Eolico in Mugello: dilettanti allo sbaraglio? (parte terza)

Si conclude (forse) la “trilogia dell'assurdo” sui contenuti (almeno alcuni) del progetto eolico dell’AGSM Verona al Giogo di Villore. Pattumiere di crinale, passaggi a nordovest, gole profonde e altre storie. Un vademecum utile per chi domenica parteciperà alla camminata organizzata dal comitato per la tutela dei crinali mugellani sui luoghi del temuto misfatto.

Abbiamo avuto uno sguardo sconfortante e uno decisamente allarmato  sulle prospettive che ci attendono con il progressivo imporsi dell'industria eolica e delle “rinnovabili”, cioè:

- l'ipotesi di adattare il funzionamento delle attività umane ai tempi di erogazione di energia elettrica, e quindi alle capricciose intermittenze delle fonti rinnovabili, ipotesi disinvoltamente auspicata da AGSM Verona Spa;

- oppure la necessità di trovare validi rimedi ai “buchi” di produzione, visto che l'ipotesi di cui al punto precedente non pare realistica per industria, ferrovie, sanità, commercio, servizi, illuminazione urbana, telecomunicazioni e connessioni in rete, e così via (eppure AGSM Verona Spa dimensiona il suo contributo al fabbisogno energetico in termini di elettricità per... le famiglie).

Siamo però relativamente soddisfatti che, a livello popolare, si inizi a parlare dell'esempio della California, anche se con argomentazioni da bar sport, ma saremmo più contenti se, per un argomento delicato come l'energia, piuttosto che istanze rumorose, velleitarie, approssimative e irrealistiche, ottenessero un'eco più ampia interventi autorevoli e ragionati.

Alla fine della fiera, una cosa risulta paradossale: riconoscere alle fonti intermittenti (eolico e fotovoltaico) la priorità del dispacciamento (cioè della remunerazione di elettricità prodotta in un dato momento) non libera dalla necessità di avere fonti programmabili di riserva.

I meccanismi delle conseguenze sono tutt'altro che facili da spiegare.

Ma gli impianti di produzione elettrica programmabile, se tenuti fermi, o comunque in standby, sono un costo per il relativo gestore (privato): tutte le attività tenute ferme “a disposizione di chiamata” sono un costo. Il gestore vuole quindi, dallo Stato, il riconoscimento dell'onerosità di questa sorta di reperibilità: capacity, si chiama più o meno così.

Quindi, ai costi, già di per sé alti, necessari per privilegiare l'approvvigionamento da fonti intermittenti, si aggiungono ulteriori costi per remunerare chi si rende “disponibile” a fare da tappabuchi, cioè spegnere/accendere le proprie centrali programmabili, per lo più termoelettriche.

E' come se un ospedale avesse assunto alcuni infermieri, molto ben pagati, a cui è riconosciuta la possibilità di andare a lavorare quando gli pare, perché... si fanno vedere più puliti: con che cosa poi “si laveranno” a casa propria, la Direzione Ospedaliera spesso neppure lo vuole sapere. Gli altri loro colleghi, allora, vogliono che sia loro riconosciuta la reperibilità. E chi non trova conveniente fare da tappabuchi, cioè andare a lavorare quando pare agli altri o al caso, si licenzia, lasciando i reparti a rischio di scopertura (...il blackout). La Direzione Ospedaliera, per erogare i suoi servizi, deve quindi superpagare gli uni e gli altri, e scaricare gli oneri sui degenti, cioè gli utenti. Che neppure sanno come funzionano le tariffe, e neppure possono opporsi: o così o ciccia.

Càpita poi che ci siano holding che hanno sia produzione intermittente, “pulita”, che programmabile, “sporca”, lucrando su entrambi i fronti: tanto, paghiamo noi, in bolletta... E magari, dietro a un'immagine “clean”, dovuta agli impianti che fanno tanto “green”, il grosso della produzione lo hanno sul termoelettrico a gas, con potenze installate superiori alla somma di tutte le altre loro centrali. Un esempio di queste holding? La stessa AGSM.

N.B . A dire la verità, qui i veronesi “mostrano muscoli” non tutti di casa loro: ci risulta che, della potenza di 380 MegaWatt della Centrale Termoelettrica del Mincio, la loro quota sia solo del 45%, pari a 171 MW, sempre comunque superiori ai 155 MW installati con le altre centrali, teoricamente “più pulite”.

 

 

Oggi andiamo al cinema. E proveremo a divertirci, ma non sappiamo quanto ci riusciremo.

 

Dilettanti davvero? sì e no...

Nel contesto delineato nelle premesse odierne c'è ben poco da gioire dell'ipotesi, formulata da AGSM Verona Spa, di concorrere a tali “collette forzate” installando nel tratto fiorentino del crinale appenninico, nei comuni di Vicchio e Dicomano, otto torri di acciaio e vetroresina rotante, di marca e modello a oggi sconosciuti, alte in tutto 168 metri e con i necessari annessi e connessi infrastrutturali.

 

Un esempio (locale) di frana...poggio

Chiudiamo oggi la nostra sommessa “trilogia dell'assurdo” sui contenuti (almeno alcuni) del progetto in questione. Arriviamo però agli argomenti del giorno tramite la risposta, doverosa, a chi ci ha chiesto di portare un esempio di stratificazioni “a franapoggio”, nonché, se possibile, l'evidenza di un caso un po' più attinente alla zona interessata dal progetto specifico.

Oggi, cinema o meno, rimaniamo comunque nell'ambito dell'area di crinale in cui sono previste le otto turbine, cioè oltre l'accesso alla prima di esse.

Spiace non poter alleviare l'apprensione suscitata dalle immagini del post precedente.

Ma, cercando nelle nostre foto, abbiamo trovato un'immagine dello scorso inverno, presa sul posto, cioè lassù, durante un'escursione/sopralluogo con chi, come noi, preferiva scarpinare per documentarsi e acquisire elementi di fatto e concreti, invece di dannarsi, a valle, per ottenere un'Inchiesta Pubblica di cui vantarsi (prima), e lamentarsi (durante e dopo).

Se non altro abbiamo un'immagine della formazione marnoso-arenacea, che è l'ossatura del locale Appennino.

 

 

La viabilità di progetto direttamente funzionale al sito eolico riprende per lo più percorsi di servizio forestale, e lambisce le localizzazioni delle otto piazzole, progettate per ospitare, ciascuna, le turbine.

Uno sguardo planimetrico d'insieme lo si può ricavare dall'immagine di frontespizio (la “copertina”) di uno qualsiasi degli elaborati di progetto, immagine in cui il tratto in rosso indica la prevista connessione elettrica, e quello in azzurro la viabilità di sito da allestire o adattare. La via più rapida per aprire una copertina, per esempio quella della Relazione Generale di Progetto.

La prima turbina (quella progettata su una frana quiescente, unico tributo, pare sentito come doveroso, al comune di Dicomano) è prevista leggermente a sudovest della linea di spartiacque, su cui invece si allineano quelle numerate dalla 2 alla 7. Su una diramazione nord, cioè sul contrafforte dell'”Abetella”, è prevista la turbina numero 8.

La foto precedente, scattata in direzione sudovest, inquadra la pista forestale che si stacca dal sentiero CAI n. 16, quello che risale il contrafforte da Larciano e dal Monte Campogianni fin quasi al Giogo di Corella. La pista scende attraversando la ripida pendice che incombe sul principale ramo sorgentizio del Borro di Solstretto, e giunge poi ai “Porcellecchi”, che si trovano alle spalle dell'inquadratura (qualcuno ci dice “Porcelletti”, e a contraddirlo s'incazza: avrà quindi ragione...). Siamo cioè nel “quadratino” centrale della mappa di copertina di cui al link poco sopra: più precisamente nel tratto di viabilità che, visti i mezzi d'opera molto larghi, lunghi e pesanti, è destinato a essere deviato, allargato e adattato, previo massiccio sbancamento, fra le piazzole della prima e della seconda turbina.

Qui, su questa pista, AGSM prevede cioè di attestare una curva destrorsa in discesa (proveniente dalla sinistra dell'immagine), con una pendenza stradale del 15% circa, incassata nel versante da sbancare. (Vedere, del caso, l'elaborato “018-TPP018-00 Planimetria progetto in sito - tav 1 di 4”, rinvenibile sotto il link “Elab. Grafici”, sottocartella “Sito”, fra le Consultazioni Concluse, sul sito della Regione.

Suggeriamo a chi ancora non ci è stato, o non ci ha fatto caso, di andare a vedere la pendenza del versante affacciandosi verso nord (la destra dell'immagine), cioè verso il Borro di Solstretto: l'immagine da noi ripresa, infatti, può rendere l'idea solo in parte.

Il profilo del versante, nel punto ripreso, ha un'inclinazione all'incirca corrispondente alla diagonale dell'immagine. Più a valle, a destra, si intuisce (giustamente) che l'inclinazione è ancora superiore. Gli strati della formazione marnoso-arenacea, evidenti a sinistra, appaiono avere, nella stessa direzione di massima pendenza del versante, un'inclinazione visibilmente più ridotta di esso: ciò comporta una “emersione” degli strati, che, coperti o no da una coltre di suolo, si trovano così, più o meno, ad aggettare sul vuoto.

E' vero che, nella foto, questa emersione è enfatizzata dall'incisione della pista: ma l'assetto in cui gli strati rocciosi emergono con inclinazione inferiore a quella del versante rappresenta in ogni modo il tipico “franapoggio”. Nomen omen.

Nel nostro caso, tra uno strato di arenaria e il successivo è interposto un interstrato di marne e argilliti (il “galestro”), che conferisce alla massa complessiva una discontinuità di “tenuta”: è intuitiva la concreta possibilità di un cedimento per scivolamento gravitazionale. Tali marne e argilliti, se impregnate d'acqua, hanno fra l'altro un che di... lubrificante. Se poi ci si va attorno a “ravanare”, con gli escavatori, beh, quello che può succedere è altrettanto intuitivo.

Chissà, forse i materiali con cui tombare il Borro di Solstretto, almeno in parte, saranno accumulati per semplice gravità (cioè “buttati lì”, capiremo poi la licenza poetica).

Per gli altri tombamenti, vedremo fra un po'.

 

Singolari percorsi, singolari perversioni

Tra la seconda e la terza turbina, la viabilità di progetto riprende una pista di crinale già presente. Oltre la localizzazione della piazzola n. 3, cioè a ovest di essa, la viabilità che serve il crinale si presenta, all'oggi, di fatto, come una strada bianca, ben visibile nella parte bassa della foto aerea qui sotto, strada che procede verso i punti in cui sono previste le turbine 5, 6 e 7.

Poniamo un'attimo di attenzione a questo tratto di strada bianca: rimane sostanzialmente parallelo allo spartiacque, sul versante del bivio di Campiglioni (cioè sud), visibile in foto, rasentando la sommità del Monte Giogo di Villore (al centro dell'immagine, dove tuttora si trova l'anemometro): chiamiamolo Porcellecchi-Campiglioni-Pian di Lago, o meglio, “direttrice sud”. Ha una pendenza assolutamente moderata e, in più tratti, un fondo a pietrame, già di per sé ben compattato, a volte direttamente sul substrato roccioso, e un profilo sostanzialmente lineare, salvo una curva verso nord, già in prossimità della località Pian di Lago, dove è prevista la quinta turbina. Tale curva è comunque agevolmente riconducibile a un raggio analogo a quello necessario per aggirare il Borro di Solstretto: gli eventuali movimenti di terra funzionali alla sua rettifica sarebbero sicuramente molto meno critici e ingenti di quelli necessari tra la prima e la seconda piazzola. In più, eventuali rettifiche o allargamenti necessari per il passaggio dei mezzi d'opera andrebbero a incidere in misura minima sulla vegetazione arborea o boschiva.

La “direttrice sud” non è un percorso “nascosto”, “ignoto” o “segreto”, ma è visibile da mappe e foto aeree regionali, come quella che abbiamo riportato sopra, e da chiunque percorra la zona. E' battuta da decenni, fino a oggi, da boscaioli, cacciatori ed escursionisti. Più o meno a metà di essa ci sarebbe persino lo spazio per allestire un'area di scambio-incrocio dei mezzi d'opera, senza neppure la necessità di accendere la motosega. Eccolo qua sotto: il tratto inquadrato è quello meno pietroso dei rimanenti. (La sagoma sullo sfondo è quella della Falterona, in pieno Parco Nazionale – a proposito di intervisibilità...)

 

Eppure...

Eppure AGSM evita la “direttrice sud”, la ignora nel suo progetto, se non per la posa di parte della connessione elettrica. E, a ovest della terza turbina, per raggiungere tutte le successiva, progetta una viabilità di tutt'altra direzione: che si inerpica cioè verso il punto in cui è prevista la turbina n. 4, prosegue poi in discesa verso il contrafforte dell'Abetella (dov'è prevista la n. 8), lo lascia verso nord, e aggira, con un “passaggio a nordovest”, di nuovo in salita, la sommità arrotondata del Monte Giogo di Villore. Per poter tornare nella direzione delle turbine 5, 6 e 7, occorre infatti una specie di ”bretella”, con un largo giro necessario a tornare sulla “direttrice sud”. E' il tracciato che, nell'immagine successiva, abbiamo colorato in viola.


Perchè?

Perchè, cioè, per accedere alle piazzole di crinale 5, 6 e 7, AGSM non considera la “direttrice sud”, come la più logica e naturale congiunzione fra le piazzole 3 e 5, beninteso lasciando a nord una diramazione funzionale alle piazzole 4 e 8?

Che la logica c'è dietro alla scelta del “passaggio a nordovest”? E' agevole da adattare, poco impattante?

Pare di no. E' subito evidente, già dalle foto aeree, l'estensione dell'area a bosco che viene attraversata, e impattata, dalla “bretella” del “passaggio a nordovest”: molta più di quella della “direttrice sud”.

Però effettivamente, a parte la faggeta perduta, i movimenti di terra funzionali al passaggio dei mezzi d'opera potrebbero essere (usiamo il condizionale...) degli scavi neppure lontanamente paragonabili a quelli della viabilità di avvicinamento (a valle della “valvola SNAM”), o del tratto fra le piazzole 1 e 2. L'area a nordovest della sommità del Monte Giogo di Villore, attualmente, è infatti attraversata da una pista forestale, evidenziata in rosa nell'immagine precedente, che ne asseconda le curve di livello e aggira alcuni rami sorgentizi del Fosso del Campaccio, e si ricongiunge poi alla strada di crinale, proprio nel punto, quasi pianeggiante, dove è prevista la turbina 5 (Pian di Lago). Le curve di tale pista forestale hanno un raggio un po' stretto per il trasporto dei conci delle torri 5, 6 e 7, e qualche allargamento, rettifica o riprofilatura apparirebbero comunque necessari. Ma un percorso meno tortuoso, bypassando la pista stessa da est e da sud, in leggero scavo, leggermente da monte, lo si potrebbe agevolmente ottenere. L'intervento certo non sarebbe troppo critico: l'area su cui eventualmente intervenire, compresa fra la pista preesistente e la sommità del Monte Giogo di Villore, ha infatti scarse pendenze e una morfologia da ondulato altipiano.

Diamo un esempio qui sotto della morfologia dell'area, giusto per dare un'idea della sua "dolcezza". Se proprio si vuole evitare la “direttrice sud” e preferire il passaggio a nordovest, ci sarebbero cioè da affrontare morfologie come queste, ma...

 

...ma la soluzione proposta da AGSM per far passare i conci delle torri lascia a bocca aperta, o amara: scaricare nelle vallecole che ospitano i rami sorgentizi del Fosso del Campaccio, sul lato opposto della pista preesistente (rispetto alla sommità), non si sa quante tonnellate di materiali, terre e rocce da scavo, provenienti dalle attività di cantiere.

Ne abbiamo una premessa dalla Relazione generale di progetto:

Nel tratto fra la wtg4 e la wtg5 la strada forestale esistente sul versante NW compie una curva stretta, che necessita di venire rettificata per potere trasportare pale e torri; la rettifica avverrà riempendo lo spazio interno alla curva; il declivio è 'tondeggiante' e con fondo piano e quindi non necessiterà di opere di sostegno del piede del rilevato. Sull’area pianeggiante così ottenuta si potrà installare l’impianto di vagliatura dei terreni, necessario al trattamento di tutti i terreni provenienti dagli scavi.

E' una soluzione quanto meno singolare... di cui troviamo descrizione più dettagliata nell'elaborato 007-RTC007-00 (“Piano terre e rocce da scavo”) reperibile, sotto il linkRelazioni”:

Fra le due curve secche (della pista di servizio forestale che dicevamo - ndr) vi sono 2 gole profonde, che si unificano in una sola, strozzata poi fra due spalle della montagna. Disporremo in queste due incisioni il terreno risultante dagli scavi effettuati per piste e piazzole, con rilevato terminale a sbalze; il terreno sarà disposto per strati costipati e rullati; saranno necessarie semplici opere di regimazione delle acque (quali opere? - ndr) e una opera di sostegno del piede. Sull’area pianeggiante sarà possibile installare un impianto di betonaggio per la fabbricazione del calcestruzzo.”

Oddìo. “Gole profonde”?

 

Mah! In zona non ricordavamo... gole profonde di sorta. Certo non... cinematografiche, per carità, ma nemmeno carsiche. Salvo infatti formazioni gessose, comunque lontane dallo spartiacque, il carsismo dell'Appennino tosco-emiliano-romagnolo è un'eccezione. Morfologie carsiche sono tipiche di aree calcaree, come le Prealpi Orientali, molto più vicine a Verona. Ma, signori, qui non siamo sui Monti Lessini....

Allora, appena il lockdown ce lo ha consentito, siamo (morbosamente) accorsi a vedere queste due “gole profonde”. Volete vedere anche voi? Nessun problema, neppure se avete accanto dei minori. Ne abbiamo inquadrata una dalla testata, dove più o meno è previsto l'impianto di betonaggio. A sinistra del cono di ripresa, sempre su materiale di riporto, AGSM ha invece ipotizzato di collocare l'area di stoccaggio (temporaneo) dei veri e propri rifiuti. Eccitante, vero?

 

Vogliamo, per caso, vedere invece l'area in cui ci sarebbe “la strozzatura”? (Siamo proprio morbosi...) Quella ”fra le due spalle della montagna dove le due gole si unificano”? Pronto, in fondo a sinistra!

 

Non ci è dato sapere quale sarà la morte del popolamento forestale inquadrato, visibilmente oggetto di un recente investimento di conversione da ceduo (bosco “da legna”) a bosco di alto fusto: investimento che verrà chiaramente dilapidato. Non sappiamo cioè se quei faggi, invece di andare incontro all'accrescimento a cui erano stati destinati, saranno abbattuti o semplicemente “affogati”, comunque con morte certa, nella massa di inerti prodotta dai cantieri che ci vengono spasmodicamente propagandati per... abbattere la CO2.

Ma qual è il vantaggio dei tombamenti del “passaggio a nordovest”, rispetto ai banali interventi di scavo per l'agevole rettifica di una pista forestale esistente?  

Esistono. Per qualcuno sono anzi vantaggi provvidenziali. Certo, sotto un punto di vista che NON è il nostro. La provvidenza a volte opera per altri.

Una premessa, per spiegarsi.

E' intuitivo che ogni strada, piazzola, edificio, manufatto o... torre eolica, da costruirsi in montagna o in collina, sarà più salda se la si imposta “in scavo”, piuttosto che prevederla “in rilevato”, cioè su materiali di riporto: materiali che, per quanto compattati a posteriori, ben difficilmente saranno più stabili delle formazioni rocciose che si sono assestate già nel formarsi, salvo versanti franosi, come quelli di cui abbiamo parlato nella puntata precedente... Per questo, i lavori eseguiti in montagna comportano quasi sempre un'eccedenza (critica e onerosa) nel bilancio di terre e rocce da scavo.

Smaltire queste eccedenze costa un botto, perché costano il trasporto e il conferimento in discarica autorizzata e costano le analisi necessarie a scongiurare che il materiale ivi conferito non contenga sostanze nocive o pericolose: altrimenti... costerebbe ancora di più, e le discariche “normali” non lo potrebbero comunque accettare.

La... magia del progetto eolico del Monte Giogo di Villore è che il bilancio di terre e rocce da scavo si chiude in sostanziale pareggio, salvo un esubero, irrisorio, di circa l'1,1% dei volumi complessivi movimentati. In altre parole, solo un novantesimo di tutti i materiali escavati sarà smaltito in discarica autorizzata. Un risparmio prodigioso.

Ma... come si arriva a siffatti, prodigiosi risparmi?

- scegliendo appunto (casualmente?) soluzioni che azzerano, o quasi, la quantità di inerti da smaltire altrove; dove bisognerebbe pagare...

- evitando di redigere un piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo eccessivamente impegnativo o compromettente;

- tramite l'allargamento (casuale?) del “sito di destinazione” (cioè di riutilizzo) di terre e rocce da scavo stesse; cioè scaricandole nell'area di intervento, e chi si è visto si è visto.

Pare che qualcuno dei tecnici degli Enti coinvolti nell'istruttoria, nel rispettivo parere, fortunatamente si sia accorto di queste... peculiarità del progetto che, diciamolo, sono un po'... troppo provvidenziali per le finanze di chi si trovasse a costruire l'impianto. Lasciamoli lavorare in pace (i tecnici degli Enti).

Certo, utilizzare come pattumiera i rami sorgentizi del Fosso del Campaccio, tributario del Fosso di Campigno e quindi del Lamone, verso Marradi e poi... la Romagna, è una cosa che accade “lontano dagli occhi, e lontano dal cuore”... della Toscana. A noi, però dà un po'... “fastidio”.

Già i comuni del versante romagnolo, che (come già sottolineato)   AGSM avrebbe escluso al tavolo dell'esame del suo stesso progetto, non l'hanno presa benissimo, visto che, sotto il profilo paesaggistico, e quindi della promozione anche del valore del loro territorio, hanno trovato il modo di esprimere un parere negativo. Secco. Forse altri impatti saranno meno immediati, ma... vedremo.

Il fatto che il crinale mugellano-romagnolo sia visto, da qualcuno che viene da oltre il Po (e da chi lo accoglie come salvatore del pianeta), come il posto in cui lasciare i materiali di risulta dei propri interventi non è chiaramente un problema che tocca le terre oltre il Po: là conviene. Qua meno.

Qualcuno ha comunque un suo perchè, per acconsentire a tutto ciò?

 

Lo strano caso dei frantoi...

Ma... per essere riutilizzati, come vanno trattati i materiali che provengono dagli scavi, soprattutto quando si va a incidere anche nella matrice geologica sottostante, e si estraggono quindi pezzi di roccia anche di cospicue dimensioni?

Si “macinano” in impianti di vagliatura e frantumazione, a volte detti semplicemente “frantoi”. Non sono proprio come quelli delle olive ma il concetto è quello. In rete se ne vedono tanti esempi, basta digitare su un motore di ricerca “impianti di frantumazione”.

Bene. Circa alle spalle del punto di ripresa della fotografia precedente c'è il bivio fra il percorso per la turbina 8 e la... “bretella” “del passaggio a nordovest”: siamo, sempre, su un ramo sorgentizio del Fosso del Campaccio. Fa un po' meno “gola” degli altri, ma AGSM prevede di stipare di materiali di risulta anche questo impluvio. Leggiamo in proposito, in una didascalia del “Piano Terre e Rocce da Scavo”, di un ”riempimento lungo biforcazione tra viabilità di sito verso WTG05 e viabilità di sito verso WTG08 - In quest’area potremo disporre l’impianto di vagliatura dei terreni provenienti dagli scavi.” Su questa sorta di terrapieno (cioè sopra), l'elaborato integrativo 301-TPC301-00 (“Fascicolo piano di cantierizzazione e sua interazione con rete idrografica” - reperibile sotto il link “Int. Formali 2”) conferma l'installazione dell'impianto di frantumazione.

Viene però da farsi una domanda: dove, cioè da quale impianto, sarà frantumata la massa di materiale che è prevista sotto di esso, massa su cui si prevede cioè di poggiarlo? Non ci sembra un problema banale. A meno che questa massa di pietrame frantumato non provenga a sua volta, prima, da un altro “frantoio”, previsto materialmente sul Borro di Solstretto (o su quanto ne rimarrà...), fra le turbine 1 e 2 (vedere ancora, in proposito, l'elaborato 301-TPC301-00). Ma... anche questo “frantoio” è previsto sopra un'altra (imponente) massa di materiale di riporto... frantumato, massa per la quale l'apposita didascalia del solito “Piano terre e rocce da scavo” recita: “Riempimento dell’impluvio lungo la viabilità di sito tra WTG01 e WTG02. Ciò sarà effettuato riempiendo l’impluvio con il terreno sino a quel momento scavato. Il terreno verrà disposto, partendo ovviamente da una opera di presidio del piede, per strati a partire dalle granulometria più grandi, costipato e rullato. Il rilevato così realizzato presenterà una scarpata a banche. L’opera è completata con un inghiottitoio a monte, un canale sottostante e una rete di raccolta superficiale.” E... il frantoio? Sopra! E, fra l'altro, dalla parte opposta al punto in cui inizia l'accumulo del suo stesso substrato.

Ora, non sappiamo se esistano frantoi talmente evoluti da generarsi da soli il substrato su cui poggiano, sollevandosi progressivamente con esso, o da librarsi nell'aria in attesa di atterrare sul materiale da loro stessi prodotto (e quando lo avranno prodotto, che ci stanno a fare?). Dubitiamo, siamo ignoranti, ma non abbiamo l'anello al naso...

E ci perdonino un quesito, i progettisti di AGSM: indicare tali riempimenti di impluvio come “area di stoccaggio/deposito temporaneo” (vedere legenda dell'elaborato 301-TPC301-00) sottintende che il materiale stoccato sarà poi rimosso e portato in discarica autorizzata? No, perché, sembra proprio che i materiali di risulta siano direttamente e definitivamente lasciati sul crinale mugellano-romagnolo. O meglio, sulla pattumiera che è stata concepita come suo destino esistenziale.

Intanto più di un ente, nel rispettivo parere, ha chiesto qualche specifica in più su questi frantoi, dei quali AGSM ci dettaglia solo l'ubicazione. Ubicazione che, insomma, nemmeno quella ci sembra proprio indovinatissima, a maggior gloria e lode della “qualità” dei progetti, di cui già abbiamo preso atto.

 

…e le inattese letture della salamandrina del Savi

 

 

Focalizziamo infine un'altra conseguenza di certi usi, non proprio rispettosissimi, del crinale e dei rami sorgentizi dei corsi d'acqua del nostro Appennino. E “divertirci” un altro pochino. Poco, però.

La “Salamandrina perspicillata”, detta “salamandrina del Savi”, o “dagli occhiali”, specie anfibia di interesse comunitario e nazionale (Allegato II - Direttiva Habitat), nonché regionale (All. A - L.R. 56/2000), è potenzialmente presente negli alvei impattati dall'intervento progettato. Non lo diciamo noi, ma lo Studio di Impatto Ambientale (“S.I.A.”), commissionato da AGSM. Citiamo quindi, in carattere corsivo e virgolettato, il testo stesso dello S.I.A., lasciando il carattere normale per i nostri commenti, via via racchiusi fra parentesi.

Tra gli anfibi, la Salamandrina e la Rana appenninica, potenzialmente presenti per la riproduzione nel torrente Borro di Solstretto (...), potrebbero, se effettivamente presenti, risentire degli interventi in alveo finalizzati all’allargamento della strada di accesso alla piazzola numero 1.”

(L'“allargamento” che colpisce il Borro di Solstretto sarebbe in realtà uno di quei tombamenti di non si sa quante tonnellate di materiale proveniente dagli scavi di cantiere e, più che la “la strada di accesso alla piazzola numero 1”, interessa la viabilità fra le piazzole 1 e 2. Questo a meno che, ai redattori dello S.I.A., non sia stato prospettato che l'accesso era dalla parte opposta. Nulla si può escludere ormai in un progetto così approssimativo: un progetto che, se fosse stato redatto da un ente pubblico, non avrebbe superato la fase di verifica, e non avrebbe quindi ottenuto la validazione di legge.)

Qualora il sito fosse effettivamente interessato dalla presenza della Salamandrina (...), il conseguente impatto causato dalla sottrazione di habitat e dal disturbo arrecato dalle attività di cantiere potrebbe essere elevato con riferimento alla eventuale popolazione locale;” (...) “ne deriva una valutazione complessiva media dell’impatto sulla specie, sempre che ne venga effettivamente accertata la presenza sul sito. È opportuno precisare che il torrente Borro di Solstretto viene interferito dal progetto con particolare riferimento ad un tratto di viabilità di collegamento fra le piazzole 1 e 2“. (Ora è corretto.) “Tale scelta, maturata dal progettista in considerazione della estensione di aree boscate altrimenti interferite...” (ma... per la Relazione Generale la scelta della viabilità di accesso e di sito non derivavano da considerazioni trasportistiche? Si parlavano fra loro?), “...può comunque essere rivista in sede di valutazione...” (beh, certo, il progetto devono farlo i pubblici funzionari chiamati a valutarlo, a spese della collettività, o la cittadinanza a suon di nottate sulla tastiera, mica i tecnici remunerati da AGSM) “...laddove fosse preferita una soluzione alternativa che consentisse di evitare qualunque interferenza fra progetto e torrente.”

(Ora, coma già ribadito da più parti, sarebbe dignitoso, magari gentile, e pure prescritto, che le alternative di progetto, se così lo si vuole proprio chiamare, fossero elaborate PRIMA di presentarlo, e a spese del proponente, non raccattate altrove, o presentate, opportunisticamente, quando si è visto che proprio non se ne può fare a meno: altrimenti, durante le consultazioni di legge, non c'è risposta al quesito che recita: “di cosa stiamo parlando?”). Ora sono state richieste. Ma... non è bello che certi requisiti minimi di qualità progettuale vengano raggiunti dopo le istruttorie.

Torniamo allo S.I.A..

“In considerazione della presenza potenziale della Salamandrina e della oggettiva vocazione dell’habitat interessato – sia pure relativamente ad un tratto limitato – dalle attività di cantiere, si ritiene opportuno prevedere uno specifico monitoraggio nel periodo aprile – maggio.” (Quindi, per una specie di siffatta sensibilità, riconosciuta tale anche da parte di chi opera per AGSM, il monitoraggio non è stato effettuato in via preventiva e precauzionale. Però l'inizio dei rilievi di ventosità, e quindi l'intento di installare l'impianto, risale a ben più di una stagione addietro, e i rilievi della morfologia del terreno sono dell'inverno 2018-2019, come abbiamo casualmente riscontrato in un documento dove si prende atto che, sin da subito, c'era più di una consapevolezza del valore del territorio da trasformare in pattumiera...)

Conclude trionfalmente lo S.I.A.: “Laddove venisse confermata la presenza di una popolazione locale di Salamandrina, si potrebbe inoltre considerare l’opportunità di trasferire gli individui presenti nel tratto di torrente interessato dai lavori di adeguamento della viabilità in tratti più idonei o in corsi d’acqua vicini.

Ma per favore...

Adesso usciamo dalle parentesi, ed entriamo con la nostra fantasia sul Ducato (o sul Fiorino...) in compagnia delle nostre salamandrine, gruppo vacanze Piemonte, caricate e portate in chissà quale altro torrente (dove, se già non ci sono esemplari di tale delicata specie, un motivo ci sarà pure), magari cantando cori di montagna e inneggiando alle incommensurabili idee dei consulenti di AGSM, da cui ci viene da chiedere quanto siano stati ricompensati.

Con lo stesso Ducato potremmo portar via dalla cima di Monte Falco, nel Parco Nazionale, i preziosi esemplari di Viola eugeniae, quando saranno minacciati, ancor più di ora, dalla frequentazione antropica, vieppiù attirata dal magico panorama delle torri eoliche made in VR. Potremmo portarli, che so, sulla vetta di Poggio Scali, dove però abbiamo il problema del Trollius euroapeus (il “Botton d'oro”). Quello  potremmo a sua volta caricarlo sul Ducato e portarlo da qualche altra parte, tipo sulle Alpi, dove già ce ne sono tanti e magari si fanno compagnia, oppure “chìssene”, tanto di fiori gialli è pieno il mondo, e di salamandre pure. Oppure, ecco, potremmo portarle allo zoo: lì sì che stanno bene, sono educative e si fanno loro stesse una cultura e una consapevolezza, leggendo, appunto, “Che ci faccio qui?”, del compianto Bruce Chatwin (la cui lettura spudoratamente raccomandiamo).

 

 

Ebbene, CHI, invece, è andato a cercare, e ha trovato, nell'aprile-maggio dell'anno di grazia 2020, una significativa popolazione di Salamandrina perspicillata nel Borro di Solstretto? Il personale incaricato dall'Ente di Gestione del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, chiamato nella procedura come soggetto gestore della confinante Zona Speciale di Conservazione IT5140005 “Muraglione, Acquacheta”, e fra l'altro (sfortunatamente per AGSM) protagonista in significativi progetti di ricerca riguardanti la delicatissima fauna anfibia.

Non è che uno dei tanti esempi di come, dalle lacune di un progetto che dovrebbe essere onere di AGSM, derivino invece oneri (troppi, secondo noi) alla Pubblica Amministrazione, oneri di cui si ha conferma nella massa di integrazioni richieste dai vari Enti e Autorità coinvolti, e che hanno dovuto spendere la risorsa rappresentata dal tempo e dalla dedizione dei propri funzionari tecnici per l'esame di documentazione palesemente lacunosa.

E siccome, un pochino, ci piacciono i finali col botto, ci risulta poi che la Salamandrina perspicillata sia presente anche nel Fosso del Campaccio, tributario del Fosso di Campigno e quindi del Fiume Lamone: anche alcuni rami sorgentizi di esso verrebbero tombati da tonnellate e tonnellate di residui delle attività di scavo dei cantieri. Dice la relazione dello S.I.A. (pag. 21): “la Salamandrina dagli occhiali frequenta boschi ben conservati di latifoglie con la presenza di torrenti limpidi e freschi, dove depone le uova.” A valle di una discarica “ufficiosa” di terre e rocce da scavo forse la salamandrina farebbe fatica, ma non avrebbe chiaro con chi lamentarsi.

Andare a Verona? Forse basterebbe scendere nei piccoli palazzi di un paio di piccoli comuni.

Ma di che “statura” sono gli amministratori che attualmente li frequentano?

Dipende da loro stessi.

 

Andrea Benati

 

L'immagine della Salamandrina perspicillata, di Giovanni Cappelli, è tratta dal sito del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.