Un'inedita concordia contro le peggiori follie della decarbonizzazione in Europa già nel 2050. La Cgil: Le fonti rinnovabili da eolico e solare oggi coprono solo il 16% della nostra produzione elettrica e la loro discontinuità, non avendo ancora risolto il problema dello stoccaggio con le batterie, è fonte di problemi di stabilità per le reti di distribuzione. Come affrontiamo la transizione energetica, se vogliamo elettrificare tutti i consumi del Paese in queste condizioni? il Governo su questo versante non decide o fa scelte sbagliate, spesso condizionate da astratta ideologia con poca attenzione alla pragmaticità che servirebbe per garantire almeno gli assetti attuali del tessuto industriale del Paese. I costi sociali di una transizione energetica ‘non giusta' rischiano di essere drammatici, non solo per le centinaia di migliaia di lavoratori dei settori interessati, ma per tutti i cittadini del Paese su cui si scaricherebbero i costi altissimi di scelte sbagliate. Le aziende energivore della Confindustria: Il percorso di decarbonizzazione sia concreto ed eviti di disperdersi in un inutile esercizio di comunicazione ideologica, che spinge i titoli delle aziende energetiche quotate, ma rischia di compromettere l'economia reale della manifattura. Speriamo che la presenza lobbystica di Enel non guidi uno sviluppo infrastrutturale privo di attenzione a fatti reali. Gli insostenibili aumenti dei prezzi del gas dimostrano infatti come un percorso mal calibrato delle politiche energetiche europee e nazionali comporti danni al sistema manifatturiero irreversibili, e al contempo non produca effetti positivi per la salute della terra, su cui l'Europa pesa solo per il 9%.

 

 

Sembra quasi uno scherzo. Benito Mussolini ne sarebbe entusiasta. Il suo sogno, mai realizzato nei fatti, di creare un regime corporativo, in cui aziende e lavoratori avrebbero superato in modo armonioso sia il brutale sfruttamento capitalistico che i conflitti di classe in nome del superiore interesse della Nazione, si sta concretizzando. Cgil e Confindustria, per la prima volta nella storia d'Italia, sono del tutto concordi contro un nemico comune. Chi è stato capace di realizzare cotanta impresa? Facile: la presidente della Commissione Ue Von der Leyen, prima con lo sciamannato "European Green New Deal" e poi con la sua decisione, finalizzata a cavalcare l'isteria di massa generata dall'operazione mediatica globale "Piccola Greta", di fare dell'Europa il primo continente "climaticamente neutro" entro il 2050.

L'innesco della crisi esplosiva dell'energia, che ha esasperato le vittime di una gravissima degenerazione già in atto, è stata la nuova legge UE sul clima, che ha trasformato l'impegno politico del Green Deal europeo per la neutralità climatica entro il 2050 in obbligo vincolante. La normativa aumenta l'obiettivo di riduzione delle emissioni dell'UE per il 2030 dal già velleitario ed autolesionista 40% al 55%. L'ufficio stampa di Strasburgo ha così commentato la decisione del 24 giugno scorso:

"Il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge sul clima, concordata informalmente con gli Stati membri in aprile. Questa decisione darà ai cittadini e alle imprese europee la certezza giuridica e la prevedibilità di cui hanno bisogno per pianificare per la transizione decisa con il Green Deal europeo".

L'ufficio stampa ha però evitato di aggiungere, chissà perchè, che questa stessa decisione ha dato la certezza giuridica e la prevedibilità di cui hanno bisogno anche gli speculatori sull'energia elettrica e le materie prime ed i nostri concorrenti, per meglio pianificare immensi guadagni sui mercati (in particolare quello degli ETS) e la distruzione dell'economia europea. I giornali americani, divertiti da tanta insipienza, parlano di One-Way Bet. Gli effetti sono stati consequenziali e immediati: disastri economici continentali, fin da ora difficilmente riassorbibili.

In Italia i primi a rendersene conto, nel colpevole silenzio degli organi di informazione, sono stati, assieme, i sindacati operai e gli industriali energivori. Le loro reazioni sono state decise - anche se forse non abbastanza - ed i toni ed i concetti da loro usati - e financo il lessico - curiosamente simili.

Cominciamo ad esaminare la reazione a queste follie "verdi" del sindacato Filctem-Cgil. Già avevamo imparato a conoscerlo ed apprezzarlo qualche mese fa, in occasione di un primo, durissimo scontro sulla transizione energetica tra la Sinistra dei salottini e la Sinistra delle fabbriche.

Allora il sindacato dei lavoratori della chimica, del tessile, dell'energia e delle manifatture aveva fatto abbassare le orecchie alla Castellina ed alla Muroni, convinta, forse, di avere a che fare col solito comitato di innocui cittadini contro l'eolico, da bullizzare senza rischi di replica, in quanto regolarmente tacitati dagli organi di informazione. 

Riportiamo perciò, senza alcun commento, questo recente comunicato stampa (i grassetti sono nostri) della Filctem:

 

Se la stampa, ed in primis il Sole, rinuncia a fare il proprio dovere di fornire alla cittadinanza una corretta informazione sull'esplosione dei prezzi delle materie prime, ed in particolare quello del gas naturale, provocata dalle deliberate e scelleratissime scelte politiche dell'Unione Europea, il disastro è destinato ad accentuarsi. Ma per cambiare, e per condurre con efficacia la lotta ai cambiamenti climatici, sono necessari uomini nuovi. Uomini non compromessi con l'ideologia delle rinnovabili salvifiche. Nella politica, nelle istituzioni, nell'economia, nell'università, nelle organizzazioni ambientaliste e nella stampa.

 

 

Nel recentissimo post sul sito della Rete della Resistenza sui Crinali, avevamo ironizzato sul fatto che in Italia, trattando di politiche energetiche, i quotidiani mainstream per mesi avevano ignorato il disastro dell'esplosione dei prezzi all'ingrosso delle materie prime, ed in particolare quello del gas naturale, provocata dalle deliberate e scelleratissime scelte politiche dell'Unione Europea. I giornaloni italiani, tutti sostenitori della nuova religione delle rinnovabili salvifiche (che sono tali solo per chi gode delle enormi rendite parassitarie che esse generano), avevano preferito dedicarsi alle disquisizioni della piccola Greta e dei vari ecologisti nostrani. Ma attenzione: solo quelli "radical chic", come li ha definiti il ministro Cingolani, ignorando chi si preoccupava dell'ambiente e del paesaggio italiano messo in pericolo dalla prevista invasione di impianti eolici e fotovoltaici.

Per pura combinazione, da giovedì scorso, i giornaloni si sono improvvisamente accorti che quest'autunno accadrà una catastrofe: il primo ottobre l'Autorità dell'Energia dovrà aggiornare le tariffe di elettricità e gas e proprio quel giorno, per convenzione, verranno avviati i contratti annuali di fornitura ai grandi consumatori e alle imprese. A meno di un miracolo, molti finiranno rovinati.   

Il  battistrada, in questa agnizione della Nemesi, è stato l'articolo di Jacopo Giliberto di giovedì "Stangata sulle imprese. Quadruplicati i costi dell'energia elettrica", in prima pagina sul Sole 24 Ore, che ha usato espressioni come "botta rintronante", rinnovi dei listini "da cavar la pelle", "telefonate tra clienti e fornitori con toni luttuosi" eccetera. Nell'articolo, Giliberto ha avuto la spudoratezza di riportare la testimonianza di un operatore che sostiene: "Ci ha colpito la scarsa attenzione data al fenomeno". Un altro operatore ha ammesso che "le aziende non si sono ancora rese conto... siamo assediati da fideiussioni pazzesche".

La pazzesca decisione della Von der Leyen di fare dell'Europa il primo continente "climaticamente neutro" nel 2050 ha paralizzato tutti gli investimenti non giudicati "green", destinando ogni risorsa disponibile ad incentivare le rinnovabili, che però non hanno carattere alternativo alle fonti energetiche tradizionali. Le drammatiche conseguenze cominciano a manifestarsi e rischiano di comportare, oltre alla miseria diffusa, il totale discredito del movimento ambientalista. Già ha cominciato il ministro della Transizione energetica Cingolani: "Gli ambientalisti radical chic sono peggio della catastrofe climatica". 

 

 

Ieri ci è stato segnalato da un amico del fronte anti-eolico calabrese un articolo scritto dal presidente di Nomisma Energia prof. Davide Tabarelli, che campeggiava sulla prima pagina del Quotidiano del Sud, dal titolo "Il Paese delle energie effimere".

Ne riportiamo qui qualche passaggio:

"Lo sfilacciamento fra politica e realtà è sempre stato molto evidente nell’ambientalismo, perché gli obiettivi perseguiti sono sempre rivoluzionari, mentre i risultati sono, al contrario, molto deludenti. Ultimamente, tuttavia, il distacco s’è allargato, in particolare con le ambizioni europee accentuatesi lo scorso giugno 2021, quando la Commissione ha reso noto il suo pacchetto di misure per arrivare all’obiettivo del meno 55% delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990. Così, mentre una delle più gravi crisi energetiche degli ultimi decenni ha investito il sistema elettrico e del gas dell’Europa, i nostri politici discutono di effimere questioni come l’idrogeno verde, blu o grigio, a volte viola... Quest’inverno non avremo gas a sufficienza... Pirandello ne avrebbe tratto ispirazione... È un fallimento della politica sull’energia del nostro paese... Basterà poco per rendersi conto che non è sufficiente cambiare nome (Tabarelli si riferisce al nuovo miracoloso ministero della "Transizione ecologica". Ndr) per risolvere il problema della dipendenza da petrolio e da gas".

E poi qualcuno dice che NOI siamo eccessivi quando scriviamo i nostri articoli per il sito RRC! Peccato che questi (giustificatissimi) toni alti e striduli gli economisti dell'energia li avrebbero dovuti usare, come abbiamo fatto noi, (almeno) dieci anni fa. Adesso è tardi: la frittata è fatta, e l'ha fatta la Von der Leyen, nell'acquiescenza generalizzata delle élite europee.

L'uscita di scena degli Stati Uniti in Afganistan lascia aperti molti interrogativi sia sulle sorti delle risorse minerarie afgane sia sulle ragioni dell'Amministrazione Biden di lasciare libero il campo al vorace appetito del Dragone cinese per le materie prime. Inoltre il ritiro militare americano favorisce la crescita del peso della Cina nella regione dove sta estendendo sempre più la sua influenza negli stati dell'Asia centrale che confinano con l'Afghanistan a nord. Consapevoli della sensibilità di Pechino, tutti questi paesi hanno a lungo evitato di condannare l'incarcerazione di massa e le violazioni dei diritti umani nei confronti degli altri musulmani nello Xinjiang.

 

Il Presidente Ashraf Ghani con Xi Jinping in Kyrgyzstan nel giugno del 2019

 

L'Afghanistan ha vaste riserve di oro, platino, argento, rame, ferro, litio ed uranio, ma anche pietre preziose come smeraldi, rubini, zaffiri, turchesi e lapislazzuli. Lo United States Geological Survey (USGS), con una ricerca tra il 2009 ed il 2011, concluse che l'Afghanistan potrebbe contenere 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro, 1,4 milioni di tonnellate di elementi di terre rare (REE) come lantanio, cerio, ma soprattutto neodimio, oltre a oro, argento, zinco, uranio, mercurio e litio. Secondo i funzionari del Pentagono, la loro analisi iniziale in una località della provincia di Ghazni ha mostrato il potenziale di depositi di litio grandi come quelli della Bolivia, che ha le più grandi riserve di litio conosciute al mondo. L'USGS ha stimato che i depositi nella provincia di Helmand potrebbero produrre 1,1 - 1,4 milioni di tonnellate metriche di REE. Alcuni rapporti stimano che le risorse di terre rare dell'Afghanistan siano tra le più grandi al mondo. L’USGS ha valutato le risorse minerarie dell'Afghanistan in circa 1 trilione di dollari, valore che andrebbe rivisto alla luce delle attuali quotazioni di mercato dove risorse come rame, terre rare, litio ma anche lo stesso ferro, qualora si trattasse di depositi di elevata qualità, hanno prezzi vicini ai massimi storici.

Anche in materia di contrasto al cambiamento climatico, il vero problema dell'Italia è la pavidità ed il conformismo della sua classe dirigente.

 

 

Durante la sua lunga collaborazione con il Corriere della Sera, il grande Ennio Flaiano insegnava che, in Italia, la linea più breve per unire due punti è l'arzigogolo. Nonostante i tanti decenni trascorsi, il suo ammaestramento pare non essere andato smarrito presso gli attuali giornalisti del Corrierone. Ne reca indubitabile testimonianza il difficile rapporto tra essi e le energie rinnovabili, indicate per anni e anni, dal quotidiano di via Solferino, come la panacea di tutti i mali (climatici e non) del mondo. 

Il 10 maggio scorso ecco il primo fulmine a ciel sereno (a proposito di fenomeni metereologici estremi). Sulla prima pagina del Corriere compariva il traumatico articolo di Federico Fubini (non certo il primo che passa) dal titolo "La svolta ecologica (e i silenzi)":

"il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sul Corriere ha detto: il costo per ottenere tutto questo è "elevatissimo". Elevatissimo e senza alternative. Non solo perché presto gli obiettivi ambientali dell'Unione europea potrebbero assumere un valore vincolante di legge... la scelta di affidarsi solo alle rinnovabili, rinunciando al sequestro del carbonio o all'idrogeno prodotto anche da gas naturale, per non parlare di una dose di nucleare nel mix, si spiega politicamente: per ora la principale forza di maggioranza - il Movimento 5 Stelle - non vuole nessun'altra possibile soluzione. Cingolani sul Corriere ha avvertito: "Non sarà bellissimo". Sviluppare entro nove anni tutta quell'energia dal solare per esempio significa tappezzare di pannelli oltre 200 mila ettari, quasi il 2% della superficie coltivata in Italia. Significa piantare pale eoliche letteralmente ovunque, compromettendo un paesaggio secolare e la risorsa del turismo... Evitiamo di risvegliarci tra qualche anno pieni di rancore verso il resto d'Europa, solo perché non avevamo capito dove avevamo scelto di andare."

E' evidente come questi improvvisi dubbi, espressi da un primario redattore sulla prima pagina del più diffuso quotidiano italiano (finora indiscriminatamente favorevole all'eolico e al fotovoltaico), non siano stati un caso. Proviamo a indovinare. Qualcuno si è attaccato al telefono (venendo ascoltato, e questa è la novità: chi sarà mai questo qualcuno così autorevole?) ed ha fatto presente che, con il decreto semplificazioni proposto da Cingolani e finalizzato alla realizzazione in tempi rapidissimi del PNRR, entro un mese si sarebbero piantati i chiodi sulla bara del disastro economico-energetico, oltre che ambientale-paesaggistico, italiano.

Finalmente il Corriere deprecava (come la Rete della Resistenza sui Crinali fa da una dozzina d'anni ed alcuni preveggenti, come Oreste Rutigliano, da una ventina) la pazzesca scelta di affidare tutta la lotta al cambiamento climatico all'installazione di colossali impianti rinnovabili elettrici in Italia. Cingolani stesso ammetteva che il relativo costo è "elevatissimo" e che "non sarà bellissimo". Meglio tardi che mai, ma, con le attuali regole del gioco, era troppo tardi. Ora si può sperare solo di limitare i (mostruosi) danni. Ma attenzione: con le attuali regole del gioco. Il Pianeta Terra sopravvivrebbe, ne siamo certi, anche se le cose in Italia venissero fatte dopo una pausa di riflessione superiore alla scadenze fissate dall'onnipotente ed onnisciente ministro della "Transizione ecologica", in conformità con i più inverosimili diktat di Bruxelles, graditi a troppi italiani felloni.

In un recente intervista rilasciata ad Aljazeera Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal, e Fatih Birol, direttore esecutivo della IEA, l’Agenzia internazionale per l'energia, hanno sottolineato come sia necessario “fare della povertà energetica dell’Africa un fatto del passato”. Intento assolutamente encomiabile poiché oggi in tutto il mondo quasi 800 milioni di persone vivono senza alcun accesso all'elettricità di cui 600 milioni sono in Africa. “L'elettricità alimenta le nostre economie: ne abbiamo bisogno nelle scuole, negli uffici e negli ospedali, dove ora refrigera i vaccini salvavita. Dobbiamo ampliare l'accesso all'elettricità su scala industriale per consentire alle famiglie dell'Africa subsahariana di aspirare allo stesso tenore di vita delle famiglie di altre parti del mondo.” sottolineano gli intervistati.

 

 

In realtà, in proiezione, i numeri sono piuttosto diversi: secondo il Center for International Policy, nel 2035 il numero di persone in età lavorativa in Africa supererà il resto del mondo nel suo complesso, ed entro il 2050 un uomo su quattro sarà africano. La stessa IEA prevede che la popolazione dell’Africa nei prossimi trent’anni aumenterà di 1,1 miliardi di persone. Al 2100, il 40 per cento della popolazione mondiale sarà in possesso di un passaporto proveniente da un paese africano. Ancora l’IEA prevede che nel 2050 la popolazione mondiale sarà di oltre 9,5 miliardi ed il reddito medio pro-capite (GDP) sarà quasi raddoppiato rispetto ai valori attuali.

Però leggendo meglio i dati IEA si scopre che viene considerato accesso all'energia un consumo annuo di elettricità per una famiglia di 50 kWh pro capite nelle aree rurali e di 100 kWh nelle aree urbane. Questo livello di consumo di elettricità è sufficiente per alimentare alcune lampadine per qualche ora al giorno, per caricare un telefono cellulare e per far funzionare occasionalmente un piccolo ventilatore. In effetti questi livelli di consumo di elettricità nelle aree rurali e urbane sono correlati a redditi di appena $ 0,27 e $ 0,57 al giorno rispettivamente.

Forse sarebbe meglio che l’IEA spiegasse che la soglia di consumo annuo di 100 kWh rappresenta una soglia di estrema povertà energetica, piuttosto che indicarla come l'obiettivo energetico internazionale per promuovere sviluppo e maggiori redditi. Esattamente come il reddito indica la soglia di povertà la stessa analisi può essere effettuata con l’energia elettrica e, vedremo successivamente, anche con altri indici.

Ad esempio, l'Energy for Growth Hub propone un minimo energetico moderno di 1000 kWh, il Modern Energy Minimum, per persona all'anno, ritenuto coerente con i paesi che raggiungono uno status di reddito medio-basso e stima che più di 3,5 miliardi di persone - quasi la metà della popolazione mondiale - vivano al di sotto di questa soglia.

Metà della popolazione mondiale: forse anche questo andava detto.

Abstract della rassegna stampa.

Finora la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a maggior ragione le sue cause) era stata tenuta sotto silenzio. Ma le bollette con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani. Per la smania di essere la prima della classe (e perchè influenzata dalla lobby green) l'Europa alza costantemente il livello di riduzione di anidride carbonica. Le utilities non possono fare altro che ribaltare sul mercato finale parte degli aumenti dei costi. Questo rincaro fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla "rivoluzione verde". Il basso prezzo di mercato del gas naturale degli ultimi anni aveva finora permesso di limitare gli effetti sulle tasche degli italiani dell'esplosione degli incentivi alle rinnovabili elettriche inseriti surrettiziamente in bolletta come "oneri di sistema". Già ora il caro prezzi e il timore di una inflazione fuori controllo, tale da costringere presto le banche centrali ad alzare i tassi di interessi pur in presenza di livelli di indebitamento potenzialmente esplosivi, comincia a far più paura del cambiamento del clima. Intanto si scopre anche che, con l'avvento delle rinnovabili non programmabili, uno dei pilastri più scontati del funzionamento degli stati moderni, la continuità dell'energia elettrica, è in realtà meno solido di quanto fossimo abituati a pensare. Sapelli: "La follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss. Le politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare l’aumento delle temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di sudditanza alle lobbies dell’industria elettrica mondiale". Clò: "Se si continuerà ad insistere che di petrolio non c’è più bisogno, che le imprese non dovrebbero più investire in ricerche minerarie, come ha fatto Faith Birol direttore esecutivo dell'AIE, ebbene i prezzi potrebbero schizzare da qui a pochi anni a 150 o 200 dollari al barile. Pari a 3 e più euro al litro di benzina. Le salvifiche rinnovabili non potranno farci nulla. Diversamente dalle fantasie che molti propagano a piene mani da qui a metà secolo – quando nessuno potrà chiederne loro conto – per quelle odierne si potrà farlo, addossando loro la responsabilità di quello che il noto economista petrolifero Philip Verleger prospetta come possibile “catastrofe economica”. Tabarelli: "I permessi di emissione dell'ETS (i permessi a emettere CO2, un'invenzione del protocollo di Kyoto che solo l'Europa ha adottato) sono un elemento fondamentale della transizione energetica e una causa importante dell'aumento dei prezzi. L'Europa ha deciso che entro il 2030 le emissioni di CO2 dovranno essere abbattute del 55%. Un obiettivo semplicemente irraggiungibile. E' folle pensare che in soli 9 anni riusciremo a passare da un -20%, fatto in 30 anni, a un -55%. Ogni permesso consente di emettere una tonnellata di CO2, che vorrei ricordare non è veleno bensì uno dei mattoni della vita sulla terra. Cina e Usa non fanno nulla di tutto ciò. L'Europa sta penalizzando la propria industria a vantaggio di altri Paesi". I programmi europei di transizione energetica, in cui la nuova religione ambientalista si fonde con l'ideologia ordoliberista di matrice tedesca, hanno una forte componente irrazionale che purtroppo sta prevalendo. Ne è stata un'ennesima dimostrazione l'imprevista sovra-reazione all'operazione mediatica globalizzata "Piccola Greta", in particolare la pazzesca decisione della Von der Leyen della "decarbonizzazione integrale" del continente entro il 2050, che, se non altro, ha riportato l'Europa a fare immediatamente i conti con la realtà, con una decina di anni di anticipo rispetto a quanto sarebbe accaduto senza il "bug" Greta.

 

 

Due settimane fa il PUN (il prezzo di riferimento dell'energia elettrica all'ingrosso in Italia) aveva sfondato quota 100 euro al MWh. La settimana scorsa abbiamo passato quota 110. Oggi sfioriamo quota 120. Ricordo che nel maggio dello scorso anno la media del PUN era stata 21,8 euro al MWh e che nel maggio di quest'anno eravamo già a 69,9. Adesso, con i primi caldi, il PUN è decisamente decollato. Finora la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a maggior ragione le sue cause) era stata tenuta sotto silenzio. Ma le bollette con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani. Attendiamo rese dei conti (con la realtà) a breve. Questo aumento fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla "rivoluzione verde". Vedremo che cosa succederà agli sciagurati politici (agli sciagurati e alle sciagurate, per essere rigorosamente p.c.) che un bel giorno si sono alzati da letto ed hanno deciso, tra l'entusiasmo di tutti i media, che l'Europa sarebbe stata il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Si è trattato della classica previsione auto-avverantesi, ma non nel senso - credo - immaginato dai suoi ideatori (ideatrici).

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti