Giorgia Meloni all'Onu: "Le cose potranno andare molto peggio se non fermeremo i piani verdi in Europa"

Dal palco dell'ottantesima Assemblea generale dell'Onu, la Presidente del Consiglio ha attaccato con estrema durezza il Green Deal europeo.

 

 

Riportiamo qui in basso, per spirito di servizio, la parte dell'intervento di Giorgia Meloni di giovedì scorso all'Onu che ha riguardato il Green Deal europeo.

Lo facciamo perchè i "giornaloni" e i principali media italiani lo hanno trascurato, con la parziale eccezione del Sole 24 Ore nell'articolo di Manuela Perrone "Meloni all'Onu striglia Israele e demolisce il Green Deal", dove si fa notare che "rispetto alle anticipazioni della vigilia, nel discorso all'Onu è quello contro il Green Deal l'affondo meno scontato, almeno per durezza". In effetti, per quello che riguarda la "durezza", dobbiamo riconoscere che quello della premier è stato un (giustificatissimo) intervento in stile Rete della Resistenza sui Crinali. Altrettanto vero che stiamo osservando (dopo le aspre parole, in rapida successione nei giorni immediatamente precedenti, del presidente della Confindustria Orsini al Cersaie di Bologna, di Trump sempre all'Onu e del ministro dell'Economia Giorgetti in audizione al Senato) quello che la giornalista chiama "Un attacco concentrico" contro il Green Deal (sebbene la Perrone si sia scordata, nel suo articolo, di citare Orsini e la sua definizione "la più grande cavolata mai fatta").

Per quello che riguarda gli altri giornaloni, su questo affondo meloniano hanno tutti glissato. Sarà difficile glissare quando il Consiglio europeo in ottobre dovrà decidere se confermare gli obiettivi europei di riduzione della CO2 per il 2035, dopo che i ministri dell'Ambiente hanno calciato la palla (esplosiva) in tribuna.

 

Qui il video dell'intervento della Meloni nella parte che più ci interessa.

Qui di seguito il relativo testo scritto, ricavato da sito web della Presidenza del Consiglio.

 

"Cari colleghi, trent’anni di globalizzazione fideistica sono finiti, ne sono stati sottovalutati i contraccolpi e oggi siamo davanti a 'conseguenze inattese', che inattese non erano, di grave portata per i cittadini, per le famiglie e per le imprese. Non è andato tutto bene, come pure veniva promesso.

E vi do un’altra notizia: le cose potranno andare molto peggio, se non fermeremo la creazione a tavolino di modelli di produzione insostenibili, come i «piani verdi» che in Europa - e nell’intero Occidente - stanno portando alla deindustrializzazione molto prima che alla decarbonizzazione.

La riconversione di interi settori produttivi sulla base di teorie che non tengono conto dei bisogni – e delle disponibilità economiche – delle persone, è stato un errore che provoca sofferenze nei ceti sociali più deboli e fa scivolare la classe media verso il basso, imponendo scelte di consumo non razionali.

L’ecologismo insostenibile ha quasi distrutto il settore dell’automobile in Europa, creato problemi negli Stati Uniti, causato perdite di posti di lavoro, appesantito la capacità di competere e depauperato la conoscenza. E ciò che è più paradossale, non ha migliorato lo stato di salute complessivo del nostro pianeta.

Non si tratta, ovviamente di negare il cambiamento climatico, si tratta di affermare la ragione, che significa soprattutto neutralità tecnologica, e gradualismo delle riforme in luogo dell’estremismo ideologico. Rispettare l'ambiente mantenendo l’uomo al centro. Perché ci sono voluti secoli per costruire i nostri sistemi, ma bastano pochi decenni per ritrovarsi nel deserto industriale. Solo che come ho detto molte volte nel deserto non c’è nulla di verde".

 

A cura di Alberto Cuppini