Sissi Bellomo: "Energie green meno competitive rispetto ai fossili, ma un aumento dei sussidi richiede nuove tasse o più debito".

 

Sissi Bellomo sempre più scatenata sul Sole in edicola giovedì 2 novembre nell'articolo "Energia eolica, Ørsted crolla in Borsa: svalutazioni fino a 5,3 miliardi di euro", che così esordiva:

"Non c’è pace nel settore dell’energia eolica, precipitato in una crisi che sembra aggravarsi ogni giorno di più. A pochi giorni dal tracollo di Siemens Energy alla Borsa di Francoforte, sotto i riflettori è finita Ørsted... il gigante danese rinuncia a due impianti negli Usa, perché i costi sono saliti troppo e non si riesce più a rientrare nell’investimento".

Si conferma a maggior ragione quanto affermato dal professor Alberto Bagnai (responsabile economia della Lega) nel video che abbiamo riproposto sul sito web della Rete della Resistenza sui Crinali: "La morte del green era prevista e prevedibile".

Ma il green non se n'è reso conto e cammina ancora.

Intanto, però, Il Sole 24 Ore, dopo anni di appoggio incondizionato ai desiderata degli eolici, fa il salto della quaglia di fronte all'ormai innegabile realtà della deindustrializzazione auto-inflitta con le "rinnovabili" non programmabili.

L'articolo di giovedì della Bellomo seguiva infatti l'altro suo articolo, nell'edizione del Sole in edicola il 31 ottobre, dal titolo "Energia, i tassi record frenano le rinnovabili: volano i costi di produzione", che sottotitolava

"Energie green meno competitive rispetto ai fossili, ma un aumento dei sussidi richiede nuove tasse o più debito".

Eccone l'incipit:

"Aumenti fino al 30% per i costi di produzione dell’elettricità da impianti eolici e solari, oggi meno competitivi. Soffrono tutti gli investimenti ad alta intensità di capitale, compreso il nucleare. Così la transizione rischia di aver bisogno di maggiori sussidi statali, che peseranno sulle tasse o sul debito pubblico"

Riassumiamo in breve il contenuto dell'articolo, consigliando la lettura integrale del testo, disponibile per gli abbonati sul sito web del Sole: le rinnovabili non programmabili fanno salire i costi dell'energia e delle materie prime. Questo provoca inflazione. L'inflazione fa alzare i tassi di interesse. I settori più capital intensive (l'eolico è il settore più capital intensive in assoluto) sono i primi a soffrirne. Per cui o si lascia perdere tutto oppure devono arrivare le sovvenzioni pubbliche. Ma se arrivano le sovvenzioni pubbliche il debito pubblico aumenta (e anche qui bisogna fare i conti con i tassi di interesse in salita). Quindi...

Eolico dead man walking. Per citare la Bellomo nell'articolo di venerdì:

"Per adesso i loro progetti vanno avanti, ma il rischio è che abbiano le ore contate."

Meno male che le leggi dell'economia (e della fisica) esistono ancora. Se, per tutelare dalla devastazione delle pale eoliche il paesaggio della nazione, avessimo dovuto aspettare il rispetto dell'articolo 9 della Costituzione da parte delle nostre élite fellone (ormai sistematicamente e sfacciatamente anti-italiane e serve di una cialtronesca cultura sviluppata altrove) saremmo stati freschi. E impalati.

 

Alberto Cuppini

 

Oggi sulla prima pagina del Sole: "Siemens Energy chiede aiuti e crolla in Borsa".

 

Brevissima rassegna stampa della seconda puntata, andata in scena ieri alla Borsa di Francoforte, del crollo borsistico della Siemens Energy a causa delle difficoltà dell'unità turbine eoliche.

Oggi la rassegna stampa sarà del tutto priva dei nostri commenti per evitare di ripeterci ed annoiare i nostri lettori. Chi non ci segue abitualmente e volesse ritrovare le nostre osservazioni e le critiche, oggi persino più valide di allora, a questa grottesca vicenda può leggersi il nostro post di appena quattro mesi fa dal titolo: "Patatrac Siemens-Gamesa: il business eolico è un suicidio anche per i produttori di pale".

Veniamo dunque ai quotidiani di oggi, cominciando dall'articolo (annunciato in prima pagina) del Sole 24 Ore siglato I.B. dal titolo "Siemens Energy chiede aiuto e crolla (-35%)", sottotitolato: "Da inizio anno il titolo del gigante delle rinnovabili ha perso il 60,91% del valore alla Borsa di Francoforte":

"Siemens Energy, società che distribuisce gas ed elettricità ed è specializzata in turbine eoliche... ha confermato ieri di aver iniziato a trattare con il governo federale tedesco e con le controparti bancarie per ottenere garanzie: corre voce siano stati richiesti fino a 15 miliardi di euro sui grandi ordini. Senza queste garanzie, i progetti più costosi a lungo termine, "su un portafoglio ordini di 110 miliardi", non potranno andare avanti... La notizia... ha fatto ricrollare ieri il titolo alla Borsa di Francoforte di quasi il 40%, dopo il crollo del 37% in giugno... Il ministro dell'Economia Robert Habeck si è limitato a confermare che le trattative sulle garanzie pubbliche (vietatissime dalla normativa UE. Ndr) sono in corso, da mesi con una recente accelerazione."

Per chi volesse conoscere maggiori dettagli, rimandiamo all'articolo, disponibile in linea sul sito web dello stesso Sole 24 Ore, dal titolo: "Siemens Energy crolla a Francoforte per le difficoltà nel settore dell'eolico".

Si confermano così le recentissime, profetiche parole del professor Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega, sulla "morte prevista e prevedibile del green" ed i suoi gravissimi giudizi sulla Siemens in particolare. Non li riportiamo testualmente per evitare di essere querelati: ascoltate Bagnai nel video riproposto sul sito della Rete della Resistenza sui Crinali.

Poco carino verso l'eolico e verso i tedeschi anche Sergio Giraldo oggi su La Verità, nell'articolo "Siemens energy vuole aiuti statali per tamponare il flop pale eoliche":

"La transizione energetica si rivela sempre più fragile e c'è chi comincia a parlare di bolla finanziaria. Soprattutto senza il supporto dei governi, dunque senza denaro pubblico, sembra proprio che la transizione non riesca a decollare. Il governo tedesco si appresterebbe, ancora una volta, ad aiutare le aziende nazionali, in deroga alla normativa europea sugli aiuti di Stato... Gli Stati che hanno spazio fiscale saranno dunque avvantaggiati, rispetto a chi (come l'Italia) non ne ha... Come nella Fattoria degli animali di George Orwell, tutti gli Stati sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri."

Come? Mi dite che, secondo la vulgata mainstream, a La Verità sono dei famigerati contaballe? Bene. Allora leggetevi le stesse identiche cose, se sapete l'inglese, sull'autorevole Financial Times nell'articolo in linea dal titolo "Siemens Energy: turbine trouble pops the renewables bubble" (che si potrebbe tradurre: "Il pasticcio delle pale eoliche fa scoppiare la bolla rinnovabili").

Concludiamo, sempre dal Financial Times, con questo commento, apparso sotto il poetico titolo "Siemens Energy: bladed weepin'.", che nell'ultimo capoverso recita:

"Siemens Energy deve scegliere tra il minore di due mali. Può ottemperare ai contratti in essere delle turbine eoliche e perdere denaro riparandole e rimborsando i clienti. Oppure può cessare la produzione e cancellare l'unità (Gamesa, l'unità controllata dalla Siemens Energy che produce le pale eoliche. NdR). La richiesta di un supporto governativo suggerisce che il costo di continuare sarà maggiore che andarsene. Questo dovrebbe costituire il presupposto per gli investitori, a meno che i munifici Ministri tedeschi non facciano il loro ingresso in campo."

 

Alberto Cuppini 

 

 

In Italia contro la Greenflazione torna la scala mobile... ma solo per incentivare ancor di più la speculazione delle rinnovabili elettriche.

 

Quando venerdì 29 settembre leggevamo sulla Staffetta Quotidiana nell'articolo "Incentivi Fer, appena 100 MW assegnati al dodicesimo bando Gse" il resoconto della figuraccia epocale dell'ultima asta Gse ("Al dodicesimo bando Gse per l'assegnazione degli incentivi alle rinnovabili elettriche si registra un minimo storico di richieste, con assegnazioni di poco più del 5% rispetto ai contingenti disponibili. Tante in particolare le rinunce di soggetti che proponevano grandi progetti eolici e fotovoltaici") - ed in particolare del flop generalizzato dei progetti del grande eolico industriale - eravamo convinti che nel sottotitolo ci fosse un refuso: "Dal prossimo bando tariffe indicizzate all'inflazione".

Tariffe indicizzate all'inflazione? Ma come? Mentre tutti gli italiani soffrono per l'inflazione generata dalla pazzesca decisione di Bruxelles di rinunciare in pochi anni ai combustibili fossili sostituendoli con pale e pannelli, di fronte all'evidenza del disastro annunciato dell'esplosione dei costi energetici e delle materie prime, adesso si indicizzano... gli incentivi alle rinnovabili elettriche? Incentivi di cui, ci avevano assicurato, non ci sarebbe stato più bisogno dopo il 2020.

Non potevamo crederci. Non volevamo crederci.

E invece, sempre sulla Staffetta Quotidiana di questo venerdì, nell'articolo "Fer, il 17 ottobre i nuovi bandi Gse" abbiamo avuto la ferale conferma:

"per la tredicesima procedura d'asta FER i valori delle tariffe saranno aggiornati facendo riferimento all'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), per tenere conto dell'inflazione media cumulata da agosto 2019 a settembre 2023."

"Da agosto 2019 a settembre 2023"! Niente meno! I furbacchioni dell'eolico avevano ritirato i loro progetti dalle aste precedenti, come la Staffetta faceva notare ma senza darne spiegazioni, perchè già sapevano che il governo, di fronte alle loro pretese, avrebbe calato le braghe e spalancato ancor di più il portafogli di Pantalone. E quegli stessi spudorati per anni avevano attribuito le colpe agli eccessivi intralci burocratici e alle Sovrintendenze, sostenuti in tali accuse da tutti i giornali e dai principali media.

Pudore l'è morto.  

La Greenflazione oggi furoreggia pur in assenza (per fortuna!) di meccanismi di adeguamento automatico dei redditi all'inflazione fuori controllo come invece avveniva nei drammatici anni '70, prima dell'abrogazione della scala mobile, che stava conducendo il Paese alla rovina. Però, senza tali meccanismi automatici di adeguamento, nel 2022 l'inflazione "green" ha causato l'impoverimento della popolazione italiana più consistente dal Dopoguerra ad oggi. Adesso la scala mobile viene reintrodotta... ma solo per incentivare ancor di più la speculazione delle rinnovabili elettriche, che sono alla base del disastro dell'esplosione dei costi dell'energia. Sarà come gettare paglia nel fuoco.  

Qualche mese fa avevamo spiegato perchè ci sarebbe stato bisogno in eterno di sussidi sempre crescenti per le rinnovabili non programmabili e avevamo messo in guardia dal tentativo di un colpo di mano degli speculatori e dei loro turiferari.

Di recente, l'allarme per contrastare il grande assalto alla diligenza della spesa pubblica con la scusa della "Salvezza del Pianeta" era stato rinnovato dal professor Alberto Clò nell'intervista al Sussidiario del 13 settembre sotto il titolo "Rinnovabili dal 32% al 42,5%. Clò: impossibile senza incentivi, saremo noi a pagarne il prezzo" (un'intervista da leggere in linea dall'inizio alla fine):

"L’eolico sta avendo grandi difficoltà: le ultime aste in Gran Bretagna sono andate deserte, perché le rinnovabili, checché se ne dica, necessitano di incentivi. Le aste fissano dei prezzi, non li fissa il mercato. Sono andate deserte perché sono stati fissati prezzi troppo bassi. Bisogna che la Commissione o il Parlamento, individuando questi obiettivi, avvisino anche i consumatori che questa decisione avrà un impatto sui prezzi. I consumatori sono anche elettori e alla scadenza delle elezioni potrebbero farsi sentire; è un orientamento che già si vede in Germania e anche in altri Paesi, compreso il Nord Europa con Svezia e Finlandia. Commissione e Parlamento sappiano che più decidono in questo senso più è possibile che alle prossime votazioni i cittadini li mandino a casa."

Come osservava qualche giorno dopo (il 16 settembre) Paolo Annoni, sempre sul Sussidiario, nell'articolo "BCE & UE/ La vera cura ai problemi dell’economia non è il taglio dei tassi":

"l’Europa si avvia verso una rivoluzione energetica che richiede migliaia di miliardi di euro. Se la Bce optasse per una politica monetaria più espansiva si avvierebbe verso un indebolimento dell’euro di cui non si vede la fine e che l’Europa in questo momento non vuole o non può prendere in considerazione... L’Europa si sente ancora ricca, non è venuta veramente a patti con quello che è successo negli ultimi due anni; non sembra aver compreso quanto profonda sia la sconfitta incassata. Si sente ancora talmente ricca da impegnarsi in una transizione energetica, con costi da brividi, che nessuno dei suoi competitor farà mai; sicuramente non nelle proporzioni europee... La politica della Bce cerca di mantenere l’Europa tra le economie “ricche” in attesa che vengano risolti i problemi della competitività della sua industria. Questa è una sfida che oggi si può vincere trovando soluzioni in settimane e mesi, non in anni, e alla condizione di abbandonare alla velocità della luce le ideologie che l’Europa dava per scontato di potersi permettere con la rivoluzione green".

Usando le stesse parole di Sergio Giraldo alla conclusione del suo articolo del primo settembre su La Verità dal titolo inequivoco "Flop eolico, antipasto della transizione Ue":

"In definitiva, si stanno cementando le basi di una inflazione strutturale sui costi dell'energia, mentre le aporie della transizione energetica emergono ad ogni passo".

In definitiva, cioè: un'altra occasione persa dal governo Meloni per distinguersi dagli sponsor politici degli speculatori eolici, dopo quella che avevamo di recente fatto notare.

Una decisione suicida, questa volta, presa oltretutto per favorire le clientele altrui.

Se la Premier non sarà in grado di fornire neppure sulle energie rinnovabili, come già sull'immigrazione, un'alternativa valida alle politiche mainstream, l'astensionismo alle urne potrebbe esplodere già il prossimo anno, in occasione delle elezioni europee, e l'Italia compiere un altro passo deciso nella direzione del Sudamerica. Ma non dell'Argentina, che pure è finita per l'ennesima volta in rovina, ma del Venezuela. E con esso verso l'uscita dall'Europa con, come primo provvedimento conseguente, la nazionalizzazione di tutto il settore dell'energia in puro stile castrista. Per la gioia delle nostre geriatriche élite sessantottine. Chissà se, in tal caso, i nostri amici dell'Anev saranno finalmente sazi e soddisfatti.

 

Alberto Cuppini

 

  

 

Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha deciso di fare marcia indietro sulla lotta al cambiamento climatico, che sarà rallentata di almeno qualche anno a causa della crisi, ma soprattutto per ragioni politiche a meno di un anno dalle elezioni. Si è materializzato ciò che i critici più lucidi dell'integralismo verde avevano preconizzato: l'ira dei miti, la mobilitazione dei ceti medi, un'ondata di rabbia che ha investito anche molti britannici non politicizzati. Oltremanica si stanno anche rendendo conto che non possono ricavare dall’eolico la stessa energia che arriva dal fossile, come era stato loro promesso in passato. L’Ue forse ci arriverà dopo le elezioni dell’anno prossimo oppure a seguito di un’altra crisi energetica. L'élite europea non ha la minima consapevolezza di quale sia la devastante portata della "transizione energetica" basata sulle "rinnovabili" non programmabili.

 

"Crisi climatica. Londra tira il freno a mano" titola oggi l'articolo di Antonello Guerrera su La Repubblica:

"Rishi Sunak ha deciso di fare marcia indietro sulla lotta al cambiamento climatico, che sarà rallentata di almeno qualche anno. Un cambio di rotta notevole, se solo si pensa alle strategie di un predecessore come Boris Johnson. A causa della crisi ma soprattutto per ragioni politiche a meno di un anno dalle elezioni generali del 2024, Sunak tira il freno a mano".

"Londra si risveglia: stop alle politiche green" è il titolo dell'articolo di Francesco Bonazzi su La Verità di oggi, che sottotitola:

"Sunak annuncia la retromarcia sulla transizione ecologista: "Costi troppo elevati, ora tocca ad altri". Previsto il rinvio della messa al bando delle auto a benzina e diesel e delle caldaie a gas, oltre all'allentamento degli obblighi di efficienza energetica per le case."

Così spiega Bonazzi:

"Sulla transizione green è arrivato il momento del realismo. Almeno in Gran Bretagna, che non fa più parte dell'Unione europea e se lo può permettere. "Per troppi anni politici in governi di ogni colore non sono stati onesti sui costi e sui cambiamenti. Hanno preso la strada più semplice, raccontando che possiamo avere tutto", dice Rishi Sunak."

Libero annuncia la svolta britannica in prima pagina, con un articolo del direttore editoriale Daniele Capezzone. Il titolo è tutto un programma: "Sunak schiaffeggia i talebani green. Il Regno Unito rinvia lo stop ai diesel", che sottotitola:

"Il primo ministro inglese non cede alle rivolte degli ecointegralisti. "Serve una politica climatica più realistica e pragmatica". Un modo per evitare la bancarotta dei cittadini":

L'articolo mantiene le promesse. Leggiamone qualche passaggio:

"Nessuno finora ha avuto il coraggio di guardare le persone negli occhi e di spiegare cosa sia davvero in gioco. Ciò è sbagliato" ha detto Sunak... Sunak potrebbe persino essere criticato per un'eccessiva dose di cautela e timidezza nell'inversione di rotta: gli si potrebbe cioè rimproverare di non aver trovato il coraggio per rovesciare del tutto il tavolo. Tavolo - va detto - che era stato purtroppo apparecchiato, ormai diversi anni fa, da Boris Johnson... è stato proprio lui a far impiccare la Gran Bretagna a impegni impossibili e scadenze serrate in nome del totem green... Si è materializzato ciò che i critici più lucidi dell'integralismo verde avevano preconizzato: l'ira dei miti, la mobilitazione dei ceti medi, un'ondata di rabbia che ha investito anche molti britannici non politicizzati... c'è da sperare che la sua scelta produca un sussulto di consapevolezza anche al di qua della Manica, e che a Bruxelles siano in molti a muoversi per frenare la raffica di direttive e regolamenti green i cui effetti rischiano di essere letteralmente devastanti."

 

Così ha commentato l'inversione di rotta britannica il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, nell'intervista concessa oggi al Sussidiario sotto il titolo Tabarelli: rivoluzione green al palo, l’Ue faccia emergere la verità:

"Il Regno Unito ha sposato in maniera entusiastica la lotta ai cambiamenti climatici e adesso i nodi vengono al pettine. Oltremanica si stanno anche rendendo conto che non possono dall’eolico offshore ricavare la stessa energia che arriva dal fossile. L’Ue forse ci arriverà dopo le elezioni dell’anno prossimo oppure a seguito di un’altra crisi energetica. Nel frattempo sta pagando molto cara l’energia, sta perdendo di competitività, si sta deindustrializzando per raggiungere al suo interno un obiettivo importante sul piano ambientale, ma che a livello globale non conta nulla o quasi."

Sempre sul Sussidiario di oggi, Paolo Annoni riferisce la reazione contro gli eccessi green in Gran Bretagna comparandola ad una crisi di inerzia dell'élite europea nell'articolo "Le scelte di Powell sui tassi lasciano l’Europa senza aiuti":

"Il problema vero è che più passano le settimane, più diventa chiaro che l’élite europea non ha consapevolezza di quale sia la portata delle sfide. L’Europa litiga con il suo principale mercato di esportazione, la Cina, e spinge, unica nel globo, su una rivoluzione green che appare un lusso per ricchi, mentre gli altri, è stato il caso ieri dell’Inghilterra, scendono a miti consigli sugli obiettivi green per evitare di seppellire il potere d’acquisto dei consumatori e la competitività delle imprese."

In Italia moriremo tutti per compiacere le onnipotenti lobby dell'eolico e del fotovoltaico?

 

Alberto Cuppini

 

"Fino a che la Ue non comprenderà il reale impatto sull'economia derivante dagli zelanti target climatici, sarà condannata a fronteggiare bassa crescita, alta inflazione, tassi di interesse elevati e crescente frammentazione tra Paesi membri".

 

"Stop all'invasione cinese di auto elettriche ma l'Ue deve rivedere le politiche climatiche".

Rimarchevole articolo di Gianclaudio Torlizzi su Libero (dei nuovi direttori Sechi e Capezzone) di oggi. Un'occasione per i resistenti sui crinali e, più in generale, per la stanca e rassegnata borghesia italiana per andare in edicola a verificare se, con la nuova linea editoriale di Libero, c'è un barlume di speranza per contrastare senza sguaiataggini il Pensiero Unico Globale e Obbligatorio, di cui le "rinnovabili" salvifiche sono un cardine imprescindibile.

Unico neo: Torlizzi scrive da "Fondatore di T-Commodity" e non come consigliere del ministero della Difesa nè come "riflettore strategico" del ministero dello Sviluppo pardon delle Imprese.

Per invogliare l'acquisto di Libero in edicola, proponiamo di seguito il paragrafo conclusivo, intitolato "La terza via", di questa lunga analisi di Torlizzi sulla dubbia sostenibilità economica della "transizione ecologica" di matrice UE:

 

"Tra la de-industrializzazione e l'innalzamento incontrollato dei tassi di interesse esiste però una terza via, quella che passa per la revisione strutturale dei piani climatici. Rivedere le politiche climatiche infatti non solo metterebbe in condizione le imprese europee di perseguire un percorso di decarbonizzazione realmente sostenibile, ma stroncherebbe anche le attuali strozzature che insistono sul comparto energetico e delle materie prime. Fino a che la Ue non comprenderà il reale impatto sull'economia derivante dagli zelanti target climatici nell'attuale contesto geo-strategico contraddistinto da de-globalizzazione, disaccoppiamento delle catene di fornitura e militarizzazione delle materie prime, sarà condannata a fronteggiare bassa crescita, alta inflazione, tassi di interesse elevati e crescente frammentazione tra Paesi membri. Non agire ora significa lasciare che sia un domani il mercato a correggere le distorsioni create dal green deal. E potrebbe non essere piacevole."

 

Qualche osservazione. O, meglio, una osservazione: non si tratta di trovare una "terza via" tra deindustrializzazione e rialzo incontrollato dei tassi di interesse. Questi due fenomeni oggi sono le due facce di una stessa medaglia, che si chiama "European Green Deal" (che però ha solo accelerato gli effetti perversi della decisione europea già adottata nei decenni precedenti di affidarsi a eolico e fotovoltaico come "energie alternative" alle energie fossili). Questa medaglia, già ben conosciuta, una volta si chiamava stagflazione. Oppure, con termine meno tecnico e più immediatamente comprensibile, "miseria". Le altre volte, però, non la si era ricercata con una simile determinazione suicida, per il tramite degli "zelanti target climatici" imposti dalla sciaguratissima commissione Von der Leyen. Niente "terza via", dunque: qui si tratta solo di scegliere se "perseguire un percorso di decarbonizzazione realmente sostenibile" (che è impossibile: in realtà si tratta di abbandonare in toto, con una decisione politica, le rinnovabili non programmabili e cercare rapidamente altre soluzioni davvero percorribili) oppure, appunto, "lasciare che sia un domani il mercato a correggere le distorsioni del green deal". Anche se, a dire il vero, il mercato sta correggendo già adesso le distorsioni, senza bisogno di attendere "un domani". Di questa "correzione" delle "distorsioni" green realizzata dal "mercato" se ne stanno già accorgendo gli italiani (e tutti gli altri europei) quando pagano le bollette, la benzina e il conto del supermercato.

 

Alberto Cuppini

 

 

"Disastro", "tragedia contabile", "la più grande truffa ai danni dello Stato"... Giorgia Meloni l'altro ieri in Consiglio dei Ministri come il bambino della favola del vestito nuovo dell'imperatore. Invitiamo la Presidente del Consiglio ad una rapida agnizione pubblica, nella stessa sede istituzionale, anche per gli altri "disastri" e per le altre "truffe" volute dall'ideologia green, a cominciare dai disastri economici, energetici, ambientali e paesaggistici causati dalle pale eoliche piantate a tutti i costi in cima alle montagne dell'Appennino per "salvare il Pianeta".

 

"Disastro", "tragedia contabile", "la più grande truffa ai danni dello Stato"...

Giorgia Meloni l'altro ieri in Consiglio dei Ministri come il bambino della favola del vestito nuovo dell'imperatore.

Lo leggiamo non solo sulla stampa filogovernativa, come il Giornale nell'articolo "Superbonus? La più grande truffa...", ma anche sui quotidiani "liberal", come la Stampa ed il Corriere della Sera, che cercano goffamente di addebitare il disastro a Giuseppe Conte, per nascondere le responsabilità di Draghi e del PD.

Il "superbonus 110%"... Altrochè la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Qui ci si rifaceva la casa gratis e ci si guadagnava pure. Lo sapevano tutti fin dall'inizio che era una cretinata tale da trascinare a fondo i conti pubblici, ma nessuno osava riconoscerlo. Non solo i cittadini comuni ma anche e soprattutto gli uffici istituzionali di controllo contabile, la stampa ed il Parlamento (maggioranza e opposizione, compreso il partito della Meloni), che hanno finto, con l'endorsement di professoroni e di autorevoli (...) istituti di ricerca, di credere nell'incredibile: di fronte alla prospettiva della riduzione delle emissioni di CO2 - e perciò della salvezza del Pianeta - grazie al cappottino alle case degli italiani, tutti si sono mostrati disposti ad accondiscendere a questa (ennesima) baggianata green. A tacere d'altro, una pessima (si può dire pessimissima?) figura per la democrazia italiana.

Il bello è che, a provocare la fine della cuccagna (e del naufragio dei conti pubblici - e del buon senso - italiani), è stato l'intervento degli uffici contabili di Bruxelles, attuato per mettere in difficoltà il governo "nemico" della Meloni. Le minori entrate di bilancio spalmate su un decennio (come erano sempre state considerate fino a quel momento quelle dei bonus dei precedenti governi - a cominciare dall'inventore della droga dei "bonus", ovvero quello di Romano Prodi - senza che Bruxelle avesse mai obiettato alcunchè) adesso si devono ascrivere come spesa pubblica da registrare nell'anno in cui è maturato il diritto. E meno male! Come scrive Luca Monticelli su Il Secolo XIX di oggi nell'articolo intitolato "Salasso senza fine per il Tesoro":

"Nei corridoi del Tesoro circola una battuta: "Se non ci fosse stata la stretta al Superbonus fatta con il decreto di novembre dell'anno scorso, adesso lo Stato porterebbe i libri in tribunale."

Bene: ne prendiamo atto. Adesso cauterizziamo l'emorragia nei conti pubblici e facciamo finta di avere scherzato. Ma impariamo la lezione di questa mefitica vicenda: le cialtronate rimangono tali anche se le si dipingono di (retorica) verde.

Invitiamo perciò la Presidente del Consiglio ad una rapida agnizione pubblica, nella stessa sede istituzionale, anche per gli altri "disastri" e per le altre "truffe" volute dall'ideologia green. A cominciare dalle pale eoliche per "salvare il Pianeta", da piantare a tutti i costi (in tutti i sensi) in cima alle montagne. Gli incentivi italiani alle rinnovabili elettriche sono già costati alla collettività oltre 200 miliardi di euro. Ma quel che è peggio, come ha dimostrato l'esplosione dei prezzi energetici (conseguente alla decisione di fare dell'Europa il primo continente "climaticamente neutro" entro il 2050), l'utopia del "tutto rinnovabili" ha interrotto gli investimenti nelle fonti energetiche più sicure e più a buon mercato. Da qui, in rapida successione, i prezzi dell'energia alle stelle, la guerra in Ucraina e l'impoverimento degli italiani.

La volontaria sospensione dell'incredulità di fronte al delirio delle "rinnovabili salvifiche" da parte di quegli stessi soggetti istituzionali che hanno taciuto di fronte alla follia del superbonus non impedirà di fare, anche in questo caso, i conti con la realtà. Conti, aggiungiamo noi, ben peggiori di quelli del superbonus.

Non sarà mai troppo tardi per fermarsi. Le ciclopiche pale eoliche, destinate ad essere abbandonate quando si guasteranno dopo l'inevitabile interruzione dei sussidi, rimarranno ferme in cima ai crinali dell'Appennino ad eterna testimonianza, per le generazioni future, che il sonno della ragione genera mostri.

Mostri alti ormai oltre i duecento metri.

 

Alberto Cuppini

 

Nel clima surriscaldato (in tutti i sensi) dell'estate 2023, mentre persino dai vertici dell'Onu e dai Palazzi romani, di qua e di là del Tevere, giungono in coro invocazioni disperate ad agire subito contro l'Apocalisse climatica provocata dalle emissioni climalteranti dell'Occidente, addito al pubblico ludibrio, in questa rassegna stampa degli articoli dell'ultima settimana, alcuni pericolosissimi eretici che, se non fosse per l'aumento dell'emissione di CO2, andrebbero bruciati sul rogo seduta stante.

 

Cominciamo con Adriana Cerretelli sul Sole del 27 luglio (dove si comprende che cosa significava farsi largo con capacità e meriti e non come adesso con politicamente corretto e quote rosa) nell'articolo "Materie prime, la Ue predica bene e razzola male":

"Il buon senso avrebbe richiesto anche un'analisi intellettualmente asettica e preventiva della sostenibilità economico-finanziaria e socio-politica della transizione verde verso la neutralità climatica nel 2050. Nessuno l'ha fatta a Bruxelles prima di lanciare il Green Deal. Nessuno nemmeno nei paesi Ue".

Proseguiamo, ad integrazione di quello della Cerretelli, con l'articolo di Sergio Giraldo su La Verità del 30 luglio "Nessuno rivela quanto costerà e chi pagherà la rivoluzione verde":

"la transizione ecologica... è un intreccio colossale di norme, investimenti, attività, trattati internazionali, sviluppi tecnologici e industriali, conseguenze socioeconomiche che ha dell'incredibile e che non ha precedenti nella storia. Mai prima d'ora il genere umano si è dedicato a una trasformazione globale, sincronizzata e pervasiva come questa. Mai prima d'ora si è verificata una tale potente convergenza di spinte politiche e interessi privati, tanto che siamo entrati di fatto in una fase di economia pianificata e diretta. Va da sé che la transizione ecologica rappresenta un business enorme. Considerata la portata dei cambiamenti in atto, che ci debba essere un dibattito dovrebbe essere pacifico. Invece, la cosa più incredibile che abbiamo letto in questi giorni è che non si deve discutere neppure delle soluzioni proposte... gli urlatori si guardano bene dal parlare dei paradossi, delle incongruenze, dei costi, dei vicoli ciechi a cui conducono i vari Green deal mondiali, e quello europeo in particolare. Il loro scopo è quello di creare una situazione emotiva di perenne emergenza, nella quale "non ci sono alternative". Suona familiare?"

Luca Ricolfi (che insegna analisi dei dati a Torino) sul Mattino del 28 luglio nell'articolo "Punire il “negazionismo climatico”?" mette persino in dubbio, tra molte altre cose, la scientificità della "mentalità green", tacciandola di "oscurantismo illiberale":

"il punto della discussione non è se oggi faccia più caldo di 50, 100, o 150 anni fa, ma se il cosiddetto riscaldamento globale possa essere attribuito prevalentemente all’azione dell’uomo. Chi ha dimestichezza con le tecniche statistiche di imputazione causale su dati osservativi (cioè non sperimentali), e ha un minimo di conoscenza dei limiti intrinseci dei modelli di simulazione, sa perfettamente che tale attribuzione può essere effettuata solo in via congetturale, e che i margini di errore sono di entità sconosciuta".

Non poteva mancare l'impenitente e riottoso Franco Prodi, il quale si intestardisce a sostenere che, trattando dei cambiamenti climatici, "c’è l’ostilità alla vera scienza, mentre viene privilegiata la pseudoscienza pilotata dalla politica e dalla finanza mondiali". Così su Il Foglio del 27 luglio nell'articolo "Troppe concause ignorate quando si parla di cambiamenti climatici":

"Nel caso del “riscaldamento globale” non si manifestano ancora compiutamente le gravi conseguenze delle scelte di fondo dell’umanità, già operanti nella colpevolizzazione dei bambini nelle scuole, nell’abbandono immediato dei punti di forza economici, con conseguente dilagare della povertà, nella perdita di democrazia a favore dell’attuale imperante dittatura dei giornalisti e dei media consociati."

Segnalo poi, tra le migliaia di inutili articoli sugli epocali accadimenti di Giffoni, un gioiellino di Giuliano Ferrara annunciato sulla prima pagina de Il Foglio del 31 luglio, "Contro i piagnoni dell'ecoansia (ministro compreso)"

"Ci sarebbe da fare una class action contro l'Onu... contro i giornali di merda, contro le tv di merda, contro un'atmosfera demenziale e criminale di incitazione alla paura, contro gli influencer dell'apocalisse... cresce una generazione di frustrati del clima, si diffonde la nevrosi o sindrome di Greta Thunberg... Ministro Fratin... Che fa, si mette anche lei sulla scia dei guru del green washing, di quell'apparato tecnico-scientifico universale che è molto peggio del complesso militare-industriale?... Ci sarebbero tante cose su cui piangere... invece di piangere su un pensiero dominante obbligatorio, su una palese manifestazione di sostituzione stupida della menzogna alla realtà...  la recita collettiva, il coro tragico di Giffoni, finisce su un tono di demoniaca stupidità collettiva, di emozionalismo sensazionalista. Che vergogna, che profondissima vergogna."

Qualcuno comincia a capire che per la "decarbonizzazione integrale" l'umanità dovrà, molto semplicemente, rinunciare al fuoco. Una robetta da nulla, insomma. Interessante a proposito l'articolo pubblicato sull'ultimo numero della Rivista Energia di Valeria Palmisano Chiarelli "Auto e casa: l’Unione Europea e la rinuncia del fuoco":

"Non ci è dato sapere con precisione a quando risalga la scoperta del fuoco e la sua «domesticazione» da parte della nostra specie, ma siamo certamente nell’ordine di milioni di anni fa... C’è da chiedersi cosa penserebbero i nostri preistorici antenati ad apprendere milioni di anni dopo che la loro trovata sia tacciata di mettere a rischio la sopravvivenza della specie sul Pianeta e che per preservare la vita in un clima ostile si stia valutando – perché così viene chiesto – di fare a meno da qui in avanti proprio di quella scoperta che ci hanno lasciato come testamento evolutivo: la combustione... Uno dei motivi per cui alcune delle ricette per la decarbonizzazione proposte da questa Commissione europea restano così controverse va forse ricercato nel fatto che, in modo draconiano, hanno toccato quanto, nell’immaginario collettivo, più rappresenta l’emancipazione delle famiglie italiane nella ripresa economica del dopoguerra: la casa e l’automobile... Che questo ciclo istituzionale sia stato affetto da bulimia normativa è ormai sotto gli occhi di tutti. Al coro degli esterrefatti per la mole di provvedimenti da esaminare, valutare negli impatti, negoziare e immaginare di recepire negli ordinamenti nazionali, si è aggiunto recentemente anche il Presidente francese Emmanuel Macron".

Per comprendere perchè la "decarbonizzazione integrale" è una totale cretinata, a prescindere dalla decrescita infelice dei popoli dell'Occidente, dovrebbero bastare questi dati sui consumi di carbone asiatici, in crescita esponenziale - e senza che se ne scorga una fine - pubblicati dalla Staffetta Quotidiana del 31 luglio "Carbone, "Aie: l'Asia spinge i consumi a livelli record anche nel 2023":

"Il consumo di carbone nel 2022 è aumentato del 3,3% a 8,3 miliardi di tonnellate, stabilendo un nuovo record, secondo il Coal Market Update di metà anno dell'Aie. Quest'anno rimarrà vicino al livello record, poiché la forte crescita in Asia sia per la produzione di energia che per le applicazioni industriali supererà il declino negli Stati Uniti e in Europa. Nel 2023 e nel 2024, è probabile che i piccoli cali della produzione di energia elettrica da carbone saranno compensati da aumenti dell'uso industriale, prevede il rapporto... Continua lo spostamento della domanda di carbone verso l'Asia. Nel 2021, Cina e India rappresentavano già i due terzi del consumo globale, il che significa che insieme hanno utilizzato il doppio del carbone rispetto al resto del mondo messo insieme. Nel 2023, la loro quota sarà vicina al 70%. Al contrario, Stati Uniti e Unione Europea – che insieme rappresentavano il 40% tre decenni fa e oltre il 35% all'inizio di questo secolo – rappresentano oggi meno del 10%...  Il carbone più economico ha reso le importazioni più attraenti per alcuni acquirenti sensibili al prezzo. Le importazioni cinesi sono quasi raddoppiate nella prima metà di quest'anno e il commercio globale di carbone nel 2023 è destinato a crescere di oltre il 7%".

Intanto gli ultimi dati Istat (non adeguatamente pubblicizzati dai media) ci hanno informato che nel secondo trimestre dell'anno gli italiani, dopo due anni di greenflazione - con conseguente costo della vita in aumento insostenibile per i più - hanno contratto i propri consumi anche in termini monetari e non più solo in termini di quantità come nel trimestre precedente. E' facile prevedere che presto nelle piazze italiane a reclamare qualche forma di giustizia sommaria ci andrà qualcuno di diverso dalle solite ragazzine ricche e antipatiche che fanno fughino il venerdì, ma decisamente più arrabbiato e determinato di quelle. Qualcuno che non ama molto i verdi...

 

Alberto Cuppini

 

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