Terna. Le gioie del monopolio e l'idolatria per le rinnovabili elettriche

Pubblicato il documento RSE "Energia elettrica, anatomia dei costi" aggiornato al 2018. C'è da comprendere perchè la Terna sia sempre disposta a difendere a spada tratta (manco fosse la piccola Greta...) la Sen, il Pniec e, adesso, il Green New Deal. Purchè si alzi sempre “l’asticella” delle Fer non programmabili e, con essa, le sue rendite da monopolio. Ma la Terna, in Italia, non è la sola a comportarsi secondo logiche distruttive volte solo alla propria riproduzione. Nel delirio delle rinnovabili elettriche non programmabili le sta a fianco tutta la borghesia vendidora italiana, a cominciare dai vertici della Confindustria, che poi si lamentano per l'alto costo dell'energia elettrica nel nostro Paese e delle tasse che gravano su di essa.

 

 

Dopo il lockdown per il Covid, il Professor Giulio Sapelli, con poche rutilanti pennellate, aveva consegnato alla posterità un disturbante quadretto di ciò che è diventato il nostro Paese:

"Oggi il controllo estero sull’Italia – che occorre dominare politicamente con la teocrazia di nomina politica bruxelliana – si disvela in tutta la sua virulenza. La borghesia vendidora pare aver vinto questa partita. La povera gente, i lavoratori, gli artigiani, le persone che vivono del proprio lavoro e vorrebbero lavorare e continuare a produrre sono sconfortate e allibite".

Un'impressione di angoscia diffusa peraltro condivisa, in una loro analisi di giugno, anche dai consulenti del mercato energetico Energy Advisors, nell'articolo del Quotidiano Energia "Mercato elettrico, segnali preoccupanti sulla “moria” di piccole attività": "La paventata moria di attività per così dire "molecolari", singolarmente di limitate dimensioni ma ad elevata diffusione, rischia di tradursi in realtà. Con uno sfilacciamento del tessuto sociale ancor più preoccupante degli immediati effetti economici".

Altrove e più recentemente, ma sempre sul quotidiano on line il Sussidiario, Sapelli aveva così definito le cuspidi dei “vendidori” delle risorse private e pubbliche italiane, impegnate a proseguire nel loro disegno distruttore ed a riprodursi:

"Esse sono costituite da quei segmenti dei ceti dominanti che vivono saprofiticamente di mediazione economica e politica con potenze estere o con organizzazioni sovranazionali (tipo Onu, Bce, Unione Europea, Oms, ecc.). Queste classi “vendidore” sono formate da alcune centinaia di migliaia di persone scolarizzate che controllano gli snodi cruciali della poliarchia pluricefala continentale: banche, aziende di varia definizione merceologica e soprattutto quotidiani e organi di stampa, che formano quel landscape ideologico continuamente alimentato da costoro".

Chissà perchè, tale definizione mi frullava nella testa mentre leggevo un interessante documento di aggiornamento ai dati del 2018 redatto dall' RSE (per molti aspetti redatto con pesanti forzature ad usum delphini, ma è tutto quello che passa il convento): "Energia elettrica, anatomia dei costi".

L'analisi del documento sollecita (meglio: dovrebbe sollecitare) alcuni interrogativi soprattutto - ma non solo - sul ruolo della Terna. Vediamone alcuni.

 

Perchè la Terna (pare di capire dal grafico di pag. 27 riprodotto qui sopra) deve guadagnare ogni anno circa 100 milioni (ed erano 200 fino al 2014!) per il disturbo della "messa a disposizione della capacità produttiva" (DIS)? E' insito nel suo mestiere. E' come se lo Stato mi facesse pagare una quota fissa ben occultata in una qualche bolletta, oltre al costo delle bistecche, a favore del mio macellaio (e di tutti gli altri macellai, perchè loro, a differenza di Terna, non godono di un regime di monopolio) per la "messa a disposizione" della carne, cioè perchè io non rischi di rimanerne improvvisamente senza. Loro già guadagnano vendendo la carne, e in questo modo ci garantiscono dai rischi di carestia! E la Terna già guadagna costruendo e gestendo le reti, che vengono tutte tariffate in accordo con lo Stato.

 

Ma soprattutto perchè (si veda la prima tabella di pag. 32 qui sopra) dal 2009 (cioè all'immediata vigilia dell'ubriacatura di pannelli FV, piantati dappertutto grazie al decreto salva Alcoa, e quindi con lo straripamento dell'energia elettrica non programmabile) al 2018 i costi di trasmissione (della quale Terna è monopolista di fatto) sono aumentati del 50% ( ! ) a 1,8 miliardi? Tutto ciò in costanza, grosso modo, dei costi di distribuzione e misura (che competono ad una molteplicità di altri soggetti, non monopolisti), come appare coerente, in costanza anche dei consumi elettrici finali. I Signori (la lettera maiuscola non è a caso) della Terna si sono cuccati negli ultimi anni tutti i 600 milioni di aumento annuo in bolletta derivati dall'aumento del costo dei servizi di rete a seguito dell'installazione delle Fer non programmabili. Questo significa, semmai ce ne fosse stato bisogno, che

a) essere monopolisti è, come noto, una condizione invidiabile.

b) essere monopolisti di un servizio pubblico essenziale è super-invidiabile.

c) essere monopolisti di un servizio pubblico essenziale avendo - chissà poi perchè - sempre amico il Governo (di qualsiasi colore politico, così come si sono succeduti negli ultimi dieci anni. Forse perchè chi tocca i fili delle rinnovabili elettriche muore?) è il non plus ultra per conseguire profitti senza limiti. Il risultato sintetico di questa felicissima e favorevolissima congiunzione astrale si può ritrovare nell'andamento del titolo Terna alla Borsa valori: ammessa in Borsa nel 2005 a 1,7 euro, è arrivato nel febbraio 2020 ai massimi assoluti di 6,8 euro (fonte: articolo a pag. 19 del quotidiano La Verità del 6 agosto scorso). Aumentare il valore di Borsa del 300% in 15 anni (al netto dei dividenti nel frattempo distribuiti) non è da tutti. C'è da comprendere che la Terna sia sempre disposta a difendere a spada tratta (manco fosse la piccola Greta...) la Sen, il Pniec e, adesso, il Green New Deal. Purchè si alzi sempre “l’asticella” delle Fer non programmabili...

Qualche prova?

Già avevamo giudicato molto severamente  le ambiguità della Terna in sede di audizione sul Pniec davanti alla commissione Attività produttive della Camera nel marzo 2019.

Avevamo in seguito fatto rilevare in un altro nostro post che poche settimane dopo, sul Quotidiano Energia del 29 aprile, appariva un articolo "Phase out, appello dei Tso europei", con la candida ammissione (a cui nessun accenno era stato fatto davanti alla commissione Attività produttive), da parte della stessa Terna, della validità delle nostre critiche al sistema elettrico basato sulle Fer non programmabili:

"La sicurezza degli approvvigionamenti non può essere data per scontata" perchè siamo legati alle leggi della fisica e ad impedimenti tecnici, aspetti non negoziabili". E' l'avvertimento degli amministratori delegati di 15 Tso europei, - tra cui Luigi Ferraris di Terna - secondo i quali occorre un "forte coordinamento delle politiche energetiche nazionali" per evitare di mettere a repentaglio l'adeguatezza del sistema elettrico"... "I Paesi stanno prendendo decisioni sulla loro capacità di produzione elettrica, come la chiusura di impianti a carbone o nucleari, spesso senza discuterne con gli altri... è più facile prendere decisioni sulla chiusura delle centrali piuttosto che avviare nuova capacità di generazione".

Una posizione riproposta pochi giorni dopo da Luca Torchia, responsabile affari istituzionali di Terna, che ribadiva lo stesso concetto nel suo intervento alla tavola rotonda "Transizione, comunicazione, informazione" del 9 maggio 2019, come riportato dalla Staffetta Quotidiana:

"... non è scontato che, chiudendo quella che è diciamo il grosso della generazione termoelettrica, il sistema elettrico tenga; una cosa da valutare con grandissima attenzione, un richiamo al realismo e alle leggi della fisica. Ci sono delle regole su cui gli slogan non fanno presa, insomma".

Proseguiamo con l'articolo del Sole del 31 luglio 2019 "Terna, il business regolato e l'estero spingono il fatturato" di Celestina Dominelli, che sottotitolava "Elettrodotti. I ricavi hanno beneficiato della revisione tariffaria" (per effetto della revisione al rialzo del Wacc, ossia il tasso di remunerazione del capitale investito, per il triennio 2019-2021. Ndr). Leggiamo l'incipit dell'articolo:

"La priorità resta "il mercato domestico regolato" per dirla con le parole dell'ad, Luigi Ferraris, che, nella conference call seguita ieri alla diffusione dei risultati dei primi sei mesi, ha riconosciuto alla società "solide basi per una forte accelerazione alle attività di investimento e per la creazione di valore a favore degli azionisti".

Ancora.

Articolo del 27 novembre 2019 del Quotidiano Energia dal titolo "Entso-E: Italia dipendente dall’import, possibile eccesso produzione Fer", che così esordiva: "Entso-E... avverte che l'Italia sarà dipendente dall’import e potrebbe soffrire di un eccesso di produzione da rinnovabili" e poi:

"A proposito di Terna, è da segnalare la pubblicazione nei giorni scorsi del "Rapporto Adeguatezza Italia", in cui si prevede che anche a fronte dei 40 GW di nuova capacità Fer nello scenario Pniec 2030, per garantire l'adeguatezza del sistema sarà necessaria una capacità termica di poco inferiore a quella attualmente disponibile (circa 58 Gw). Negli ultimi 6 anni, spiega il rapporto di Terna, il sistema ha perso circa 15 GW di capacità termica tradizionale, a cui si aggiungono più di 3 GW di impianti esistenti ma non disponibili all'esercizio. Il Pniec, ricorda Terna, prevede al 2025 una riduzione della capacità termoelettrica a circa 49 GW, dovuta principalmente al phase-out completo del carbone (7,9 GW). Per gestire il phase-out, è perciò necessaria la realizzazione di ulteriori 3 GW di accumuli e 5,4 GW di generazione a gas. In un orizzonte di medio-lungo termine (2025-2030) le analisi del Tso evidenziano che il sistema elettrico italiano avrà bisogno di una capacità termoelettrica "non inferiore ai 54-55 GW per rispettare il criterio di adeguatezza di un massimo di 3 ore Lole".

Insomma, per farla breve: la Terna ammette esplicitamente che le rinnovabili non programmabili sono un problema e che si dovrà duplicare il sistema mantenendo, in funzione di back up, tutto l'attuale potenziale termoelettrico. I costi esploderanno, ma non preoccupatevi: ci sarà da mangiare per tutti, non solo per chi coprirà l'Italia con tralicci e cavi ad alta tensione, e alla fine pagherà tutto, come sempre, l'utente della bolletta.

Intanto, a causa delle Fer non programmabili, anche i costi degli investimenti in reti crescono a dismisura, e questo è ciò che preme principalmente alla Terna. Nell'articolo dell' 8 aprile del Sole, di nuovo a firma di Celestina Dominelli, "Terna, ecco il piano al 2030 "Pronti a investire 14 miliardi" leggiamo:

"Sono progetti strategici - chiarisce Ferraris - che serviranno innanzi tutto a rafforzare lo scambio lungo il corridoio nord-sud perchè dobbiamo garantire il passaggio dell'energia rinnovabile, prodotta soprattutto al centro-sud, verso il nord della penisola dove si concentra il grosso del fabbisogno".

Eppure, quello dei costi della Terna non appare, in termini quantitativi, lo scandalo maggiore. Nel documento RSE aggiornato, la componente Ae (Agevolazioni - cioè regali - agli energivori) nel 2018 è aumentata improvvisamente (si veda la tabella di pag. 34, qui sotto)

 

di 1,2 miliardi all’anno, a 1,8 miliardi dai precedenti 600 milioni, che già era una cosa inaccettabile. Queste agevolazioni sono un ennesimo costo accessorio delle Fer elettriche non programmabili a carico di noi poveri mortali, giustificato dal costo dell'energia elettrica diventato insopportabilmente alto per le industrie energivore a causa degli incentivi spropositati concessi a FV ed eolico. Un delirio! Dall’analisi dell'evoluzione dell'ammontare di queste agevolazioni nel corso degli anni, come si osserva nella stessa tabella a pag. 34, si desume che l'iniziativa politica del mega aumento sia da addebitare ai governi PD della precedente legislatura, che però è stata accettata senza dire bao dal successivo governo giallo-verde della nuova legislatura.

A proposito delle ambiguità delle nostre élite, giova qui riproporre quanto scritto dal Professor Giuseppe Di Gaspare, che insegna Diritto dell'Economia alla Luiss, in un caustico articolo sugli "Stati Generali" tenuti a Villa Doria Pamphilj in giugno, dal titolo "L'intreccio di clero e nobiltà ha ingannato il Terzo Stato":

"Bonomi (presidente Confindustria. Ndr) ha toccato dei tasti importanti. Prendiamo, ad esempio, la riduzione del costo dell’energia elettrica... Bisognerebbe piuttosto chiedersi chi si avvantaggia, e perché, di un prezzo dell’energia elettrica, defiscalizzato, superiore al 20% di quello medio Ue. Confindustria conserva ancora una struttura associativa non proprio da corpo intermedio, gli imprenditori sono dotati di elettorato attivo e passivo, e forse Confindustria dovrebbe cominciare a sciogliere qualche conflitto d’interesse al suo interno. Il costo dell’energia è un grosso handicap per il sistema imprenditoriale del paese, ma alcuni gruppi ovviamente se ne avvantaggiano".

Ma ancora non basta, in termini di sorprese che si ricavano dal documento RSE.

Nel 2018 il peso complessivo del solo carico fiscale sull'energia elettrica (anche non inserendo gli incentivi alle rinnovabili, che sono imposte occulte e che sono stati pari a circa il 20% della bolletta prima delle imposte, in questa categoria, come dovrebbe invece essere fatto per correttezza) è stato di quasi il 22% ( ! ), ossia 53,4 miliardi (il totale della bolletta elettrica nazionale, nella tavola a pag. 37) meno 43,8 miliardi (totale dei costi per gli utenti al netto di accisa e IVA, nella tavola a pag. 36) diviso 43,8 miliardi. Si vedano qui sotto le due tabelle citate.

 

 

Sarebbe interessante, infine, sapere fin da subito che cosa è successo, quantificandone gli aumenti, ai già enormi (circa 3 miliardi nel 2017 e 2018, anche se in realtà mi sembrano sottostimati...) costi di dispacciamento durante il periodo del lockdown, quando è crollata la domanda di elettricità, specie nei giorni in cui si vendeva solo energia da rinnovabili non programmabili. Ma questo, se nessuno lo chiede prima a gran voce in Parlamento, lo sapremo dall' RSE solo tra due anni, quando sarà stata installata un'altra marea di deleterie pale e pannelli iper-incentivati per compiacere gli inesausti appetiti della borghesia vendidora italiana.

Appare quanto mai opportuno terminare questa nostra breve analisi citando l'articolo pubblicato sul Quotidiano Energia del 25 luglio "Integrare le Fer nel mercato resta estremamente difficile", dove gli Energy Advisors (anche se riconosciamo la penna del Professor Giuseppe Gatti) concludevano:

"Integrare le rinnovabili nel mercato, come si continua a ripetere, rimane ancora estremamente difficile, perchè per quanto si parli di market parity ormai prossima, solo in pochi casi è effettivamente raggiungibile e se si toglie la rete di protezione degli incentivi crolla ogni prospettiva di sviluppo delle rinnovabili. Al tempo stesso avere una componente del sistema (il termoelettrico) che procede secondo logiche di mercato ed un'altra (le rinnovabili) che dalle regole di mercato è esonerata per factum principis, rende impossibile quella coerenza di sistema che da anni si sta invano ricercando, ma che potrà essere raggiunta solo forzando la riduzione dei costi delle rinnovabili, investendo a sostegno della ricerca più che negli incentivi".

 

Alberto Cuppini