La transizione può attendere

 

La Cina ha subito un’importante crisi energetica nel secondo semestre del 2021, crisi che si è poi progressivamente propagata fino all’Europa raggiungendo il culmine con le tensioni prima, e la guerra poi, in Ucraina.

La crisi è stata innescata da un surplus di domanda di energia e da una serie di problemi connessi all’approvvigionamento di carbone: dal bando alle importazioni australiane per le tensioni sulle origini di COVID-19 ad una serie di gravi incidenti nelle miniere di carbone, che hanno visto il governo cinese aumentare le sanzioni passando da quelle pecuniarie al carcere. Com’era intuibile questo ha comportato dei rallentamenti nella produzione.

Inoltre la Cina ha un limite a quanto le utility possono aumentare i prezzi dell'elettricità, che sono bassi rispetto agli standard globali, di conseguenza la carenza di forniture di carbone ha spinto le centrali elettriche a ridurre la produzione per contenere le perdite. Questo si è sommato ad un picco della domanda di elettricità, legata alla ripresa post pandemica, dovuto all’aumento della produzione: da gennaio ad agosto 2021, le esportazioni cinesi sono aumentate del 23%, rispetto allo stesso periodo del 2019.

Analogamente a quanto accaduto nel Regno Unito nel nord-est della Cina, nella provincia di Liaoning, si è manifestato il fenomeno della “siccità eolica” che ha significativamente ridotto la produzione eolica aggravando ulteriormente il bilancio energetico.

Last but not least il governo cinese ha fissato un obiettivo di riduzione del 3% dell'intensità energetica per il 2021 ma per i motivi esposti molte provincie hanno mancato almeno uno dei due obiettivi di doppio controllo – consumo energetico e intensità energetica – nei primi sei mesi del 2021. Conseguentemente i governi locali si sono affrettati a raggiungere gli obiettivi razionando l’energia elettrica.

La crisi energetica ha spinto Pechino ad abbandonare, sine die, i propositi espressi da Xi Jinping alla 76a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 21 settembre 2021, circa "l'importanza di migliorare la governance ambientale globale, rispondendo attivamente ai cambiamenti climatici creando una comunità di vita per l'uomo e la natura", per salvaguardare la sicurezza energetica del Paese.

In realtà nel suo nel 14 piano quinquennale (2021-2025) Pechino non si limita alle descrizioni generiche delle misure correlate ma afferma che la sicurezza energetica è uno dei rischi "crescenti" nel settore finanziario ed economico, nonché uno dei problemi e delle sfide "marcatamente cresciute" che "affronta lo sviluppo della Cina".

Il nuovo piano riflette una tendenza politica che si è rapidamente sviluppata, a partire dalla crisi energetica: Pechino sta spostando molte più risorse per garantire la sicurezza energetica che non è più un compito solo per il sistema energetico, ma una questione cruciale di sicurezza economica, sociale e nazionale.

Garantire la sicurezza energetica ha ora la stessa importanza delle politiche fiscali, monetarie e occupazionali.

In realtà, mentre le perdite economiche causate dalla crisi energetica non sono ancora chiaramente quantificate, i disordini sociali derivanti dal razionamento dell’energia sono stati immediatamente evidenti.

Perchè senza combustibili fossili, l'economia cinese crollerebbe, screditando la legittimità del governo comunista e nel contempo il presidente cinese Xi Jinping mancherebbe il suo grande obiettivo: fare della Cina la prima potenza globale entro l'anno 2049, il centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese.

Affinché il regime comunista sopravviva, e questa è sicuramente la massima priorità del Partito Comunista Cinese, i combustibili fossili per la crescita economica devono avere una catena di approvvigionamento garantita, intendendo con ciò che tutte le risorse dello stato sono concentrate su questo compito.

Come spiegato dallo stesso Xi Jinping, nel discorso alla sessione di studio di gruppo del Politburo il 25 gennaio dove ha fortemente enfatizzato la "sicurezza", chiedendo ai leader politici cinesi di garantire "contemporaneamente" la sicurezza energetica, la sicurezza della catena di approvvigionamento, la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza delle persone riducendo le emissioni.

Evidente il senso delle parole di Xi: la riduzione delle emissioni è un qualcosa in più che però non deve intralciare il percorso della macchina produttiva del Dragone.

Pertanto il piano separa la "politica economica verde" dalla "politica climatica". Ma questo era abbastanza evidente per chi avesse voluto guardare oltre i luoghi comuni, espressi alla COP 26, circa gli obbiettivi climatici del Dragone: "La Cina si adopererà per raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030 e raggiungere la neutralità del carbonio prima del 2060. Ciò richiede un duro lavoro enorme e faremo ogni sforzo per raggiungere questi obiettivi".

Accordo che Pechino ha sottoscritto solo dopo che i vertici della COP 26 hanno accettato di sostituire la definizione di “phase out” (eliminare gradualmente) circa l'uso dell'energia a carbone, a “phase down” (abbassare gradualmente) di fatto sottoscrivendo un accordo che gli consentirà di continuare a utilizzare il carbone a tempo indeterminato.

Rendendo evidente che la Cina utilizza l'agenda climatica con una duplice finalità: come mezzo per rafforzare la propria economia e come arma per indebolire gli altri paesi.

Da un lato le sue installazioni nazionali per le energie rinnovabili fungono da efficaci progetti dimostrativi per i tour degli ambientalisti occidentali, che al ritorno nei loro paesi faranno pressioni sui loro governi per acquistare queste forme di energia, dall’altro il monopolio dell'industria eolica e solare globale, gli consente, grazie alle politiche climatiche unilaterali dei paesi occidentali, di indebolire le loro economie a causa dell'aumento dei costi energetici.

Come si è ampiamente riscontrato nessuna arma è più potente per paralizzare le economie occidentali dell'agenda NET ZERO poiché se la Russia crea enormi problemi di sicurezza energetica rappresentando circa il 35% dell'approvvigionamento di gas dell'Europa queste quote di mercato sono modeste rispetto al 66% della capacità produttiva globale della Cina per i moduli solari e all'88% della capacità produttiva globale per batterie per veicoli elettrici e storage di rete oltre al fatto che otto dei primi dieci produttori di turbine eoliche a livello globale sono cinesi.

Gli obbiettivi dell’agenda del Partito Comunista Cinese sono diversi da quella degli occidentali: la massima priorità del PCC è assicurarsi la sicurezza energetica che è saldamente ancorata al carbone. Il paese dispone in abbondanza di questa risorsa: il 90% del carbone utilizzato viene estratto a livello nazionale, rispetto al 28% per il petrolio e al 56% per il gas e la crisi del gas europea con l'impennata dei prezzi del petrolio dopo l'invasione russa dell'Ucraina hanno rafforzato la determinazione di Pechino a dare priorità al carbone per salvaguardare la sicurezza energetica.

Perché la sicurezza energetica è una delle condizioni che garantiscono il potere del regime comunista coniugata alla crescita economica a sua volta dipendente dall’approvvigionamento dei combustibili fossili mentre il perseguimento di riduzioni di CO2 all'interno della Cina non serve né all'obiettivo di preservare il potere del PCC né a diventare la prima potenza globale entro il 2049. pertanto per il Dragone cinese le riduzioni di anidride carbonica hanno senso solo per coloro che desidera danneggiare e soppiantare.

A confermare ancora una volta che il carbone sarà "fonte di energia dominante" della Cina sono le nuove centrali elettriche a carbone: 33 gigawatt (GW) sono entrati in costruzione nel 2021, il massimo dal 2016, ed ne sono stati autorizzate per altri 7,3 GW, solo nelle prime sei settimane del 2022.

Sono anche stati approvate tre nuove miniere di carbone per un totale di 19 megatonnellate (Mt) di produzione annua, proprio a "garanzia di un approvvigionamento energetico stabile".

Inoltre in base ad un primo elenco, incompleto, di progetti pianificati per il 14 ° piano quinquennale, l’Impero di Mezzo prevede di aggiungere 28 GW di capacità di generazione di energia a carbone agli impianti esistenti e di adeguare la capacità di energia a carbone di 42 GW come "impianti di corrispondenza" che in buona sostanza dovrebbero essere impianti destinati al backup delle installazioni di energia rinnovabile.

 

 

 

Pertanto mentre Pechino coniuga la sicurezza energetica con l’indipendenza energetica nel nostro paese una miope logica ambientalista, la medesima che attacca l’estrazione mineraria per la sua (in)compatibilità ambientale, propone di installare nel nostro paese 60 GW in 3 anni di pannelli fotovoltaici e turbine eoliche con materie prime estratte altrove generando un picco di emissioni, naturalmente altrove.

Un altrove identificato dalle immagini satellitari che mostrano nuove sorgenti di emissioni di metano dovute all’estrazione di carbone che confermano come la Cina stia sviluppando nuovi depositi nella Mongolia interna e nello Shanxi e soprattutto che non tenga in alcuna considerazione gli accordi presi, in base ai quali, le emissioni di metano dalle miniere di carbone devono diminuire dell'11% ogni anno per il resto del decennio.

Mentre la Germania che si sta preparando a prolungare l'uso del carbone oltre il 2030 espandendo l’estrazione del carbone dalle sue miniere si affretta a dichiarare, per tramite dei suoi ambientalisti, che “il sole ed il vento sono gratis” e che il loro futuro energetico, anche questo sine die, si baserà sulle tecnologie rinnovabili che, come sanno perfettamente i contribuenti tedeschi non sono affatto gratis..

Anche qui l'Energiewende può attendere.

Naturalmente nel nostro paese i profeti del sole e del vento sostengono che se un paese viene tagliato fuori dalle sue fonti di petrolio e gas, si fermerà rapidamente mentre, anche senza le sue fonti di materie prime, pannelli solari, turbine eoliche e batterie, sono ancora utilizzabili, per qualche tempo. Dimenticano che queste tecnologie causa la loro intermittenza, ci espongono ai ricatti del fornitore di turno di combustibili fossili: che sia un regime dispotico che controlla l'energia attraverso una compagnia statale o una società privata dell'Occidente democratico che opera in mercati liberi.

Infatti gli USA del verde Presidente Biden stanno già pensando alle implicazioni per la sicurezza energetica nel fare affidamento sulle importazioni di materie prime e tecnologie necessarie per la transizione verso l'energia a basse emissioni di carbonio.

Così cercando un compromesso con le frange più estreme dell’ambientalismo locale per costruire la base manifatturiera dell'energia verde negli Stati Uniti i contribuenti dovranno accettare il rischio che, quando prodotte a livello nazionale, queste tecnologie possono spesso essere più costose di quelle importate e mettere a repentaglio la sostenibilità economica dell’energia prodotta: l'onshoring può ridurre i rischi della catena di approvvigionamento ma è una polizza assicurativa il cui costo potrebbe essere un’amara sorpresa.

D’altra parte l'Europa è così dipendente dal gas russo anche per le sue aspirazioni alla neutralità carbonica visto che qualsiasi impegno serio a ridurre le emissioni globali di carbone richiede il gas naturale. Gli Stati Uniti hanno guidato il mondo in questo senso, riducendo le emissioni di oltre 800 milioni di tonnellate e promuovendo la crescita economica sostituendo il carbone termico con il gas per alimentare la loro rete elettrica.

Ma mentre gli Stati Uniti producevano gas a livello nazionale, l'Europa ha delocalizzato la sua fornitura di gas alla Russia e paesi come il nostro hanno rinunciato ad estrarre quanto avevano nel sottosuolo.

Il risultato è la nostra dipendenza energetica.

 

Giovanni Brussato