Addio ad Alberto Conti, presidente del WWF di Forlì-Cesena.

 

 

E' scomparso prematuramente Alberto Conti, presidente del WWF di Forlì-Cesena.

Non ce lo saremmo mai aspettato. E' stato molte volte nostro compagno di lotte contro impianti eolici, veramente assurdi, presentati nella sua provincia.

Alla famiglia le condoglianze dei comitati della Rete della Resistenza sui Crinali, con alcuni dei quali ha collaborato proficuamente.

Il funerale di Alberto (Albertone, per noi, per distinguerlo da altri Alberti della Rete, meno robusti e molto meno esuberanti di lui) si celebrerà domani alle 14 a Terra del Sole.

Vogliamo ricordare il suo lungo impegno anti-eolico sui crinali appenninici tosco-romagnoli con le parole da lui stesso redatte recentemente, (qui in basso, sotto la galleria fotografica della manifestazione del giugno 2009 all'Ariacheta, nel comune di San Godenzo (FI), che lo vide tra i protagonisti) in occasione di un'altra battaglia ambientalista, contro l'impianto oggi proposto al Giogo di Villore, nel comune di Vicchio (FI).

 

 

 

Pubblichiamo, riprendendolo dall'ultimo numero dell'Astrolabio, il testo integrale di una lettera inviata alla redazione di Report, Rai 3, dopo un servizio, dedicato a nuovi parchi (parchi si fa per dire) eolici in attesa di autorizzazioni, redatto con inammissibile superficialità (nella migliore delle ipotesi). Tra questi il famigerato progetto al Giogo di Villore presentato dall'AGSM di Verona, che continua ormai da anni, per qualche insondabile motivo, a perseguitare, con la scusa niente meno della... salvezza del Pianeta, proprio le comunità più deboli e meno tutelate dell'Appennino tra la provincia di Firenze e l'Emilia Romagna, dove sono attivi molti comitati della Rete della Resistenza sui Crinali. Il prof. Danilo Russo dell'Università di Napoli, esperto di chirotteri, scrive dell’importanza della biodiversità che non può essere inutilmente irrisa. Non solo, impartisce una vera e propria lezione di informazione corretta, di uso imparziale del servizio pubblico, di rispetto delle leggi e delle istituzioni. Ovvero, di condizioni essenziali per la democrazia.

 

 

Oggetto: richiesta rettifica servizio della trasmissione “Report” sulla realizzazione degli impianti eolici in Italia

Gent.mi

Sono uno specialista di chirotteri (pipistrelli) e scrivo nella mia duplice veste di rappresentante italiano del Bat Specialist Group dell’IUCN e presidente dell’Advisory Committee della convenzione UNEP “EUROBATS” (a cui l’Italia ha aderito con L. 104/2005) con riferimento al servizio di Report andato in onda il giorno 6 dicembre u.s. "Il mistero del barbastello", a cura di Giuliano Marrucci.

Premetto che i chirotteri e gli ambienti in cui vivono sono, in Italia, tutti strettamente tutelati da leggi nazionali ed internazionali (DPR 357/97, L. 104/2005), quindi la protezione non è un’istanza di pochi eccentrici naturalisti e ambientalisti, ma un obbligo a cui il nostro Paese deve sottostare. Rappresento inoltre che i chirotteri costituiscono un importantissimo baluardo naturale contro il proliferare degli insetti nocivi all’agricoltura, alle foreste e alla salute umana, fornendo un prezioso servizio ecosistemico che comporta un elevatissimo risparmio dell’uso di pesticidi.

Gli impianti eolici mal collocati sul territorio costituiscono una forte causa di mortalità per i chirotteri (oltre che per altri gruppi animali, in particolare gli uccelli) come attestato da numerosissimi articoli scientifici pubblicati in prestigiose riviste internazionali. Pertanto, con particolare riferimento al grande progetto bloccato nel Mugello (che ha ricevuto parere negativo anche dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, oltre che da associazioni come WWF e Italia Nostra e da comitati civici locali), ho trovato surreale il messaggio fatto passare nel servizio dal Marrucci e suffragato dall’atteggiamento inutilmente ironico del conduttore in studio (Ranucci), evidentemente del tutto ignari dell’assetto normativo a difesa della biodiversità che caratterizza (per fortuna) il nostro Paese.

Mentre l'esplosione dei prezzi del gas e dell'elettricità (che ha svelato l'inganno delle fonti rinnovabili "alternative" e che minaccia il tessuto economico e sociale dell'Europa) rende manifesto l'errore di avere trascurato per molti anni gli investimenti nel gas naturale, la commissione UE e la BCE si impegnano in tutti i modi perchè in futuro ne arrivi il meno possibile.

 

 

Ieri il PUN (per i fabbisogni elettrici di oggi) aveva testato il massimo storico, oltre i 300 euro al MWh. Oggi (si veda il grafico GME qui sopra) il PUN è letteralmente esploso, avvicinandosi, in un colpo solo, a 350 euro. Fino a ieri persino gli operatori più smaliziati (si veda in particolare l’analisi degli Energy Advisors) guardavano soprattutto ai futures ed erano (relativamente) tranquilli perchè i futures indicavano che in primavera gli eccessi nei prezzi sarebbero stati riassorbiti. La scorsa settimana, invece, abbiamo assistito alla più repentina salita dei prezzi a termine della storia e qualcuno (giusto con qualche anno di ritardo) ha cominciato a preoccuparsi davvero:

"La risposta non può essere la fideistica attesa di Fer rese continue da una capacità di accumulo che non esiste" ammette finalmente il brain trust coordinato dal Professor Giuseppe Gatti.

Persino Gatti (l'unico che aveva osato, a parte Oreste Rutigliano per il CNP, andare in audizione in Parlamento a criticare strutturalmente il Pniec), finora aveva sottostimato la gravità dell'esplosione dei prezzi di gas ed elettricità e non ne aveva individuato (meglio: non ne aveva voluto individuare) le sue cause vere.

I venti di guerra in Ucraina e l’allungamento dei tempi di messa in esercizio del gasdotto Nord Stream 2 hanno certo contribuito a questo ultimo boom. Ma soprattutto ha pesato il folle annuncio della Germania, con l'avvento dei Verdi al governo federale, di stabilire un prezzo minimo per la CO2. Sarebbe stata in ogni caso (si legga il mio ultimo post sul sito RRC) solo questione di tempo. Gli analisti avevano fino a ieri colpevolmente trascurato che l’aumento dei prezzi del gas - e quindi dell’elettricità - non era congiunturale ma era deliberatamente ricercato dalla commissione europea, e quindi esso è destinato a persistere ed a peggiorare almeno finchè sopravvive la commissione europea stessa. Difficile dare la colpa a russi o cinesi. Stiamo andando verso il suicidio del continente con più determinazione, sconsideratezza ed entusiasmo di quello dimostrato nel 1914.

Tutto però, anche in Italia, procede business as usual. Ieri, in apparenza, c’era stata per la prima volta (si veda il secondo grafico GME qui sopra) un primo sintomo di consapevolezza della gravità della situazione con una lieve diminuzione dei volumi trattati. Oggi, invece, coi volumi sul Mercato del Giorno Prima siamo sui massimi degli ultimi 30 giorni...

La diffusione del panico nelle aziende viene tenuta nascosta. Solo sulla Staffetta Quotidiana leggiamo:

"Ancora non c'è percezione di quello che sta accadendo, si parla di aumenti del 40 o del 50%, non capisco perché la gente non parli di quello che realmente si sta verificando ovvero che i costi della bolletta si stanno quadruplicando".

Come scrive Giuliano Sarricchio di Controllabolletta.it sulla Staffetta di ieri nell’articolo “Disastro mercati energetici: ultimo treno per il prezzo fisso?”:

Un quadro drammatico per tante aziende, che potrebbero prendere la triste decisione di abbassare le saracinesche in attesa di tempi migliori”.

Buon Natale a tutti. E cattive festività alle Erinni di Bruxelles. E di Berlino.

 

Alberto Cuppini

 

 

 

Una proposta forte per interrompere l'altrimenti inarrestabile deriva dei costi energetici crescenti - e già ora insostenibili - provocati dalla burocrazia europea che ha innescato la speculazione "verde".

 

 

Il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, in vita sua si è sempre distinto (conformandosi all'àmbito politico-intellettuale che frequenta) per minimizzare tutto e spesso per voltarsi dall'altra parte di fronte a problemi le cui soluzioni sarebbero potute risultare politicamente compromettenti. Eppure, dall'intervista fattagli da Luigi Grassia oggi sulla Stampa, in occasione dell'incremento di un miliardo di euro degli stanziamenti governativi per meglio fronteggiare l'aumento delle bollette energetiche, nell'articolo "Prezzi irrazionali, questa mossa non basta. Bisogna tornare alle tariffe amministrate", si direbbe che ci troviamo di fronte ad un uomo nuovo, franco fino alla brutalità. Oppure ad un uomo che sa che, questa volta, voltarsi dall'altra parte, ignorando il problema, non è possibile:

"Rincari insostenibili per il sistema economico", "da gennaio migliaia di famiglie e di piccole imprese smetteranno di pagare le bollette", "ci saranno fallimenti a catena di Pmi per l'energia troppo cara", "a gennaio io prevedo un disastro economico e sociale", "siamo in una situazione paragonabile a quella del petrolio a 1000 dollari al barile"...

Facciamo qualche conto molto grossolano (non è necessario essere precisissimi) per definire gli ordini di grandezza in ballo. Il PUN (cioè il prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica sul mercato di riferimento in Italia) nel 2020 è stato in media di 38,92 euro al MWh. Un prezzo all'ingrosso così basso ha nascosto in questi anni gli incentivi abnormi riversati in bolletta a favore delle rinnovabili elettriche, eolico e fotovoltaico in primis. Nelle ultime settimane il PUN ha superato con decisione i 240 euro. Si tratta dunque di un aumento medio di oltre 200 euro al MWh. Se tali prezzi si dovessero confermare per un anno, ciò comporterebbe un aggravio in bolletta, solo per la componente energia all'ingrosso, di circa 60 miliardi per le tasche degli utenti italiani: 200 euro al MWh moltiplicato per i consumi lordi, pari ad oltre 300 TWh, cioè 300 milioni di MWh, fa, per l'appunto, 60 miliardi di euro. Un aggravio, per intenderci, superiore a quello del servizio del mostruoso debito pubblico italiano, che, grazie anche ai prestiti europei ipocritamente dedicati alla "Next Generation" che li dovrà ripagare, si sta dirigendo a gonfie vele, nell'entusiasmo delle agenzie internazionali di rating che sponsorizzano Mario Draghi, verso il non lontano traguardo dei 3.000 miliardi di euro. 60 miliardi in più all'anno, dunque, cioè 5 miliardi al mese: un'emorragia che condurrà rapidamente il Paese alla morte per dissanguamento.

We’re Digging Our Own Graves by Burning, Drilling, Mining Deeper”, così il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres in apertura della COP26 a Glasgow ammonisce “Basta con l'estrazione mineraria... stiamo scavando le nostre tombe”.

Lo scrosciante applauso che è seguito definisce la misura di quanto i presenti fossero lontani dalla realtà a conferma che in Europa abbiamo smesso da tempo di porci delle domande su cosa significa estrarre, elaborare e trasformare le materie prime in prodotti finiti: abbiamo convenientemente spostato i costi sociali ed ambientali all’estero, lontano dagli occhi e dalla coscienza.

Ma la transizione verde inizia e finisce con i metalli e non si è colto alcun senso di urgenza per contrastare le emissioni di gas serra che verranno emesse per l’enorme quantità di metalli che dovranno essere estratti per consentire il realizzarsi del Green Deal. La transizione energetica dipende dall'esistenza di riserve sufficienti di materie prime e dalla possibilità che  vengano sviluppate, estratte e trasformate in prodotti raffinati. Solo per questo motivo, i metalli di base avrebbero dovuto essere in cima all'agenda della COP26.

 

 

La COP26 ha confermato come politici, ONG e consumatori siano pronti a stimolare la domanda di materie prime per la transizione energetica attraverso la definizione di un'ambiziosa serie di obiettivi: questi impegni per una maggiore generazione e distribuzione di energie rinnovabili, stoccaggio, infrastrutture di ricarica e adozione di veicoli elettrici richiederanno una massiccia accelerazione degli investimenti nell'estrazione e nella lavorazione primaria. Ma, perché questo possa realizzarsi, è opportuno confrontarsi con lo sviluppo dell'offerta che, per poter essere sostenibile, deve soddisfare rigorosi criteri ESG e fornire al contempo i rendimenti che gli azionisti si aspettano durante il ciclo.

Ma la sfida unica, per l’industria mineraria globale, di produrre più metalli riducendo al contempo le sue emissioni di carbonio, non è un obbiettivo realizzabile.

In questo momento è necessario affrontare il paradosso della decarbonizzazione-crescita poiché il disperato bisogno di accelerare l'approvvigionamento di risorse lungo la catena del valore inevitabilmente porterà a maggiori emissioni: non possiamo decarbonizzare l'estrazione mineraria più velocemente di quanto possiamo aumentare l'offerta, almeno per il prossimo decennio.
Il problema è che l'attuale intensità di CO2 per unità di PIL, di circa 0,4 kg, dovrebbe scendere a 0,2 kg entro il 2050 e l’adozione di un percorso accelerato impone di scendere a meno di 0,05 kg per unità di PIL, un obiettivo più che estremamente impegnativo: irrealizzabile.

Questo problema trae origine dall’impostazione generale della transizione: se la spinta verso la decarbonizzazione viene veicolata dal mercato dei prodotti finiti evidentemente la sua risposta sarà verso l’utilizzo di prodotti di consumo che abbiano credenziali green: il caso delle auto elettriche esemplifica bene questo concetto dove un prodotto viene acquistato da consumatori persuasi di compiere qualcosa di utile per il pianeta e che spesso non sono coscienti dell’impronta carbonica o idrica del bene che stanno acquistando.

L’inesistenza, nel nostro Paese, di una borghesia culturalmente matura per accompagnare l’ingresso dell’Italia nella modernità e nell’Occidente è un discorso vecchio, che Montanelli ha ripetuto fino alla noia sul Corriere della Sera e su tutti i giornali dove ha scritto. La deriva sessantottina della cultura occidentale dalla tradizione, il deragliamento della modernità stessa e la separazione delle élite - non solo italiane ma occidentali tout court - dal popolo e dalla nazione (e, contemporaneamente, delle "masse" dalla cultura) non hanno fatto che peggiorare il quadro italiano complessivo e renderlo sempre meno gestibile dalla politica. Il problema, ormai non più percepito come tale da gran parte delle élite italiane, della devastazione del nostro Paese con le rinnovabili elettriche fuori scala “per la salvezza del Pianeta” ne è solo una fattispecie.

 

 

Il grande passo è compiuto? Su 7, settimanale del venerdì del Corriere della Sera, stamattina abbiamo letto un articolo di Antonio Polito dall'ironico titolo "Abbattere 250 faggi per mettere pale eoliche non è sempre innovazione".

"Stavo camminando con altri amici... scavalcando l'Appennino, in soli 55 chilometri si va dal Mar Ionio al Mar Tirreno da Soverato a Pizzo. Eravamo appena giunti a Petrizzi, suggestivo borgo... e soprattutto grandi boschi di castagni e faggi... c'era un progetto per abbattere una cospicua parte della foresta e far spazio a un parco di pale eoliche. Che saranno, sì, ecologiche, ma mai quanto i boschi."

Dopo Federico Fubini, Ferruccio De Bortoli, Gian Antonio Stella, e Ernesto Galli della Loggia, un’altra grande (...) firma del Corrierone si accorge che mettere delle pale eoliche (queste dovrebbero essere già quelle alte complessivamente oltre 200 metri) sui crinali appenninici al posto dei boschi, per far funzionare l'Italia col vento al posto delle centrali elettriche tradizionali, forse non è una buona idea.

Diario dei trenta giorni che sconvolsero l'Europa in una rassegna stampa (terza parte).

 

 

Qui la seconda parte della rassegna stampa.

Complimenti ai nostri rinnovabilisti salvatori del Pianeta tramite i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche sui crinali appenninici. Che disastro hanno combinato! Sarebbe stato difficile fare peggio. Eppure non era difficile da prevedere, e infatti noi lo avevamo fatto.

E così, adesso ci stanno piombando addosso a tutta velocità prima la miseria, poi il ritorno del nucleare (a fissione).

In realtà i trenta giorni che sconvolsero l'Europa sono già finiti, ma i loro effetti a valanga si stanno manifestando proprio in queste ultime settimane, al punto che la visione edulcorata della "transizione energetica" felice, trasmessa da almeno una dozzina d'anni dai media globalizzati, non riesce più a sostenere il confronto con la dura realtà. Ne siano testimonianza i titoli allarmistici comparsi improvvisamente proprio questa mattina sui giornaloni italiani (si veda in fondo a quest'ultima nostra rassegna stampa), che sarebbero stati impensabili fino a pochi giorni fa.

La disinformazione programmata dell'opinione pubblica, che ha rimosso il passato (e il buon senso) spingendosi fino alla diffusione - tramite i media globalizzati - delle allucinate teorie della "destroy culture", ha trovato in Italia un terreno particolarmente fertile, dissodato per decenni dalle nostre élite, in massima parte di derivazione sessantottesca.

Fino ad un paio di generazioni fa in Italia l'accesso al carbone era considerato un privilegio, a causa del suo costo, in quanto nel nostro Paese se ne produceva poco e di cattiva qualità, e di quello del Nord Europa non esisteva la libera circolazione prima della costituzione della CECA. I miei genitori (non parlo quindi del Medioevo) e tutti - tutti - i nostri antenati (compresi i più ricchi), senza carbone e gli altri combustibili fossili, hanno provato l'ineluttabile drammaticità del freddo invernale, per così dire, sulla loro stessa pelle. Allora nessuno, chissà perchè, aveva ancora pensato di scaldarsi con i mulini a vento, come si vorrebbe fare adesso in Europa. L'Arcadia felix non era affatto felix. Soprattutto perchè di una banale polmonite si moriva. Chi non riusciva - e chi tuttora ancora non riesce - a scaldarsi in inverno se ne frega dei mutamenti climatici. Non vorrei che gli italiani, nuovi ricchi - attualmente ricchi soprattutto di debiti - di ben scarsa memoria storica, tornassero in quel novero. Già nei prossimi mesi.

Ed a maggior ragione potrebbero presto tornare a provare i morsi del freddo gli scandinavi, che hanno dimenticato in fretta la loro storia costellata di bambini che soffrivano il gelo invernale senza avere i mezzi per scaldarsi a sufficienza. Bambini e, per essere politicamente corretti, bambine. A differenza di quelle che adesso se ne vanno in giro per il mondo in barca a vela con i principi monegaschi. Almeno finchè non si concretizzeranno le prime brutte sorprese, che si preannunciano fin da ora molto brutte per la maggior parte degli europei. 

Proponiamo di seguito la terza parte di una rassegna stampa di articoli selezionati - privi di qualsivoglia nostro commento, a parte una brevissima considerazione finale - per meglio comprendere che razza di pasticcio abbiano combinato gli sciagurati (e le sciagurate, soprattutto le sciagurate) a Bruxelles.

 

 

Editoriale non firmato dal Wall Street Journal del 20 ottobre "Il masochismo dell'Occidente sull'energia":

"I leader europei si sono auto-mutilati sull'energia in nome del perseguimento di un'agenda climatica che non avrà nessun effetto sul clima, ma che aumenta i prezzi dell'energia, danneggia consumatori e industrie e adesso rafforza pure i bulli del Cremlino... La volontà dell'Europa di danneggiarsi in nome di obiettivi climatici irraggiungibili è uno dei più grandi atti di auto-sabotaggio democratico nella storia. Tuttavia i leader dell'Europa sono determinati a recarsi il prossimo mese ai colloqui sul clima globale a Glasgow per espandere ancor di più il proprio masochismo sull'energia. E il presidente americano Biden è bramoso di unirsi a loro nell'abbandonare la sicurezza energetica. Putin dev'essere letteralmente sbalordito, di fronte ad una simile fortunaccia strategica".

 

L'articolo del giorno

Parchi eolici nell'Appenino

Mappa interattiva delle installazioni proposte ed esistenti