I governanti dell'Emilia-Romagna sproloquiano di "giustizia climatica" ma non sanno neppure costruire gli invasi per evitare di finire sott'acqua dopo un po' di pioggia

Il Sole: "Dai Consorzi di bonifica è stato presentato un piano decennale per costruire 10mila invasi in tutta Italia". La proposta ricalca quella di Italia Nostra del 2017, prima richiesta e poi ignorata dal ministero dello Sviluppo. Sei anni trascorsi nell'inerzia tranne la semina di pale eoliche e pannelli fotovoltaici a casaccio da tutte le parti. Intanto la proverbiale "buona amministrazione" emiliana (e bolognese in particolare) ha subito uno sfregio, peraltro ben meritato, difficilmente cancellabile. Mentre la nuova leader del loro partito vince le primarie sproloquiando di "giustizia climatica" per tutto l'Universo Mondo, il governatore Bonaccini e il sindaco Lepore non riescono neppure a scavare gli invasi e ad allargare gli argini dei fiumi di loro competenza per evitare una catastrofe biblica di fronte ad un paio di giorni consecutivi di pioggia nemmeno troppo intensa.

 

Dall'articolo di Micaela Cappellini sul Sole 24 Ore di oggi "Cinque invasi insufficienti per fronteggiare l'emergenza scattata in Emilia-Romagna":

"gran parte dell'acqua caduta tra lunedì e martedì è andata persa: dopo l'alluvione, rischiamo di dover fare lo stesso i conti con la siccità; per questo è necessario procedere con il piano Laghetti. Proposto l'anno scorso dalla Coldiretti insieme con l'Anbi (l'associazione nazionale dei consorzi di bonifica), il piano prevede la realizzazione entro il 2030 di 10mila invasi medio-piccoli, con l'obiettivo di incrementare del 60% l'attuale capacità complessiva dei 114 serbatoi esistenti. Oltre 223 invasi sarebbero anche immediatamente cantierabili: di questi, il numero più alto, cioè 40, sarebbe proprio in Emilia-Romagna. "Il piano Laghetti che proponiamo al Paese parte da due esigenze: non lasciare nessuno senza acqua e tutelare il territorio dalle calamità alluvionali - spiega il presidente dell'Anbi, Francesco Vincenzi - questo progetto ha un fabbisogno di circa 900 milioni all'anno per dieci anni, e consentirebbe di aumentare dall'11 al 35% la capacità di trattenimento dell'acqua piovana".

 

Per capire meglio: 900 milioni all'anno per 10 anni fa 9 miliardi in totale. 9 miliardi di euro, negli scorsi anni, non sarebbero bastati neppure a coprire per nove mesi i costi degli incentivi alla produzione erratica di energia elettrica da eolico e fotovoltaico, che tanti danni al sistema elettrico italiano e tanti aggravi nella bolletta degli italiani ha provocato.

Il piano decennale proposto dai consorzi di bonifica ricalca la proposta presentata da Italia Nostra a suo tempo (nel 2017: si parla ormai di sei anni trascorsi nell'inerzia tranne la semina di pale eoliche e pannelli fotovoltaici a casaccio da tutte le parti) al ministero dello Sviluppo Economico.

Appare significativo che nell'articolo del Sole tutto l'interesse sia concentrato sulla laminazione delle piene e venga trascurato il ritorno economico a vantaggio della collettività della messa a disposizione di nuove ingenti masse idriche. In particolare manca qualsiasi accenno alla possibilità che si aprirebbe di riservare in modo esclusivo i grandi invasi montani già esistenti alla produzione di energia idroelettrica.

Questa volta il collasso del sistema regionale emiliano-romagnolo della gestione delle acque è stato enorme ed altrettanto enorme l'ondata emotiva che ne è seguita in tutt'Italia. Mentre vastissimi territori dell'Emilia Romagna - e del bolognese in particolare - venivano sommersi dal fango, l'amministrazione del presidente della Regione Stefano Bonaccini, recentemente trombato alle primarie PD dalla sua stessa vice in Regione Elly Schlein, e quella del sindaco e presidente della Città Metropolitana di Bologna ("La città più progressista d'Italia") Matteo Lepore venivano ricoperte da una sostanza di consistenza analoga ma assai più maleodorante. La proverbiale "buona amministrazione" emiliana (e bolognese in particolare), che sta diventando ogni giorno che passa sempre più un proverbio e sempre meno una realtà fattuale, ha subito uno sfregio, peraltro ben meritato, difficilmente cancellabile. Mentre la nuova leader del loro partito vince le primarie sproloquiando di "giustizia climatica" per tutto l'Universo Mondo, Bonaccini e Lepore non riescono neppure a scavare gli invasi e ad allargare gli argini dei fiumi di loro competenza per evitare una catastrofe biblica di fronte ad un paio di giorni consecutivi di pioggia nemmeno troppo intensa.

Ma non tutti i mali vengono per nuocere. L'università di Bologna dovrebbe essere in prima fila a battere il ferro finchè è caldo per ridefinire in termini razionali le priorità ecologiche (ed economiche) del Paese nei prossimi anni e, soprattutto, per riscattare una pessima fama di conformismo verso tutte le più strampalate mode intellettuali provenienti dalle università "liberal" americane.

L'università di Bologna, infatti, ha fin qui rappresentato la roccaforte italiana della vulgata mainstream, dell'infallibilità delle Cop Onu e del IPCC, del gretismo e delle politiche ambientali suicide dell'Unione europea. Appartengono proprio all'Università di Bologna la maggior parte dei firmatari degli appelli, il cui capofila è Vincenzo Balzani, che garantiscono nel nostro Paese ormai da più di un decennio autorevolezza scientifica, culturale e intellettuale alle peggiori corbellerie "verdi" e, di conseguenza, ai peggiori disastri che nel frattempo sono stati realizzati dalla politica energetica nazionale ed europea.

Il governatore Bonaccini dovrebbe ormai avere capito che chi di sardina ferisce, di sardina perisce.

 

Alberto Cuppini