Disinnescare le tragedie prevedibili e guadagnarci anche

Prima di stabilire nuovi insostenibili traguardi di riduzione delle emissioni antropiche sarebbe opportuno si concentrassero le risorse disponibili in molte azioni obbligate, non solo per evitare l’emissione di grandi quantitativi di gas climalteranti in atmosfera, ma anche per evitare prevedibili stragi di popolazioni a rischio. 

È il caso del Lago Kiwu, in Congo.                                                                                        

I vulcani Nyamuragira e Nyiragongo nel Parco Nazionale del Virunga - Repubblica Democratica del Congo. Fonte: Stuart Rankin.

 

Il Nyiragongo

Due pennacchi di fumo fuoriescono dai vulcani Nyamuragira e Nyiragongo nella Repubblica Democratica del Congo. Il  Nyamuragira ha un'altitudine di 3.058 metri e nel 1938, durante una grande eruzione i suoi flussi di lava raggiunsero il vicino Lago Kivu. Le osservazioni effettuate hanno confermato che la caldera contiene ancora un piccolo ma attivo lago di lava. A soli 15 chilometri di distanza si innalza il Nyiragongo, anche la sua caldera contiene lava fusa: è il più grande lago di lava conosciuto sulla Terra.

Le eruzioni di lava fluida dal vulcano nel 1977 e nel 2002 hanno avuto conseguenze mortali per la città di Goma, che si trova a circa 15 chilometri a sud del vulcano sulle rive del Lago Kivu: decine di migliaia di sfollati e centinaia di morti per asfissia da anidride carbonica ed ustioni. Il 22 maggio il Nyiragongo si è nuovamente risvegliato distruggendo alcuni villaggi, uccidendo decine di persone e costringendo circa 450.000 persone ad abbandonare le loro case.

La composizione chimica della lava la rende particolarmente fluida e quindi in grado di muoversi a oltre 50 chilometri orari e le sue eruzioni possono inoltre emettere enormi quantità di gas letali nell’atmosfera mettendo a rischio le vite dei milioni di persone che vivono all'ombra del vulcano. Ma anche la quotidianità è irta di pericoli: il magma del vulcano è anche particolarmente ricco di CO2 che raggiunta la superficie si raccoglie nella zone basse, essendo più densa dell'aria, ed ogni anno causa dei morti tra la popolazione.

Secondo i vulcanologi "È uno dei vulcani più pericolosi dell'Africa".

A rendere ancora più tragica la situazione è l'instabilità politica di una regione popolata di milizie armate, spesso fuori controllo, che rendono difficile il monitoraggio dei vulcanologi a causa di furti o azioni vandaliche o ancora peggio di essere vittime di atti di violenza.

 

Il lago Kivu

 

Pescatori sul lago Kivu. Fonte Erdbeernaut.

 

Il lago Kivu è uno dei Grandi Laghi dell'Africa nella Rift Valley occidentale e si trova proprio su uno dei punti caldi tettonici del pianeta. Situato al confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda ha una lunghezza, lungo il confine tra i due paesi, di 98 chilometri e nel suo punto più largo è 48 chilometri.

Il lago ha una caratteristica straordinaria dovuta alla sua stratificazione su cinque livelli che formano cinque contenitori di gas unici. I gradienti di densità basati sulla salinità del lago (chemoclini) separano e definiscono chiaramente questi strati, visibili nel profilo di densità verticale nell'immagine sottostante. Lasciati indisturbati, questi contenitori trattengono il CH4 e la CO₂ biogenici che vengono continuamente generati. I gas sono intrappolati in soluzione, come strati di concentrazioni variabili. L'acqua ossigenata persiste solo nello strato più alto: la biozona che si estende per una profondità di circa 60 metri. Gli strati sono progressivamente più densi all’aumentare della profondità con concentrazioni crescenti di sali che ne determinano la densità separando il lago in contenitori dove i livelli del gradiente fungono da trappole virtuali, prevenendo una significativa migrazione verticale del metano.

La formazione di metano avviene per i molti strati di sedimenti, costituiti da materia organica, presenti sul fondo del lago e qui rimane intrappolata perché il livello del gradiente di densità impedisce la diffusione del gas.

Profilo di densità verticale nel Lago Kivu e relativa definizione di zone e gradienti di densità. Fonte: Hydragas Energy Limited.

 

Nel lago Kivu sono disciolti 300 chilometri cubi di anidride carbonica e 60 chilometri cubi di metano, oltre ad acido solfidrico altamente tossico.

Il lago contiene l'equivalente di 2,6 Gt (gigatonnellate) di CO2, che è pari a circa il 5% delle emissioni globali annuali di gas serra che, se rilasciati nell’atmosfera, potrebbero riempire la valle circostante di gas soffocante e tossico, potenzialmente uccidendo milioni di persone.

Di fatto il lago è un sistema CCS (carbon capture and storage) naturale, che contiene 5 Gt (gigatonnellate) di carbonio, attraverso la sua stratificazione, e potrebbe probabilmente contenerne molti di più se il metano non si aggiungesse alla pressione del gas. L'impianto idraulico sotterraneo del sistema vulcanico di cui il lago Kivu fa parte è ancora poco conosciuto ma esistono ricerche che suggeriscono che le concentrazioni di metano stiano aumentando e, se questa tendenza dovesse continuare, gli strati più profondi raggiungerebbero la saturazione entro il 2090, innescando un'eruzione limnica.

Un'eruzione di tipo limnico è un disastro naturale nel quale l’anidride carbonica in soluzione nelle acque profonde del lago viene improvvisamente rilasciata in grandi quantità soffocando la fauna e la flora selvatica, il bestiame e gli esseri umani. Nel 1986 nel lago Nyos in Camerun un’eruzione limnica provocò il rilascio di 80 milioni di metri cubi (0,08 chilometri cubi) di anidride carbonica che causò la morte per asfissia di oltre 1.700 persone e di circa 3.500 capi di bestiame.

Anche qui un'eruzione è inevitabile se non prevenuta attivamente e tuttavia, il lago Kivu ha le dimensioni, il potenziale, l'ubicazione e la quantità di gas per conseguenze ancora più terribili. Un'eruzione potrebbe essere 1000 volte più grande di quella del lago Nyos.

Un’eruzione limnica genera un gorgogliamento delle acque come se fossero in ebollizione mentre l’odore di uova marce tipico dell’acido solfidrico inizia ad invadere le aree circostanti con effetti letali. Dal nucleo dell'eruzione, che nel lago Kivu può superare agevolmente il chilometro di diametro, si irradieranno onde simili ad uno tsunami, alte fino a 5-10 metri, che andranno a schiantarsi sulla riva.

Una densa nube di gas, formatasi quasi istantaneamente, si dirigerà in tutte le direzioni con la forza di un uragano ma, invece di crescere verso l'alto, la nube, simile ad una nuvola temporalesca, si espanderebbe lateralmente a grande velocità avvolgendo la riva e penetrando sempre più verso l’interno fino a lambire zone anche 100 o 200 metri sopra il livello del lago. In assenza di vento questa nube di gas tossico potrebbe impiegare giorni o settimane per disperdersi o potrebbe spostarsi su un terreno più elevato in base alle condizioni del vento.

I soccorsi non potrebbero avvicinarsi all’area per settimane poiché i respiratori non garantirebbero la necessaria autonomia per entrare ed uscire.

Sarebbe una catastrofe senza precedenti.

 

La città di Goma che ospita quasi 1,5 milioni di abitanti sorge ai piedi del vulcano Nyiragongo e sulle rive del lago Kivu. Foto: MONUSCO Photos.

 

I fattori scatenanti

 

La descrizione di un simile evento non può basarsi su prove empiriche poiché nelle ultimi millenni non se ne sono verificate o quantomeno nessuno è stato in grado di raccontarlo. Pare che l’ultimo evento verificatosi sia datato oltre 3500 anni fa e sia stato causato dall’abbassamento del livello del lago per una prolungata siccità che ha ridotto la pressione idraulica che serve a mantenere il gas in soluzione in profondità.

Ulteriori possibili cause dell’eruzione potrebbero essere il raggiungimento della saturazione al 100% del gas in profondità o un evento sismico generato da uno dei vicini vulcani che potrebbe innescare una frana che mescolerebbe gli strati d'acqua o la lava che, eruttando dal fondo del lago, potrebbe fornire abbastanza calore da far fuoriuscire il gas.

Ma la momento la probabilità un evento catastrofico a breve sembra ridotta: la recente eruzione ha rilasciato gran parte dell'energia accumulata nel sistema drenando la caldera e potrebbe essere necessario anche un decennio, per ricostruire il lago di lava nel cratere principale.

Naturalmente un ruolo fondamentale lo riveste il monitoraggio del vulcano, fatto dall’ Observatoire Volcanologique de Goma le cui attrezzature sono utilizzabili solo sulla montagna e spesso oggetto, come detto, di atti vandalici. Ricordiamoci che qui vive una delle popolazioni più povere del pianeta, il cui reddito nazionale lordo pro capite, secondo l’Indice di Sviluppo umano (HDI, Human Development Index), è di appena 796 dollari, e che da almeno venti anni conosce solo guerra, morti, distruzione, stupri e malattie da povertà come malaria, tubercolosi, poliomielite e morbillo. Risulta evidente, pertanto, come l’abnegazione di pochi non possa sopperire all’assenza di mezzi ed un intervento della comunità internazionale servirebbe a garantire che i vulcanologi possano mantenere il vulcano monitorato con le migliori risorse a disposizione.

 

L’estrazione del metano

 

Il lago Kivu è un gigantesco biodigestore naturale, contiene grandi quantità di alghe, che forniscono materia prima per la produzione di biogas recuperabile. Le risorse di gas presenti possono fornire energia a basso costo alla popolazione della regione per generazioni così come è fondamentale un programma per ridurre le dimensioni del deposito di gas per evitare una massiccia eruzione limnica.

Attualmente esiste già un impianto estrattivo, quello di KivuWatt, gestito da una società con sede a Londra, sul lato ruandese del lago. Il progetto fornisce attualmente 26 MW di potenza alla rete elettrica del Ruanda ma il prelievo dalla risorsa di metano è minimo ed all’attuale ritmo di estrazione verrà rimosso solo il 5% del metano in 25 anni. Se consideriamo che il lago, nel frattempo, prosegue la sua produzione di metano, stimata in 0,5-1% del volume totale per anno, risulta evidente che questa velocità di estrazione non può essere considerata sufficiente per ridurre davvero il rischio di una eruzione limnica.

 

La torre di estrazione di gas metano dal lago di KivuWatt. Foto: Michael Muli

 

Naturalmente non è un’operazione priva di rischi e nel 2009 un progetto finanziato dalla World Bank, realizzato per il Ministero delle Infrastrutture del Rwanda e per il Ministero degli Idrocarburi della RDC, ha evidenziato una serie di criticità legate all’estrazione da considerare per evitare una possibile interruzione della struttura di stabilità del lago. Prima tra tutte le modalità di scarico nel lago dell'acqua degasata e di quella di lavaggio che se non realizzate conformemente possono danneggiare i gradienti con danni irreversibili.

Lasciare il controllo delle estrazioni in mano agli appaltatori privati presenta dei rischi che purtroppo la popolazione del Congo conosce bene ed inoltre un progetto, su vasta scala, che porti ad una concreta messa in sicurezza del lago, richiederà miliardi di dollari. Naturalmente si potrà obbiettare che l'energia ricavata dal degassamento del lago può portare utili anche di 10 volte rispetto al capitale speso ma rimane una prospettiva a lunga scadenza perché in realtà, in questo momento, la domanda di energia localmente è significativamente più bassa di quella potenzialmente disponibile vista la povertà delle popolazioni circostanti.

Da anni, le assemblee dell’Onu hanno deciso lo stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno per consentire ai paesi più poveri di fronteggiare i danni dei cambiamenti climatici e di accedere all’energia. Tra meno di due mesi si terrà la Cop 26 a Glasgow. Per l’ennesima volta, si cercherà di raggiungere un’intesa comune sulla necessità di ridurre in modo significativo tutte le emissioni di gas a effetto sera, compreso il metano. Per farlo, in tempi brevissimi, sono considerate misure costosissime e di dubbia efficacia perché attuabili (forse) solo nella parte più ricca del pianeta.

Prima, non sarebbe il caso di cominciare a destinare davvero le risorse promesse, ad esempio, per disinnescare i disastri naturali che è possibile prevenire?  

 

Giovanni Brussato