I rincari del gas fanno emergere i costi delle rinnovabili nelle bollette elettriche

I recenti aumenti smascherano i furbastri che sostenevano che in questi ultimi anni l'avvento massiccio delle rinnovabili avesse ridotto i costi dell'energia elettrica. A ridursi erano state non le bollette ma i prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso, che sono rimasti a livelli bassi per effetto della rivoluzione dello shale gas, non per le rinnovabili. La riduzione improvvisa del prezzo del gas aveva permesso di celare gli aumenti abnormi in bolletta soprattutto della componente oneri generali di sistema (in particolare gli incentivi diretti alle Fer) e dei costi di dispacciamento cagionati dalle Fer non programmabili, che altrimenti avrebbero fatto gonfiare le bollette ben oltre a quanto avvenuto in realtà. Ora non è più possibile nascondere questi costi. L'aumento del prezzo del gas appare però transitorio. I veri pericoli per il sistema elettrico italiano sono: i vuoti nell'offerta energetica e tecnologica, la distruzione del mercato, l'esplosione degli oneri connessi all'uso delle Fer non programmabili e l'ulteriore aumento degli incentivi, prima con il nuovo decreto del Mise, ma destinati poi ad andare del tutto fuori controllo con l'approvazione Ue del Piano Nazionale energia - clima.

 

Autunno. Già lo sentimmo venire negli aumenti delle bollette di luglio, nei rincari delle materie prime energetiche di agosto e settembre; e un brivido percorse l'Italia che ora, fredda e triste, accoglie un'altra stangata dell'Autorità di Regolazione dell'Energia. Luigi Grassia scrive sulla Stampa del 28 settembre nell'articolo "Sulle bollette la stangata di ottobre" : 

"Dal primo ottobre arrivano forti rincari in bolletta: la spesa per l’energia delle famiglie in regime di tutela aumenteranno del 7,6% per l’energia elettrica e del 6,1% per il gas naturale rispetto al terzo trimestre. Lo comunica l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Complessivamente, tenendo conto di queste novità per quanto riguarda l’elettricità la spesa (al lordo tasse) di una famiglia-tipo italiana nel 2018 sarà di 552 euro, con un aumento del 6,1% rispetto ai 12 mesi dell’anno precedente (circa 32 euro in più)."

 

Giusy Franzese sul Messaggero del 28 settembre nell'articolo "Luce e gas, da ottobre scattano gli aumenti" si chiede:

"Ma cosa è successo nell’ ultimo trimestre per giustificare aumenti delle tariffe tanto salati? Così come per i rincari di luglio (+8,2% luce, +6,5% gas) anche stavolta la colpa – spiega l’Autorità – è nei forti incrementi dei prezzi delle materie prime energetiche e delle quotazioni all’ingrosso dell’energia elettrica e del gas che hanno raggiunto in Italia e in Europa livelli record. In particolare, pesano le «sostenute» quotazioni internazionali delle materie prime energetiche: il gas risulta più caro del 13% e il carbone del 12%. Effetti negativi derivano anche dalla crescita «senza precedenti» del prezzo dei permessi di emissione di anidride carbonica (CO2, +29% negli ultimi tre mesi rispetto al trimestre precedente) e dall’ incertezza legata allo stop totale o parziale di 22 reattori nucleari su 58 in Francia. Il combinato disposto di tutti questi eventi ha portato un aumento del 29% del prezzo alla borsa elettrica italiana (PUN) rispetto al secondo trimestre del 2018".

E meno male, almeno secondo quanto ci viene raccontato, che c'è l'Autorità di Regolazione. Leggiamo infatti Francesca Basso sul Corriere, sempre del 28 settembre, nell'articolo "Maxi-aumenti per luce e gas":

"Le tensioni internazionali con le loro ricadute sul costo delle materie prime finiscono così nelle case degli italiani attraverso la bolletta. Del resto il costo di luce e gas è agganciato ai prezzi internazionali delle materie energetiche. Tuttavia, per venire incontro a famiglie e imprese, l’Arera ha deciso per l’ elettricità di rinnovare il blocco degli oneri generali di sistema (gli importi fatturati per coprire i costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico, dagli incentivi alle fonti rinnovabili alla messa in sicurezza del nucleare)." 

In realtà, oggi in Italia gli oneri di sistema riguardano essenzialmente i costi diretti o indotti degli incentivi alle Fer elettriche, essendo gli altri oneri, a loro confronto, del tutto marginali. Ma proseguiamo con la Basso: 

"Anche a fine giugno gli oneri generali erano stati «notevolmente diminuiti per attutire l’ impatto dell’aumento del prezzo dell’energia». L’ Arera sta utilizzando nella «misura massima possibile la sua azione di scudo». L’effetto complessivo di questo doppio rinvio, di cui beneficiano le famiglie ma anche i consumatori non domestici, sia in maggior tutela che nel mercato libero, vale per tutto il 2018 circa un miliardo."

Questi aumenti smascherano definitivamente i furbastri che sostenevano che in questi ultimi anni l'avvento massiccio delle rinnovabili avesse ridotto i costi dell'energia elettrica sopportati dai consumatori italiani. Già sapevamo dall'analisi dell'andamento del PUN annuale che la sua diminuzione era iniziata solo nel 2013 ed era diventata significativa solo nel 2014, molto tempo dopo l'avvenuta installazione (tra il 2010 e il 2011) di un potenziale di Fer elettriche non programmabili inverosimile e costosissimo. In coincidenza, cioè, con la diminuzione dei prezzi del gas naturale indotti dalla "shale revolution". A tale conclusione, in modo meno grossolano, si poteva pervenire con il calcolo dell'alto coefficiente di correlazione tra l'andamento mensile del PUN e del prezzo mensile del gas oppure, ragionando a contrario, rilevando la bassa correlazione tra l'aumento mensile della produzione di elettricità da Fer non programmabili e la riduzione del PUN nei mesi corrispondenti.

A dire il vero, negli ultimi anni, a ridursi erano state non le bollette ma i prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso, che sono rimasti a livelli bassi appunto dal 2014 al 2017, e questo per effetto precipuo della rivoluzione dello shale gas, non per le rinnovabili. La riduzione improvvisa di tali prezzi aveva permesso di celare gli aumenti abnormi soprattutto della componente oneri generali di sistema (in particolare gli incentivi diretti alle Fer) e dei costi di dispacciamento cagionati dalle Fer non programmabili, che altrimenti avrebbero fatto gonfiare le bollette ben oltre a quanto avvenuto in realtà.

Non era difficile rendersene conto... Così ironizzava Giuseppe Gatti, presidente di Energia Concorrente e solitaria voce controcorrente tra gli imprenditori elettrici, sull'ultimo numero di Nuova Energia nell'articolo "Col giallo-verde l'energia va in corto circuito", scrivendo a proposito della mozione Lega-5 Stelle per il contrasto alla delocalizzazione produttiva presentata alla Camera il 16 luglio: 

"il documento giallo-verde esordisce affermando che "in Italia il costo dell'energia per le PMI risulta troppo alto nonostante la crescente produzione di energia da rinnovabili" non rendendosi conto che è stato proprio lo sviluppo delle rinnovabili a far salire il costo dell'energia... Va bene l'efficientamento, ma l'utilizzo delle rinnovabili non riduce certamente i costi. Confrontarsi con chi confonde i prezzi all'ingrosso, che certamente calano al crescere delle rinnovabili, con quelli finali, che invece allo stesso tempo aumentano, e non si rende conto che la crescita delle rinnovabili, almeno nel breve-medio termine comporta un costo rilevante per il sistema produttivo, non è facile."

Un simile grave equivoco concettuale non è tuttavia monopolio del governo, sia quello presente che quelli passati, ai quali, per correttezza di analisi, va addebitato il disastro delle politiche di iper incentivazione delle Fer elettriche, ma è comune alla classe dirigente italiana, che preferisce anche in questo caso farla facile e attendere - non si sa come e non si sa quando - qualche soluzione miracolistica.

Con l'improvviso balzo del prezzo del gas, gli aumenti innescati dal truffaldino "miracolo green" si stanno slatentizzando e l'esplosione delle bollette diventa un rischio concreto, quanto più i prezzi del gas naturale si riavvicinano ai valori pre "rivoluzione shale". Ricordiamo per l'ennesima volta che in Italia, per la struttura stessa del mercato del giorno prima, è proprio il gas, in quanto tecnologia marginale ricorrente, a determinare quel particolare prezzo. Lo è stato in questi anni e, almeno fino a quando le rinnovabili non programmabili distruggeranno del tutto quel mercato (Dio ce ne scampi e liberi...) rendendo i prezzi assolutamente imprevedibili come è già accaduto in Germania, nel medio periodo lo sarà ancora.

La pensa così anche l'agenzia di rating Moody's, che nel recente report "Europe's electricity markets" scrive:  "In Italy, gas will remain the price-setting fuel as decarbonisation becomes more challenging”. L'autrice del report Alessandra Mac Donald ha così giustificato tale conclusione, secondo quanto riportato da EnergiaOltre

“La decarbonizzazione comporterà una diminuzione del margine di riserva dell’Italia nel medio termine... Con la chiusura delle centrali termiche, compresa l’eliminazione graduale della capacità a carbone annunciata dal governo nella SEN 2017, il margine di riserva scenderà a circa il 10% entro il 2022”. Moody’s tuttavia ritiene che la chiusura delle centrali non determinerà una significativa pressione al rialzo dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica nazionale, che continueranno ad essere fissati principalmente dal prezzo del gas. Secondo l’agenzia di rating, i prezzi dell’energia elettrica si attesteranno intorno ai 50-60 euro per megawattora (MWh) fino al 2022."

Ci pare perciò di capire che anche lei, come noi, consideri transitori questi aumenti dei prezzi internazionali del gas naturale, per l'esistenza del meccanismo equilibratore delle incommensurabili riserve di shale gas, che ricominceranno ad essere sfruttate appena si avrà conferma di questi segnali di prezzi di mercato crescenti.  

Il problema più drammatico per l'economia italiana non sarà quindi, almeno nel medio periodo, il prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica, quanto piuttosto

a) il baratro energetico sempre più incombente con la repentina scomparsa di un ulteriore margine di riserva elettrica affidabile (cioè programmabile), che costringerà l'Italia a fare affidamento, nonostante una ridondanza di potenziale che però è discontinuo ed aleatorio, su dubbi ausili dall'estero, che diventeranno sempre più precari con il previsto abbandono dei programmi nucleari civili in Francia, Germania, Belgio e Svizzera. Non sarebbe neppure necessario attendere tanto per far suonare l'allarme. Il rischio esiste già adesso: il recente Summer Outlook Report di ENTSO-E (il network dei sistemi di trasmissione elettrica europei) aveva evidenziato che i margini di riserva italiani risultavano sufficienti "solo grazie all'importazione strutturale di energia elettrica dai Paesi confinanti per svariate settimane da giugno fino alla fine di settembre".

b) la totale assenza di investimenti in impianti non sussidiati nella prospettiva di una definitiva scomparsa di margini di profitto da mercato, come il disperante esempio tedesco suggerisce. In Germania costantemente si

"ripropone il tema dell’accentuata volatilità dei prezzi in sistemi elettrici nei quali le fonti intermittenti hanno una particolare rilevanza",

come fatto osservare nell'articolo del Quotidiano Energia del 27 settembre "Borse elettriche si ferma l'escalation dei prezzi", che ammonisce:

"E’ con questa realtà che bisogna fare i conti quando, con una certa faciloneria, si parla di integrare le rinnovabili nel mercato. L’Italia è ancora lontana dalla situazione tedesca, ma in prospettiva si trova ad affrontare problemi analoghi".

L'energia eolica e quella solare, se eccedenti dimensioni che in Italia sono già state superate, finiranno dunque per distruggere i mercati elettrici in tutta Europa, con i vuoti nell'offerta energetica e tecnologica che ne deriveranno. Immaginare nuovi scenari per l'energia limitandosi a sostituire le fonti come in una equazione algebrica è una bestialità bella e buona.

c) l'esplosione degli oneri connessi all'uso delle Fer non programmabili. A questo proposito è utile leggere quanto affermato dal presidente dell'Enea Federico Testa nella recente audizione davanti alla commissione Industria del Senato, così come riportato dalla Staffetta Quotidiana del 13 settembre nell'articolo "Testa (Enea) lancia l'allarme su caro bollette":

"Nel momento in cui riparte il ciclo delle materie prime... se tu prima non sei riuscito a diminuire i costi che vanno in bolletta si sommano ai costi delle materie prime... Il sistema elettrico italiano è estremamente delicato, perchè sul sistema elettrico... pesano alcune scelte che non mi interessa giudicare (Questa affermazione ci sembra discutibile: di fronte all'enormità degli errori commessi, che mettono a repentaglio il futuro della Nazione, bisogna assumersi le proprie responsabilità, a costo di compromettersi. Ndr). Io credo che qualche errore nel passato sia stato fatto, per esempio rispetto agli energivori: se esentiamo qualcuno pagano gli altri... Se esentiamo qualcuno dagli oneri di pagamento di funzionamento della rete, che stanno crescendo moltissimo (il grassetto è nostro. Ndr), quegli oneri lì non li paga un'entità astratta, li pagano gli altri consumatori... Dobbiamo investire molto in ricerca... (in primo luogo sugli accumuli che) sono un campo che sta facendo progressi ma minori di quelli che ci si aspettava"

Minori di quelli che si fingeva di aspettarsi, per meglio dire. Il problema delle Fer elettriche non programmabili è tutto qui: non si sono gli accumuli o, per meglio dire, non esistono sistemi di accumulo di grandi quantità di energia elettrica né, tanto meno, esistono a costi accettabili ed a condizioni di sicurezza per l'ambiente circostante. Una cosuccia da niente, quindi: è stato semplicemente messo il carro dinanzi ai buoi e i buoi non esistono. O, a voler essere molto ottimisti, non esistono ancora.

Da queste considerazioni si ricava che il principale di quegli errori che Testa riconosce è stato di avere troppo accelerato i tempi della produzione di una quantità abnorme di elettricità non programmabile, rinunciando alla strategia di puntare inizialmente tutte le risorse nel miglioramento dell'efficienza energetica, nell'esportare l'eccellente tecnologia italiana in molti settori della produzione (e con essa quella stessa efficienza) nel mondo, riducendo così le emissioni clima-alteranti globali e guadagnando tempo (e risorse, molte risorse) per la ricerca di fonti veramente alternative alle fossili.

Perché il nocciolo della questione, desolante dopo tanti soldi sperperati e tanti sfregi inflitti al territorio patrio, è proprio questo: l'alternativa ai combustibili fossili ancora non esiste. Questo significa aver costruito il futuro sul niente. Non parlarne, illudendosi forse di esorcizzare col silenzio una scomoda verità e in attesa di un diluvio di innovazioni tecnologiche rivoluzionarie, ne amplifica la gravità: oltre all'enorme sforzo per ottenere poco (o addirittura nulla), un simile atteggiamento conferma - e questa è la cosa più allarmante - un pericoloso distacco della classe dirigente italiana dalla realtà.

A conferma di ciò l'attuale governo, a monopolio grillino per quello che riguarda l'energia, presenta adesso il decreto destinato a regalare altri incentivi a pioggia per piantare altre pale e pannelli dappertutto da qui al 2020. Ecco dunque l'ultimo rischio incombente:

d) l'aumento (è argomento di questi giorni) degli incentivi, destinati poi ad andare del tutto fuori controllo con l'approvazione Ue del Piano Nazionale energia - clima, sulla redazione del quale stanno confluendo le attenzioni di tutti i lobbysti. Ma di questo tratteremo diffusamente in un'altra prossima occasione. Intanto però non guasterebbe che gli elettori del partner di governo del M5S cominciassero SUBITO ad esprime ai loro rappresentanti il proprio malumore per questa ennesima scelta grillina auto-lesionista, che, in questo caso, sarà irreversibile.

Al momento, però, a nessuno sembra importare niente di questo disastro incombente e, anzi, tutti cercano di arraffare quante più prebende possibili a danno del futuro del Paese.

Così Giuseppe Gatti nel succitato articolo: "Il rischio che vedo e mi preoccupa è il miope opportunismo che tende a prevalere nel sistema imprenditoriale e che l'ha storicamente reso filo-governativo by definition."

Si legga, proprio a tal proposito, Luca Pagni su La Repubblica del 30 settembre nell'articolo "Luce e gas, allarme bolletta. I rincari non si fermeranno":

"Il gas naturale - assicura Pagni - sarà in crescita almeno per i prossimi 15-20 anni, fino a quando non si arriverà a una più consistente sostituzione delle fonti di produzione con le rinnovabili... Tanto è vero che la Ue ha recentemente portato i nuovi obiettivi - continua a garantire l'articolo della Repubblica - ad almeno il 35%. Una sfida che l'Italia rischia di perdere , mentre sarebbe necessario quanto mai accelerare ora che si avvicina giorno dopo giorno alla grid parity, ovvero la possibilità di nuove installazioni senza incentivi."

Un ben curioso ragionamento, quello di accelerare la concessione di nuovi incentivi mentre giorno dopo giorno ci si avvicina al momento in cui gli incentivi non saranno più, almeno secondo la Repubblica, necessari. Ma se si prosegue nella lettura dell'articolo, la logica, sia pur perversa, si rivela stringente; la preoccupazione della Repubblica, in realtà, è molto più terra terra:

"Il nuovo governo, in particolare la componente grillina, ha promessa che favorirà le rinnovabili e taglierà i sussidi agli energivori. Ma la nuova bozza di decreto viene contestata dagli operatori della green economy e l'esecutivo ha garantito che qualcosa verrà cambiato."

La Repubblica desidera evidentemente che il "Sistema Italia" segua la brillante parabola della Sorgenia, già di proprietà della Cir, che si è auto-cannibalizzata per favorire i megaprofitti nel segmento delle Fer elettriche. A proposito: il governo giallo-verde potrebbe andare a ficcanasare e chiarire chi ha pagato il salvataggio della Sorgenia? Temiamo di saperlo e temiamo che De Benedetti non ci abbia rimesso molto, da questo suo clamoroso errore di strategia aziendale che adesso vorrebbe applicare pure all'intera politica energetica italiana. 

Il punto di non ritorno verso la povertà energetica, a causa dei tempi lunghi che richiede la costruzione di nuove centrali elettriche "tradizionali", è ormai vicinissimo. Dopo si entrerà in lande inesplorate, dagli esiti incerti ma certamente esiziali per l'Italia e in primis per il suo sistema produttivo.

Così passa e declina, in quest'autunno della razionalità che incede con pervicacia indicibile, il miglior tempo dell'industria italiana; e lungamente ci dice addio.

Alberto Cuppini