sul Sole del 22 ottobre "Una vittoria italiana con troppi paletti", dedicato ai provvedimenti del Consiglio europeo per ridurre le bollette:

 

"Urta l'assenza, nell'elencazione delle misure immediate da intraprendere, di ogni riferimento alla produzione nazionale, così come il silenzio su nucleare e carbone. Ovviamente, invece, il Consiglio invita a velocizzare sulle rinnovabili, come se non lo dicessimo da 40 anni, e sull'efficienza, una provocazione per chi sta soffrendo il freddo e chi deve chiudere la propria impresa. Come accade da un anno,anche questo consiglio fugge dalla realtà, concentrandosi su meccanismi per evitare questioni politiche più difficili, produzione, carbone e nucleare. Sì, perché i partiti europei in Parlamento che hanno espresso la Commissione hanno vinto le elezioni proprio annunciando la transizione verde che non arriverà quest'inverno, mentre festeggiano gli investimenti in fonti tradizionali, fra cui il gas, quello che manca. Sarebbe già un risultato, per il bene della nostra democrazia europea, che questo venisse detto con maggiore chiarezza."

 

Tabarelli, nell'intervista fattagli da Alessandro Giorgiutti su Verità & Affari del 28 ottobre "Calo del prezzo del metano? Forse dura/ Ma con tutto questo l'Europa c'entra poco", rispondendo a una constatazione dell'intervistatore, va giù ancora più duro contro i mandarini di Bruxelles :

 

"Intanto l'Agenzia europea dell'ambiente rinnova agli Stati Ue l'esortazione a tagliare le emissioni di gas serra.

"E' in contraddizione con l'emergenza che stiamo vivendo, ma non c'è nulla di nuovo. Da tempo le parole sul cambiamento climatico pronunciate da funzionari e politici a Bruxelles sono molto lontane da problemi concreti come le bollette, ora diventati drammatici."

 

Più importante ancora, per noi resistenti sui crinali, ecco di nuovo Tabarelli, nell'intervista di Marcello Astorri su Il Giornale del 7 novembre "Il gas? Bene le trivelle. Ma ci serve il nucleare", tranciante nei confronti della "transizione energetica" basata sul "tutto rinnovabili":

 

"E la transizione energetica?

«Bisogna aprire un dibattito e capire quello che le fonti rinnovabili possono fare e potranno fare anche per spianare la strada al nucleare, un argomento su cui occorre riaprire il discorso e la ricerca. In Europa i verdi, che contano molto, il gas non lo vogliono. Ma bisogna rendersi conto che o investiamo anche su qualcosa non in linea con la decarbonizzazione, o non facciamo niente, usiamo solo le rinnovabili e restiamo al freddo».

Le rinnovabili non potranno quindi sostituire le fonti tradizionali per molto tempo.

«Esatto. Mi auguro di sbagliarmi, ma non la vedo neanche come ipotesi fra trenta anni. E se anche fosse nel frattempo distruggeremmo l'economia europea»."

 

Eppure, nonostante queste coraggiose prese di posizione contro il mainstream ecologista, nessuno dei professori fin qui citati ha osato indicare proprio nelle sconsiderate politiche pianificatorie dell'Ue in materia climatica la causa prima delle innumerevoli crisi che stiamo vivendo. A ciò hanno provveduto i giornalisti de La Verità, unico quotidiano italiano disposto ad assumersi l'onere di un simile anticonformismo e di una persin maggiore impopolarità. Ecco, per cominciare, Claudio Antonelli nell'articolo sulla Verità del 4 ottobre dal titolo "I fan di Bruxelles in cortocircuito per lo scudo tedesco":

 

"bisognerebbe ammettere che al di là della guerra in Ucraina la crisi che stiamo vivendo non è una causa esterna che rischia di mettere in ginocchio il Continente ma è l'effetto delle politiche ecologiste dell'Ue. L'Europa è causa del suo male... Per mesi le autorità finanziarie di Bruxelles, ma anche quelle di Roma, hanno sostenuto che l'inflazione fosse temporanea e che i problemi energetici fossero di breve respiro. Ora lo capiscono in tanti. Eppure non si accenna minimamente all'idea di azzerare le imposte sulla CO2, alla revisione degli Ets, alle regole sul carbone e ai conseguenti criteri di decarbonizzazione."

 

Persino più impietoso Sergio Giraldo ieri nell'articolo "Il tetto per il gas fa esplodere la faida a Bruxelles":

 

"Il dramma dell'Unione europea è sotto gli occhi di tutti. Un'entità sovranazionale che crea un problema di ordine mondiale, disincentivando gli investimenti in idrocarburi mentre ne è ancora totalmente dipendente. Un gruppo di burocrati eletti da nessuno che decide in poche settimane di applicare sanzioni alla Russia senza calcolare il contraccolpo sull'economia europea. Un gruppo di soggetti politicamente irresponsabili che decide dall'oggi al domani di fare a meno del gas russo con gli stoccaggi vuoti e nessuna alternativa di approvvigionamento, provocando un rialzo dei prezzi superato forse solo dalla folle corsa ai bulbi di tulipano nell'Olanda del 1600 e di poche altre situazioni simili. C'è da sperare che il nuovo governo italiano sappia servirsi dell'evidente inadeguatezza delle élite europee di Bruxelles per concentrarsi su una trattativa che abbia più senso e, soprattutto, obiettivi più razionali".

 

Concludiamo prendendo a prestito la chiusa dell'articolo dello stesso Sergio Giraldo su La Verità del 22 ottobre "Sì al mini tetto del gas. E Scholz già si dissocia", annunciato in prima pagina come "Solito accordicchio al Consiglio europeo / Tanto fumo pochissimo arrosto":

"La situazione resta grave e la patente incapacità dell'Unione europea di trovare soluzioni concrete rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per l'economia mondiale nel prossimo anno. Il cinico mantra unionista "L'Europa si farà nelle crisi" è ormai diventato "L'Europa è la crisi".

 

Alberto Cuppini