In tutta Europa (ma non in Italia) crescono partiti e movimenti contrari all'eolico

Secondo lo Spiegel, l'idea tedesca dell'Energiewende sta facendo naufragio. In Germania "nessun politico teme niente di più che la resistenza dei cittadini se da qualche parte deve essere installata una pala eolica o se deve essere costruito un elettrodotto". Questo disastro voluto dalla Merkel favorisce Alternative für Deutschland, che da anni cavalca posizioni dichiaratamente negazioniste sul surriscaldamento del pianeta. Per Le Figaro, circa la contestazione alle pale eoliche, in Francia "cittadini ed eletti prendono al balzo la palla dei gilet gialli per fare intendere la loro collera": gli oppositori delle pale, privati da Macron delle proprie legittime tutele giurisdizionali, ora hanno indossato, come naturale conseguenza, i gilet gialli e guidano l'insurrezione nelle piazze francesi. Ciò a vantaggio del Front National (ora Rassemblement National), da sempre favorevole a decretare una moratoria immediata dell’eolico. Analoga la posizione di Farage nel Regno Unito. In Olanda, la più ambiziosa legislazione al mondo per la lotta ai cambiamenti climatici ha reso in alcune province rurali la lotta tra campagna ed energia eolica molto accesa ed ha portato alla vittoria nelle recenti elezioni il partito Forum voor Democratie, il cui leader Thierry Baudet esclude esplicitamente qualsiasi ulteriore sviluppo dell’energia eolica. In Ungheria le norme vietano di fatto l’installazione di nuove pale eoliche. In Italia, invece, tutto tace. Forse contribuiscono gli incentivi alle Fer elettriche senza pari al mondo, che garantiscono ai loro percettori una rendita puramente parassitaria di 12 miliardi di euro all'anno. Nonostante ciò, noi suggeriamo a chi si richiama alle radici identitarie l'uso delle ruspe anche per le fallimentari ed inaccettabili pale eoliche, se non altro per rimarcare le distanze dal M5S e dai loro amici dell'Anev.

 

Sarà un caso? La scorsa settimana sulla copertina dello Spiegel (il settimanale tedesco che vanta la maggior tiratura ed una delle riviste europee più influenti) è apparso il disegno di un lugubre paesaggio con tante pale eoliche spezzate ad illustrare il titolo "Pastrocchio in Germania. Transizione energetica (Energiewende): come una grande idea tedesca fa naufragio".

"Il maggiore fallimento della Merkel alla fine del suo cancellierato". "L'Energiewende manca di impianti, reti e accumuli. Lo Stato ha sperperato miliardi".

Niente meno. Per noi non è una novità, ma per lo Spiegel, almeno su questa materia, questi toni non sono certo consueti. Leggiamo ancora qua e là (tutti i grassetti del post sono nostri):

"I sondaggi mostrano come la grande idea della Energiewende conduce ad una frustrazione ancor più grande. Nonostante tutta la simpatia per il progetto, i cittadini oggi lo vedono come costoso, caotico, ingiusto... Secondo la Corte dei Conti federale, l'Energiewende è costata almeno 160 miliardi di euro negli ultimi 5 anni. Lo sforzo è stato "enormemente sproporzionato rispetto al mediocre guadagno"... Manca tutto: dalle reti agli accumuli, e soprattutto alla volontà politica ed alla capacità manageriale... E nessuno teme niente di più che la resistenza dei cittadini se da qualche parte deve essere installata una pala eolica o se deve essere costruito un elettrodotto."

 

Mancano pochi giorni alle elezioni per il Parlamento europeo. In Germania si vuole evidentemente evitare che ci sia una deriva verso le posizioni apertamente negazioniste di Alternative für Deutschland. Da anni AfD, come nell'intervista all'allora leader del partito Frauke Petry in vista delle elezioni federali tedesche del settembre 2017 nell'articolo "La protezione del clima è un errore", sostiene che

"Non ci sono prove scientifiche che l'anidride carbonica (CO2) prodotta dall'uomo abbia causato il recente surriscaldamento globale. Non c'è clima globale, solo zone climatiche. La loro relativa protezione... è impossibile. Una riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dall'uomo non può essere raggiunta senza enormi restrizioni allo sviluppo economico, come dimostrato dalla Germania. Le spese di tutti i paesi, come risulta dall'accordo sul clima di Parigi, ammonterebbero a 1 trilione di dollari americani all'anno entro il 2100 e ridurranno la temperatura media mondiale di soli 0,17 gradi Celsius. L'umanità in crescita ha problemi più urgenti che potrebbero essere risolti con molto meno."

Ma non c'è in ballo solo il surriscaldamento globale. In realtà la situazione in Germania, come si può intuire - seppure a stento - dalla grande stampa internazionale, è gravissima a causa degli innumerevoli errori epocali (tra cui l'Enegiewende) dell'amministrazione Merkel. I precari equilibri socio-economici interni non reggeranno ad un'altra crisi economica, indotta questa volta dalla guerra dei dazi di Trump. AfD, che propone alternative radicali, potrebbe diventare un'opzione percorribile per sempre più elettori tedeschi ed in particolare per il sottoproletariato (ricordate che cosa innescò la sua rabbia nel 1933 nelle urne?) e per gli altri perdenti nella partita della globalizzazione. Così nell'articolo del Sole del 14 gennaio siglato Alb.Ma. "Germania, l’AfD rompe il tabù: fuori dalla Ue se non accetta nostre riforme":

"Più che una proposta sembra un aut aut: Germania fuori dalla Ue se Bruxelles non accetterà un pacchetto di riforme radicali, inclusa l'eliminazione del parlamento europeo. Alternative für Deutschland, il partito di destra populista tedesco, ha rotto - a parole - il tabù dell'appartenenza tedesca al progetto comunitario. E' la prima volta nella storia politica nazionale, almeno per una forza rappresentata nel Bundestag e in corsa per l'Eurocamera."

Anche in Francia, dopo lo sciaguratissimo, immane piano triennale di aste eoliche previsto in piena ubriacatura ideologica dalla altrettanto sciaguratissima Ségolène Royal, la questione eolica è ora al centro del "grande dibattito" voluto da Macron, come viene ripetutamente riportato - tra gli altri - da Le Figaro in prima pagina. Così, ad esempio, il sette febbraio abbiamo letto parole molto forti negli articoli "La contestazione contro le pale eoliche si invita al grande dibattito"  ("Cittadini ed eletti prendono al balzo la palla dei gilet gialli per fare intendere la loro collera") e "Contenzioso eolico: come la giustizia amministrativa si adatta", in cui leggiamo che (come presto accadrà anche in Italia per raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano Energia Clima al 2030) "per disintasare i tribunali e rimanere nei termini, un livello di giurisdizione viene soppresso. Una evoluzione giurisdizionale che ha suscitato una viva agitazione presso gli oppositori delle pale". I quali oppositori delle pale, privati delle proprie legittime tutele giurisdizionali, ora hanno indossato, come naturale conseguenza, i gilet gialli e guidano l'insurrezione nelle piazze francesi.

Anche in Francia la posta in gioco travalica la questione eolica, come deducevamo già dall'articolo di QualEnergia del 24 aprile 2017 "Macron-Le Pen, due idee diverse di transizione energetica per la Francia":

"Dal “patriottismo economico” del Front National (ora Rassemblement National. Ndr) alla visione più europeista del movimento En Marche!, le posizioni su energia e ambiente dei due candidati al ballottaggio delle presidenziali francesi. In gioco la credibilità degli accordi di Parigi e il rafforzamento delle misure pro-rinnovabili." Il FN "è favorevole a decretare una moratoria immediata dell’eolico: Décréter un moratoire immédiat sur l’éolien. Le Pen, è evidente anche leggendo alcune dichiarazioni pubbliche dei mesi passati, vede in ogni turbina una potenziale bruttura per il paesaggio e un ostacolo al suo concetto di sviluppo sostenibile."

Il redattore di Qualenergia, così come Macron e le élite cosmopolite francesi, tendeva però a dimenticare - o a schernire - altri aspetti, meno materiali, della questione. Questi aspetti (l'identità nazionale, i valori simbolici, la bellezza e lo spirito patrio, ad esempio, oltre all'esistenza della religione e di complesse culture legate al territorio, e quindi anche al paesaggio) sono riemersi, inaspettati e prepotenti, proprio di recente e proprio in Francia dopo l'incendio di Notre Dame.

Una posizione sull'eolico analoga a quella della Le Pen è sempre stata anche quella di Nigel Farage, che si avvia ad essere il trionfatore delle surreali elezioni europee nel Regno Unito, alla guida del neonato Brexit Party. Differente la posizione di Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista britannico, che ha raggiunto un inaspettato successo alle ultime elezioni politiche in Gran Bretagna con un programma che, al contrario di quanto avviene negli altri partiti progressisti europei all'inseguimento delle capricciose pretese di un numero sempre maggiore di minoranze sempre più aggressive, si richiamava ad istanze tradizionalmente riconducibili al socialismo ed alle esigenze della classe operaia.

Corbyn punta infatti a nazionalizzare vari settori economici fra cui, proprio nell’ottica della transizione ecologica, quello energetico, ed in particolare quello dell'energia elettrica, con una particolare enfasi sulla municipalizzazione della produzione e della distribuzione. Noi riteniamo che la nazionalizzazione sarà l'inevitabile destino anche per l'Italia, di fronte alle inevitabili contraddizioni, sempre più evidenti e sempre più inestricabili, del sistema elettrico basato su pale e pannelli. A chi gli faceva rilevare i costi insostenibili degli indennizzi ai proprietari degli impianti, Corbyn sorrideva. Da vecchio marxista-leninista, Corbyn conosce infatti perfettamente l'entità degli indennizzi pagati da Lenin cento anni fa agli "stakeholder" russi dell'energia. I nostri amici dell'Anev che (insistendo da autentici cannibali a piantare sempre nuove pale per avere incentivi statali ancor più lucrosi degli attuali) vanno incontro alla loro stessa rovina, hanno consapevolezza di questa entità? Se non ne hanno (come non ne hanno) potrebbero chiedere lumi al fidatissimo presidente del coordinamento Free Giovanni Battista Zorzoli, che, da consulente in materia di energia del PCI, queste cifre le conosceva e le conosce al rublo. 

Eppure l'esempio europeo più evidente di autolesionismo dei "decarbonizzatori" è arrivato, inaspettato, dall'Olanda. "L'Olanda ha approvato la legge sul clima più ambiziosa del mondo", affermava Massimiliano Sfregola nel titolo del suo articolo su Eastwest non più tardi del 4 luglio 2018:

“L’Olanda ottiene la più ambiziosa norma al mondo sul clima. Entro il 2050 le emissioni dovranno essere ridotte del 95%”. Esulta via tweet Jesse Klaver, leader del Groenlinks, la sinistra rossoverde, e grande sponsor di uno storico provvedimento lodato anche da Al Gore... L’Olanda ha deciso di andare oltre i timidi obiettivi raggiunti dall’Accordo di Kyoto oppure delle enunciazioni di quello di Parigi, nella convinzione che l’esempio pratico possa funzionare meglio di complessi, e spesso disattesi, accordi multilaterali tra gli Stati. Cosi la maggioranza di centro-destra, guidata dal partito del premier Mark Rutte e l’opposizione di sinistra, hanno trovato un’intesa vincolante su un progetto redatto dal Groenlinks, dai laburisti (Pvda) e dai socialisti (Sp) volto in primis a stabilire degli obiettivi di riduzione dei gas serra, accompagnati da un meccanismo di verifica annuale... L’opposizione della destra populista, rappresentata dal Pvv di Geert Wilders e dal Fvd di Thierry Baudet - che non riconoscono l’allarme sul clima - è al momento irrilevante..."

Un trionfo del Bene e dei Salvatori del Pianeta, almeno in apparenza. Secondo la rivista olandese +31MAG.nl, i guai (e che guai) erano però cominciati subito. Leggendo il loro articolo del 12 marzo scorso dal titolo  "Energie rinnovabili, le province non raggiungeranno gli obiettivi posti dal governo" abbiamo appreso che :

"La maggior parte delle province olandesi non raggiungerà l’obiettivo stabilito dal governo a proposito della produzione di energia eolica entro la fine del prossimo anno, a causa dei ritardi per ragioni legali e della resistenza dei partiti politici. La transizione alle energie rinnovabili è uno dei temi centrali nella campagna elettorale per le elezioni della prossima settimana... Ma la questione ha anche generato una forte resistenza da parte dei partiti che contestano la necessità di affrontare il cambiamento climatico. Secondo un sondaggio di NOS, il 55% dei partiti in corsa per le elezioni provinciali è contrario alla costruzione di altre turbine eoliche sulla terraferma. Gli oppositori più rumorosi sono i partiti populisti di estrema destra PVV e Forum voor Democratie, i cui leader Geert Wilders e Thierry Baudet sono apertamente ostili alla scienza del clima. I manifesti dei partiti escludono esplicitamente qualsiasi ulteriore sviluppo dell’energia eolica o solare."

Ma soprattutto abbiamo appreso dalla rivista olandese che, come in Francia, il radicalismo comincia a materializzarsi tra gli "impalati" a forza:

"In alcune province rurali la lotta tra campagna ed energia eolica è molto accesa. Il Coordinatore nazionale per la lotta al terrorismo e per la sicurezza ha avvertito del rischio di escalation a seguito di una serie di incidenti quali minacce, vandalismo e intimidazioni."

In Italia questa sarebbe una novità assoluta, visto che, da noi, le "minacce, vandalismo e intimidazioni" vengono al contrario subite dagli oppositori delle pale eoliche e perpetrate ai loro danni da organizzazioni specializzate nel controllo del territorio e nel convincimento dei riottosi.

Dalla geniale idea di brutalizzare gli olandesi con l'imposizione di una quantità enorme di aerogeneratori è derivato il clamoroso risultato elettorale (taciuto per auto-censura da gran parte dei media italiani): "Olanda, trionfo dei populisti: sono primi al Senato".

Leggiamo dall'articolo di Francesca Paci sulla Stampa del 21 marzo scorso:

"È un trionfo: l’avanzata massiccia dei populisti olandesi del Forum per la Democrazia (FvD)... porta l’estrema destra di Thierry Baudet a diventare il primo partito... L’unica nota stonata nella presa dell’Fvd in un’Olanda sempre più lontana dall’immagina liberal e tollerante del passato è l’ambiente, tema a cui la popolazione è tradizionalmente molto sensibile: Baudet è dichiaratamente scettico rispetto al cambiamento climatico e, prevedendo la crisi della maggioranza di Rutte, ha fatto campagna elettorale spiegando che avrebbe preso in considerazione un appoggio esterno a condizione che la coalizione di governo rinunciasse ai suoi piani ecologici".

Nell'elenco dei cattivacci contrari alle pale eoliche poteva mancare l'orco nazionalista populista razzista Orban? Naturalmente no. In realtà, Orban rappresenta politicamente una coalizione di forze molto simile a quella che governava l'Italia fino al primo governo di centro-sinistra. Ma, si sa, gli stereotipi sono duri a morire. Abbiamo persino sentito con le nostre orecchie, in occasione delle elezioni parlamentari ungheresi dell'aprile 2018, una zelante giornalista RAI politicamente corretta (anche se, parlando di giornalisti RAI, "politicamente corretto" è un pleonasmo) rallegrarsi del mancato plebiscito per Orban a causa dell'avanzata di Jobbik (quello sì partito decisamente ultra nazionalista). Tornando ad Orban ed al legittimo e più che democratico governo ungherese, leggiamo da Euronews del 30 settembre 2016 l'articolo "Auto elettriche sì, pale eoliche no. L'Ungheria delle rinnovabili a due velocità":

"Avanti tutta con la mobilità elettrica, stop invece all’energia eolica. L’Ungheria sposa le rinnovabili, ma solo a metà... Per incentivare la diffusione di auto elettriche, sono stati introdotti anche benefici fiscali e semplificazioni normative. Allo stesso tempo, nuove norme vietano però di fatto l’installazione di nuove pale eoliche. Argomento del ministero dello sviluppo ungherese è la scarsa remuneratività. Le condizioni meteo sfavorevoli renderebbero insomma l’energia eolica troppo costosa. Da qui l’idea di vietare l’installazione di nuove pale in tutto il Paese."

E quindi niente trippa per gatti eolici in Ungheria, dove, in realtà, non vogliono, solo per compiacere qualche furbacchione, che il loro Paese sia sfigurato dagli aerogeneratori che producono poca energia elettrica ma molti danni. A qualcuno in Italia stanno fischiando le orecchie, anche senza pale eoliche in movimento? Magari a qualche amico di Orban? Salvini, ad esempio e tanto per non far nomi, destinatario di alcuni nostri purtroppo (per lui) inascoltati consigli nel recentissimo post sul sito web della RRC "Anche la Lega sprofonda nelle sabbie mobili dell'eolico", scritto in occasione dello scandalo Siri - Arata - Nicastri. Dopo aver perso l'occasione di liberarsi di propria iniziativa di Siri, per Salvini rimangono ancora validi gli altri nostri consigli. In particolare, alla vigilia del voto del 26 maggio, sarebbe particolarmente vantaggioso per lui promettere, oltre allo sforamento del tetto del 3% del deficit per realizzare investimenti produttivi, l'uso delle ruspe anche per le fallimentari ed inaccettabili pale eoliche, anch'esse prescritte dai "Professoroni", se non altro per rimarcare le distanze dal M5S e dai loro amici dell'Anev.

Lo stesso consiglio vale anche per la Meloni e per tutti quei partiti e movimenti politici che pur si richiamano alle radici identitarie, ma che mai si sono impegnati, nelle sedi del Potere romano, per opporsi all'installazione di aerogeneratori ciclopici su tutti i crinali del nostro Paese, deturpandone il paesaggio e l'ambiente in modo irreversibile. Significherà qualcosa che l'energia elettrica da rinnovabili in Italia viene favorita con incentivi senza pari al mondo, che garantiscono ai loro percettori una rendita puramente parassitaria di dodici miliardi di euro all'anno?

Citando Angelo Panebianco dall'articolo del Corriere del 6 maggio scorso "L'inerzia non giova all'Unione europea":

"I movimenti anti-europei non sono nati per caso, non sono un incidente di percorso più o meno irrazionale e incomprensibile. Sono il frutto di tutto ciò che non va nell’Unione europea così come è oggi... Contrariamente a molti altri, chi scrive non è affatto sicuro che Angela Merkel verrà ricordata come una grande leader europea. Credo invece che, non avendo avuto la forza o il coraggio di prendere per i capelli l’opinione pubblica tedesca e di trascinarla con sé, come i veri leader sanno fare, ella abbia contribuito a ingessare l’Europa dandola così in pasto ai suoi nemici. Ci sono, nella costruzione europea, vizi d’origine per anni e anni nascosti sotto il tappeto. Per citarne uno: la malsana intrusione normativa dell’Unione in ambiti in cui non dovrebbe entrare, l’ossessiva mania regolamentatrice e dirigista che è incompatibile con i principi del federalismo (comunque declinato)."

Rientra in pieno in questa "intrusione" dell'UE in ambiti impropri l'imposizione forzosa alle popolazioni delle deleterie pale eoliche ubique e dei consequenziali onnipresenti elettrodotti. Del pari, esempio preclaro ed assiomatico della "ossessiva mania regolamentatrice e dirigista" è il "Clean Energy Package".

Come scrivevamo nel nostro recente post "Qualche sassata nello stagno europeo della politica made in Germany delle rinnovabili elettriche":

"Il primo segnale, dopo le elezioni europee, per dimostrare che la rotta è cambiata, dovrebbe essere l'immediata abolizione del Clean Energy Package ed in particolare dell'occhiuto regolamento "Governance", che avrebbe suscitato l'ironia persino dei più ottusi pianificatori sovietici e che legherà l'Italia ad un letto di Procuste fino al 2030 ed oltre. A questo dovrebbe inevitabilmente seguire un diverso approccio europeo verso le COP organizzate dall'Onu e l'abbandono dell'autolesionistico comportamento remissivo (da capro espiatorio di tutti i mali del mondo) finora seguito in quelle sedi, pretendendo come condizione preliminare, prima di spendere un altro euro o di intraprendere nuove politiche restrittive, che tutti gli altri Paesi si conformino ai migliori standard europei di efficienza energetica."

 

Alberto Cuppini